Un titolo del genere sembra giungere dalla fine degli anni ’90, dall’epoca dell’esplosione di Napster e del P2P. Eppure è più attuale in questi giorni, dopo che un decennio di musica digitale sta davvero debellando il CD, dopo che il business della distribuzione musicale digitale va in qualche modo stabilizzandosi attorno a due modelli: streaming in abbonamento e download a pagamento.
Ultimo in ordine cronologico a puntare l’indice contro la musica “liquida” è Slash, già chitarrista dei Guns ‘n’ Roses, il quale vede nella musica scaricata qualcosa di privo di ogni magia, un’entità impersonale, laddove ai tempi del CD avevi un libretto da sfogliare con testi da leggere, foto. Un minimo di contesto dietro le note ascoltate, per entrare in una relazione più profonda con l’artista.
C’era poi l’album, spesso composto da un paio di hit e una serie di corollari di bassa qualità, a volte tuttavia latore di un’esperienza non scindibile in singole parti, e in qualche rara occasione composto da una serie capolavori – Rubber Soul dei Beatles o Pet Sounds dei Beach Boys per dire i primi due che mi vengono in mente.
C’era infine una qualità di registrazione piuttosto uniforme e comunque migliore di quella offerta dall’audio compresso, particolarmente quando fruito in modo “casual”, in mobilità. Almeno questa è la posizione di Neil Young, su una diatriba – musica liquida vs supporti fisici – che va avanti da decenni. Diatriba che Apple ha tentato – forse invano – di comporre con “Mastered for iTunes”, una soluzione che tuttavia non fuga molte perplessità circa i formati di compressione lossy.
Ho volutamente volato radente sui temi di cui sopra – di cui ben sapete e d’altronde abbiamo parlato spesso – per soffermarmi su un punto che mi pare si trovi a monte di tutto ciò. È una domanda che mi assilla da tempo e alla quale francamente non vedo monte risposte: in che modo la digitalizzazione del business musicale sta retroagendo sull’esperienza finale della musica?
Lo dico, badate, partendo da una fede storica e (inizialmente) incondizionata sulle magnifiche sorti e progressive dei nuovi modelli distributivi.
Sarebbe facile intavolare un discorso sul fatto che la musica di oggi non vale come quella di allora, che di Pink Floyd, Jethro Tull, Bob Dylan, o anche Skid Row e GnR, non se ne vedono più da anni. Che le glorie del passato si sono tutte imbolsite e dopotutto non c’è stato un ricambio generazionale. Che in tempi di vacche magre il marketing si è impossessato della produzione musicale. Entreremmo in territorio di opinioni, peraltro incardinate nell’anagrafe di ciascuno, senza arrivare da nessuna parte.
Il problema a mio avviso è la dispersione, l’atomizzazione della musica. Cerco di delimitare il concetto anche se so che sarà dura data la vastità del tema e lo spazio limitato a disposizione. Un po’ come le notizie – che diventano atomi fuori contesto mano a mano che le testate giornalistiche perdono d’importanza nella “dieta informativa” di ognuno di noi – anche la musica sta diventando atomica, dispersa al di fuori di percorsi non dico di genere ma di comprensione. iTunes Music Store bombarda il visitatore con centinaia di input simultanei. Cento volte il catalogo dei più grandi negozi di dischi di un tempo, senza l’ombra di un venditore a consigliarti un ascolto, ad aiutarti a costruire il tuo percorso musicale. Un percorso, c’è da tenerlo presente, che inevitabilmente alla fine escluderà molto più di quello che includerà. In altre parole, come rispose Eco ad una domanda del sottoscritto circa le logiche che dovevano presiedere alla creazione di ipertesti, si rischia che il turista arrivi a Bologna e si perda la visita a Piazza Maggiore.
Di fronte alla gravità e portata di questo problema quelli sollevati sopra mi sembrano piuttosto banali, se non del tutto campati in aria. Eppure non vedo clamore mediatico e spremitura di meningi su questo tema, non certo in proporzione alla sua importanza. Lo stesso business musicale guarda da un lato (quello delle major) ai margini, dall’altro (quello degli intermediari digitali) alla disponibilità, senza il minimo accenno di attenzione verso il problema della contestualizzazione e della selezione, dell’ordine nel caos che la digitalizzazione ha creato.
Se dovessi nominare una direzione per la soluzione del problema sollevato, questa si chiamerebbe “curation”, ma con una logica gerarchica, basata sull’esperienza, non certo numerico-statistica (le hit si Beethoven scelte dai nostri utenti!). Una digitalizzazione non più della musica, ma di quelle figure – ne conoscerete mezza dozzina almeno – che nella vita di ognuno finiscono per fungere da “hub” di competenza musicale, impossibili da “emulare” su basi puramente algoritmiche o social. Vivremo abbastanza per ricordarcene?
