

Questa volta bersaglio dello IOC, il Comitato Organizzatore dei Giochi, sono i blog. Il comitato ha infatti ha stabilito precise regole per consentire (bontà loro) agli atleti di tenere dei blog prima, durante e dopo le manifestazioni sportive.
Le regole dettate impongono la creazione di soli blog indipendenti e non sponsorizzati, nei quali sarà possibile parlare solo ed esclusivamente dei giochi senza poter postare alcuna immagine o video. Contenuti castigatissimi, insomma, che non dovranno per nessun motivo esulare dall’argomento sport. La pena per la trasgressione della regola non è dato saperla, ma forse è meglio così.
Non dubito che tutti gli atleti si atterranno rigidamente a queste regole, del resto a chi piacerebbe passare anche solo quale ora nelle prigioni cinesi? Ciò che mi scandalizza è la generale “mollezza” della comunità internazionale la quale, anziché rifiutare con fermezza questi scandalosi soprusi, li accetta passivamente. Del resto “business is business” e le Olimpiadi sono un gran business, che importa dunque dei diritti umani?
Mi viene in mente a questo proposito, il recente documento fatto firmare agli atleti inglesi, dalla British Olympic Association, nel quale questi si impegnano a non parlare male della Cina. I soprusi e le censure, quindi, non giungono solo dalla dittatura asiatica, ma anche dalla “grande” democrazia occidentale.
Indubbiamente le Olimpiadi sono (o almeno, erano) un altissimo momento di civiltà e rappresentano per molti atleti l’unica opportunità nella vita di raggiungere l’oro più prestigioso. È altrettanto indubbio che le Olimpiadi possono essere uno strumento per coinvolgere la Cina in un più ampio processo di rinnovamento e avvicinamento ai valori umani propri della nostra civiltà.
Tuttavia, come peraltro dico spesso, ci sono delle soglie di compromesso che non è a mio avviso accettabile superare e, in questo caso, queste soglie sono state abbondantemente superate.