I limiti dell’iPad: un caso pratico

Per mesi ho letto e sentito parlare di iPad. Già prima di comprarlo sapevo che era in grado di fare un buon 80% di quello che normalmente faccio con un computer – sebbene in modo diverso – più molte altre cose. Ho dato per scontato il fatto che quel 20% di cose che non poteva fare non fossero quel che alcuni amici programmatori definiscono efficacemente uno “show stopper”. Mi sbagliavo.

Ci tengo a precisare che tutto quello che leggerete discende da una mia specifica esperienza di utilizzo del dispositivo. A voi giudicarne la congruenza con le vostre specifiche aspettative ed intenzioni d’uso.

Veniamo al dunque, partendo dalla generale fruibilità dei dati preesistenti su iPad. Premetto che sul lavoro riesco ancora a fare a meno di MS Office e svolgere tutta la mia attività lavorativa con iWork, la suite office di Apple per Mac. Questo significa che la gran parte dei documenti che creo durante il mio lavoro – fogli di calcolo per i centri media, preventivi per clienti, presentazioni etc. – sono fatti con iWork. Appena appreso dell’esistenza di iWork per iPad ho pensato che bastasse rendere disponibili quegli stessi documenti via cloud (Dropbox o iDisk) per poterli visualizzare ed eventualmente editare da iPad comodamente seduto sul mio divano.

Non che editare un foglio di calcolo con iPad sia l’esperienza più appagante che un utente tecnologico può immaginare, ma se riesce a risparmiarti la seccatura di trasportare 3 KG di computer in giro per il mondo magari ne vale la pena.

Con mia grande sorpresa ho scoperto che purtroppo la possibilità di editare documenti creati da altre piattaforme su iPad esiste, ma non esiste la possibilità di salvare quegli stessi documenti, ovverosia di sovrascriverne la versione precedente con quella modificata, indipendentemente dal dispositivo che l’ha modificata.

Il motivo è molto semplice: le applicazioni iWork per iPad, invece di leggere documenti sul cloud e salvarli nello stesso punto come farebbe un computer, importano quegli stessi documenti in una loro libreria (una per applicazione, quindi una per lo spreadsheet, una per il word processor etc.) e da lì li editano. Finito l’editing il documento rimane all’interno della libreria della singola app, non nella directory da cui è stato pescato. A quel punto, per rendere le modifiche eseguite accessibili anche da altri dispositivi, l’unica possibilità consiste nell’esportare il documento appena modificato attraverso iDisk, altre piattaforme Apple o su server che supportano il protocollo WebDAV.

Quindi se dall’applicazione Dropbox per iPad ho importato un documento in Keynote (l’equivalente di PowerPoint) per iPad, potrò modificare quel documento ma non potrò esportarlo nella stessa locazione, dal momento che il popolare disco virtuale non supporta il protocollo WebDAV e non è fra i servizi cui iWork per iPad può esportare i suoi dati. Se quindi ho scelto Dropbox come servizio – tra l’altro una scelta di gran lunga preferibile al pessimo iDisk di Apple – dovrò magari inviarmi via mail il documento e, tornato davanti al computer, ricordarmi di sostituirlo alla versione precedente presente su Dropbox.

Se pure utilizzassi iDisk, dovrei comunque salvare una nuova versione del documento, non potendo per le ragioni menzionate sovrascrivere il documento originale. Il che è molto poco pratico nel caso di file di grosse dimensioni – anagrafica clienti, contabilità etc. – cui si apportano piccole e frequenti modifiche.

Credo che sia normale adeguare i propri modelli d’uso in modo da trarre il massimo vantaggio dagli incrementi di produttività offerti da una nuova tecnologia. Il problema è che in questo specifico merito, l’iPad complica il mio flusso di lavoro con procedure astruse, che mi rendono meno produttivo di quanto sarei se invece mi portassi un computer dietro.

Date queste considerazioni, sarebbe molto più facile preservare la mia produttività preferendo all’approccio app-centrico di Apple quello browser-centrico di Google, ovverosia avere i documenti e le applicazioni per l’editing degli stessi direttamente dentro il browser, come succede con Google Docs. Ne risentirebbe la fruibilità complessiva, la ricchezza dell’esperienza d’uso e degli strumenti di editing ma la produttività aumenterebbe di certo.

Passiamo ad un esempio se vogliamo più dozzinale ma credo comunque significativo. Quest’estate ho fatto una lunga vacanza in Spagna: quale miglior modo di sperimentare le capacità di iPad come dispositivo da viaggio e non solo da divano? Armato delle migliori intenzioni l’ho messo in cima a tutti i miei bagagli, salvo dover ricorrere regolarmente al caro vecchio Mac. Il motivo? Benché in Spagna Internet sia accessibile molto più che in Italia – dalla pensioncina alla tavola calda fino all’hotel di lusso – capita che molte strutture alberghiere facciano uso di sistemi di autenticazione della connessione basati su protocollo RADIUS.

In pratica ci si trova di fronte a una rete WiFi aperta ma, appena si prova a visitare un sito da quella rete, si viene proiettati una pagina in cui vengono richiesti username e password (nel caso dell’hotel forniti dalla reception). Premetto che questi sistemi mi hanno creato moltissimi problemi anche da Macintosh, ma con iPad posso dire che nel 99% dei casi (in tutto ho cambiato una dozzina di alberghi) non hanno funzionato. In alcuni casi sono riuscito a salvarmi connettendomi via cavo da Mac e quindi creando una rete wireless per condividere la connessione, ma non si tratta certo di una soluzione ottimale.

Non posso ovviamente garantire la replicabilità di quest’ultimo esempio, che comunque non ha mancato di farmi riconsiderare la possibilità di viaggiare senza computer.

Con tutto ciò ovviamente non voglio abbracciare le tesi di chi reputa l’iPad e il tablet in generale una moda passeggera o negare che la fase post-PC si sia avviata. Ci sono cose “vecchie” che l’iPad fa benissimo, ci sono cose nuove che l’iPad consente di fare e il computer semplicemente no. Ma allo stato attuale, per la mia esperienza, l’iPad  non è la cura per tutte le malattie e non rappresenta – anche quando equipaggiato di tastiera – qualcosa di idoneo a rimpiazzare un computer, neppure in vacanza.

Già, perché ancor più che l’abitudine all’interfaccia, un dispositivo come l’iPad necessita di una serie di condizioni esterne che al momento attuale non si possono dare per scontate. Da una tecnologia cloud matura e realmente ubiqua (o ben integrata col dispositivo, come si spera con iCloud) fino a sistemi di autenticazione per le connessioni WiFi condivise aggiornate per supportarlo.

Fino a quanto queste condizioni, e mille altre che non ho avuto modo di approfondire, non saranno soddisfatte, chi pretende di usare l’iPad al posto del computer lo farà a spese del suo tempo e della sua pazienza. E del suo bagaglio, che non potrà non comprendere anche il fido PC.

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