PS Mi verrebbe da nominare anche la radio fra le possibili soluzioni al tema della “curation”, se non fosse che, digitalizzatesi e moltiplicatesi anche quelle, sarebbero esse stesse da “curare”!
la musica come cultura e forma d’arte è degradata in maniera abbastanza irrimediabile, per la massa.
Rimangono nicchie importanti, e rimarranno.
Da qualche tempo alcuni miei amici hanno aperto un negozio di dischi in vinile: fanno affari d’oro, e ciò la dice lunga.
Secondo me quello proposto è un “falso” problema: da una parte l’atomizzazione della musica e la necessità di crearsi un percordo musicale adeguato possono essere compensati dallo stesso abbondare di informazioni (AllMusicGuide ad esempio è un ottimo punto di partenza); dall’altra chi non è avezzo allo sfruttamento delle potenzialità del media (internet nello specifico) non è evidentemente interessato ad usufruirne, e si creerà una figura retorica classica e già esistente (nel mondo fisico come in quello virtuale), il consumatore inconsapevole. Ma non date la colpa all’atomizzazione.
dischi-vinili-dischetti-mp3-itunes… sono solo contenitori…..
la qualità artistica, il valore umano,le emozioni,la bravura musicale…. sono altre cose……
Sono sempre le major che hanno ucciso la musica.
I grandi nomi citati nell’articolo sono anche “grandi” rischi per grossi investimenti.
Sono personaggi anche non facilmente controllabili.
Un’azienda di grosse dimensioni non può permettersi questi rischi.
Per questo si cercano di pubblicizzare a più non posso piccolo gruppi e/o singoli dell’ultima ora come se fossero divinità in terra.
Servono per abituare il pubblico alla mediocrità e all’immagine ( conta di più di ogni altra cosa il video invece che il brano ) , e dopo mesi e anni ovviamente ci sono riusciti.
In questo modo si può preparare l’ultimo grido ogni 3/4 mesi ( mediocre rispetto ai grandi ), usarlo e sfruttarlo in quel lampo, per poi farlo sparire e lanciarne un altro.
Provate per un attimo ad immaginarvi di abituare i “consumatori” ai grandi già citati, o alla musica classica.
Se i consumatori finissero per diventare “istruiti”, sarebbe un danno enorme!
Sarebbe impossibile andare a cercare e trovare artisti e opere di quella portata in continuazione, un sacco di lavoro in più e incertezze sugli investimenti.
Se nascesse un Beethoven ai giorni nostri sarebbe stroncato sul nascere ( o indirizzato e traviato ) perchè sarebbe “un male” per i futuri affari.
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dischi-vinili-dischetti-mp3-itunes… sono solo contenitori…..
la qualità artistica, il valore umano,le emozioni,la bravura musicale…. sono altre cose……
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Non sono d’accordo. La distribuzione classica rimetteva all’artista la scelta della composizione dell’album. La sua struttura era parte delle scelte artistiche, al pari delle sonorita’, della copertina, e di tanti altri elementi.
E’ indubbio che oggi il grande pubblico non premia realmente l’arte. Altrimenti non avremmo sempre e costantemente tra i primi posti canzoni fatte per durare una stagione o poco piu.
Se le ‘hit’ degli anni 60, 70 e in qualche modo anche anni 80 erano canzoni che vengono commercializzate ancora oggi, un motivo ci sara’ pure stato.
Oggi il pubblico della musica, e in misura forse non altrettanto grave anche del cinema, vuole l’ascolto non impegnativo: ecco perche’ non e’ possibile proporre gli album ad un prezzo simile a quello che avevano 30 anni fa. I brani sono perlopiu’ usa e getta, che non valgono piu’ di pochi cents.
La distribuzione digitale, fatta come e’ fatta oggi, e’ senz’altro un veicolo commerciale slegato da qualsiasi aspirazione artistica.
Esattamente la ragione per cui non puoi proporre merendine industriali allo stesso prezzo di dolci di pasticceria. Ne puoi chiamarli prodotti di arte culinaria: il loro unico scopo e’ fare soldi (per chi li produce) e riempire rapidamente un buco nello stomaco o un capriccio (per chi li acquista).
Il supposto degrado va inserito in un contesto storico. Beethoven al suo tempo era un fatto d’élite così come i King Crimson, Philip Glass o Brian Eno. Il ruolo dell’industria dei contenuti non è tuttavia quello quello di educare. Se per andare incontro ai gusti della massa si sacrifica una nicchia la partita doppia non ne risente se non positivamente. (anche questo poi, quanto è vero?)
