“Post PC”, cosa si perde e cosa si guadagna

Colgo l’occasione di un interessante commento apparso qualche giorno fa su queste pagine, per sviluppare un argomento che da qualche tempo ho in mente. Si tratta della transizione al “post PC” – formula resa celebre da Steve Jobs in un’intervista del 2010 – ove per dispositivo post PC s’intende un oggetto portatile, che riassume alcune funzioni tipiche del vecchio PC ma ne abilita l’accesso tramite touchscreen.

Partiamo dal presupposto che una nuova interfaccia ridefinisce necessariamente il perimetro funzionale del dispositivo. Le funzionalità necessitano dunque di essere limate in modo da risultare pienamente fruibili tramite, in questo caso, il tocco – ed è principalmente su questo punto che i tablet precedenti all’iPad hanno toppato.

Sul quanto e come limare le funzionalità c’è spazio per diverse interpretazioni, ed è qui che nascono le più accese discussioni. Prima di procedere desidero precisare che in quest’analisi mi baserò sull’esperienza d’uso dell’iPad (già in parte criticata in questo pezzo), un prodotto che credo a buon titolo possa essere assunto come rappresentante della menzionata categoria “post PC”. Mi riservo di trattare in un secondo momento opportunità e criticità della transizione da Windows 7 a Windows 8.

Desidero soffermarmi su alcune fondate obiezioni all’approccio post PC sollevate dal citato commento: app a tutto schermo vs desktop e finestre, modello app-centric vs document-centric, e la frammentazione fra piattaforme – dal device all’applicazione – che comunicano solo  intra-vendor.

Se viste dal punto di vista di un utente PC, queste rappresentano perdite nette di funzionalità, tanto più che alcune di queste transizioni vanno prendendo piede anche su PC (app store, app full screen). La domanda che sorge spontanea è: se ne poteva fare a meno? Non sarà che, in occasione di un cambio di paradigma, i produttori stiano cogliendo l’occasione per un lock-in?

In effetti l’integrazione verticale hardware-software, popolare nel mondo Apple ma anche in quello Amazon (per ora il più credibile competitor di iPad) e forse prossimamente nell’ecosistema Facebook, implica naturalmente un rischio di frammentazione e lock-in degli utenti. D’altro canto i vantaggi derivanti dal pieno sfruttamento dell’hardware compensano ampiamente – allo stato attuale – questa perdita di libertà.

Se però l’interfaccia che si presenta all’utente non è più il web attraverso un browser, ma dei dati nella nuvola attraverso un’applicazione, è obbligatorio domandarsi cosa rimarrà del web fra 10 anni: un meta-medium com’è oggi o un groviglio di tubi che portano da miliardi di micro-cloud a migliaia di miliardi di app?

Venendo al tema più leggero delle applicazioni full screen, devo dire che allo stato attuale rappresentano l’unica soluzione per fruire adeguatamente di dispositivi touch con schermi da meno di 10″. Sul versante desktop l’app a schermo intero ha effettivamente poco senso, almeno per la maggioranza delle applicazioni – anche se trovo comprensibile che si tenti di introdurre una continuità fra tablet e PC. Devo però ammettere che, limitatamente a specifici scenari,  trovo conveniente usare un’app a schermo intero e più desktop contemporaneamente in luogo di un solo desktop zeppo di finestre sovrapposte.

Veniamo a quello che a mio avviso rappresenta il più preoccupante elemento di questo cambio di paradigma: il passaggio da un modello centrato sul documento a un modello app-centrico. Questo significa che, come per esempio accade con le applicazioni iWork per iPad, ogni singola applicazione gestisce una libreria di documenti, i quali non esistono come entità a se stanti, ma solo all’interno dell’applicazione che li ha creati. Si tratta di una limitazione figlia della scelta di Apple di non integrare in iOS un’interfaccia per la manipolazione diretta del file system.

Da quelle applicazioni che, come Dropbox, integrano un file system, le applicazioni di produttività targate Apple importano i documenti nella propria libreria, piuttosto che aprirli e modificarli.

I documenti creati si possono poi esportare in formati comuni – ci mancherebbe – ma è innegabile che questo genere di lock-in sia un passo indietro anche rispetto al già fastidioso lock-in che avviene tramite l’uso di formati di file proprietari.

Più in generale la perdita di controllo sul file system implica la definitiva perdita di controllo sui propri dati, e per questo rappresenta una severa limitazione della libertà d’uso di un dispositivo. Una limitazione rispetto alla quale non esiste contropartita che possa ritenersi sufficiente, compresa la promessa maggior semplicità d’uso. A meno che, ovviamente, non si consideri il tablet come secondo o terzo dispositivo, nel qual caso però risulterebbe fuorviante parlare di “post PC”.

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