Avevo chiuso lo scorso pezzo su Facebook affermando che, dopotutto, le fonti USA da cui mi approvvigiono di notizie avevano fatto bene a non esprimere opinioni precoci sui primi giorni di scambi del titolo. La più grande quotazione della storia del Nasdaq, la prima dopo lo scoppio della bolla delle dotcom, meritava perlomeno un giudizio ponderato.
Dopo il sostanziale collasso dei primi giorni, le azioni di Facebook ondeggiano fra un -27% e un -30% rispetto al prezzo stabilito per la IPO ($ 38). La capitalizzazione di mercato del social network per antonomasia è passata dunque dai circa 104 miliardi di dollari al prezzo di collocamento, ai 57,51 dell’ultima chiusura (ieri, 4 giugno). A titolo informativo è utile ricordare che l’ultimo investimento fatto in Facebook sul mercato privato, valutava l’azienda a 50 miliardi. Un dato che molti hanno mancato di mettere a confronto con la somma simbolica di 100 miliardi ventilata nelle settimane precedenti all’IPO. Un dato che tuttavia, confrontato con l’attuale capitalizzazione, inquadra non un boom ma una crescita.
Mi fermo a questi semplici dati perché non ho elementi né competenze per sviluppare ulteriori analisi, particolarmente quando estese nell’ambito della speculazione. Vorrei piuttosto confrontare questi dati con le posizioni di alcune testate editoriali online specializzate sul mondo dell’ICT.
In particolare si va dalla cautela di Pandodaily (una delle testate fondate da fuoriusciti di Techcrunch) al “brivido terrore e raccapriccio” di Business Insider. La parola magica, manco a dirlo, è bolla: un termine che nelle orecchie degli ultratrentenni riecheggia la fine degli anni ’90 e l’infrangersi delle prime illusioni circa le proprietà taumaturgiche della rete sull’economia. Dunque bolla sì/bolla no: uno spartiacque spesso tornato a galla parlando delle quotazioni stellari raggiunte da aziende con modelli di business tutti da dimostrare, sul mercato privato.
Davanti a opinioni così divaricate vorrei far pesare qualche elemento di buon senso, condito da un dato meramente pubblicitario che, come già ebbi modo di sostenere, offre una chiave di lettura interessante alla valutazione di Facebook. Innanzitutto non riesco a disseppellire il termine “bolla” poiché, a differenza di quanto avveniva una dozzina d’anni fa, l’entusiasmo è rimasto confinato al mercato privato, dove operano investitori perfettamente coscienti dei rischi che si assumono. Se ai tempi della vera bolla, aziende senza modelli di business venivano lanciate in borsa e date in pasto a investitori armati di null’altro che entusiasmo, è stato proprio il mercato stavolta a stemperare le effervescenze pre-IPO, portando la valutazione della società ad un livello che comunque ha garantito lauti guadagni a molti investitori.
Non c’è stato l’atteso boom, una serie di disfunzioni ed errori strategici hanno trasformato la IPO del secolo in un flop, ma l’azienda c’è. Cosa me lo fa dire? Una divisione: 57,51 miliardi/900 milioni. La valutazione più aggiornata del titolo fratto il numero di utenti di Facebook. Il risultato? 64 dollari per utente. $ 64.000 CPM, una bestialità in un mondo in cui le DEM si vendono a 10/20 € CPM (costo per mille utenti). Ma guardiamo ai nostri $ 64 come al valore dell’utente lungo tutta la sua vita. Al valore di quell’utente non come semplicemente profilato in base a sesso, istruzione, area di residenza, ma in base a preferenze espresse qualitativamente. In base alle sue relazioni. In base alle sue abitudini, anche geolocalizzate. Il tutto, aggiornato continuamente, di propria spontanea volontà.
L’unica sfida: la legge. Gli stati che difendono la privacy dei propri cittadini. Gli esiti di una votazione in cui la stessa azienda ha chiesto ai propri utenti di valutare modifiche ai termini di servizio. Un’arma puntata contro Facebook così come è puntata contro Google, il data miner per eccellenza. La spunteranno? Riuscirà la legge ad incidere in maniera significativa sul core business del primo social network (e del primo motore di ricerca)? Riusciranno gli utenti a mettere la propria volontà sopra gli interessi economici di Facebook? Personalmente non lo credo. Lo auspico ma non lo credo. Piuttosto credo, e temo, che alla fine prevarranno gli interessi di Zuckerberg.