Ad ogni modo il problema posto nel pezzo riguarda la scomparsa di quei “solchi” culturali che incanalavano il pubblico verso la qualità. È anche questo un problema di massa ma osservato da una prospettiva non economica quanto prettamente culturale.
In due parole, se il sistema di distribuzione digitale della musica serve meglio di quelli precedenti a diffondere la musica (ampliare orizzontalmente il mercato), lo fa sacrificando l’ordine, la rilevanza, e in ultima analisi azzerando il rapporto segnale/rumore.
Il che potrebbe non essere un problema data la dominanza di una fruizione “casual” della musica, ma lo diventa quando un utente desidera addentrarsi in un percorso qualitativo, farsi un’opinione, una cultura, grattare oltre la superficie.
@ Alessio di Domizio
Se stiamo parlando di ordine e di desiderio di addentrarsi in qualcosa di più qualificante stai parlando parlando di educazione, o meglio, di cultura musicale… ma allora in tal caso, non credo debbano essere le case discografiche e farla.
Quello a cui ti riferisci forse dovrebbe essere fatto da altri o in altre sedi.
La musica in quanto tale, resta musica indipendentemente dal supporto usato.
Sì, il problema riguarda la cultura musicale in rapporto ai canali digitali di distribuzione e si esprime nei termini di una eccessiva dispersione dell’offerta.
In altre parole un sistema modellatosi attorno al bisogno di servire un pubblico ampio e “casual”, si è irrigidito a tal punto da non riuscire a servire altri pubblici che questo.
a dire il vero se si vuole contestualizzare il contesto musicale lo si può fare.
Se non sbaglio i Pink Floyd hanno fatto in modo che da iTunes non si potessero acquistare i singoli brani di The Wall ma l’intero album perchè ogni singolo pezzo, preso nell’ordine esatto, esprime un percorso musicale che identifica l’album stesso, cosa che non sarebbe possibile ascoltandone uno solo.
Sempre se non sbaglio per ottenere questo vincolo avevano fatto qualche causa, però non ricordo bene.
Qualcuno ha memoria più lunga della mia?
un paio di anni fa scrissi un articoletto a proposito della cultura musicale e la “rivoluzione liquida”:
http://www.homerecording.it/articoli/mondo-audio/733-lera-della-musica-liquida-progresso-tecnologico-o-crisi-della-cultura-musicale.html
Grazie Alessio, ottimo articolo che mi ha fatto riflettere, anche se le mie idee rimangono un po’ confuse :-/
Gli artisti hanno da sempre dovuto scontrarsi con limiti dei supporti e delle tecniche di registrazione: dal numero delle tracce all’impossibilità di effettuare sovraincisioni a causa di rapporti S/N ridicoli, fino alla restrizione dei circa 25 minuti per lato di un LP. Paradossalmente la musica liquida è in grado di garantire una maggiore libertà e qualità, con costi di accesso inferiori (per la produzione, poi entrare nel giro della grande distribuzione è un altro discorso). Detto ciò anch’io sono mediamente perplesso dalla qualità della musica “di largo consumo” odierna, sia artistica che tecnica (vedi la famigerata “loudness war”).
@stefanogiron
Ricordi bene, ma mi sembra anche che all’epoca di The Wall qualche singolo su 45 giri fosse uscito.
Ultimo pensierino random: ricordo che qualche tempo fa ho letto di uno studio dove un campione di giovani consumatori venne sottoposto ad una serie di ascolti alla cieca: la maggioranza preferì un MP3 a basso bitrate rispetto ad un formato lossless, e ciò la dice lunga sulle abitudini e la percezione degli ascoltatori moderni.
E’ vero che la musica “leggera” oggi non è più quella che era tempo fa. Ma questo è solo naturale. Veniamo da anni in cui la musica era il portabandiera di una rivoluzione: avere l’impianto stereo in casa era uno status symbol perché tenerci a sentire bene la musica (“quella” musica, che gli amanti della classica dello stereo se ne fregavano) voleva dire fare propri tutta una serie di valori, era il segno di una scelta. Un manifesto politico, potremmo dire.
Adesso la musica sta tornando a essere quella che era prima degli anni ’60-’70, cioè un divertimento prima di tutto (e difatti i compattoni imperano e gli stereo declinano) e una forma di cultura solo in seconda battuta, solo per chi se ne interessa sul serio. La maggioranza degli ascoltatori di oggi non andrà mai oltre la hit parade del momento alla radio e sarà contenta così.
Per me è questo fenomeno, più che il fatto dei formati o della musica liquida/solida, che sta cambiando il panorama musicale oggi… certo i megastore online sono quel labirinto senza senso che dite, ma ci sono sempre i concerti dal vivo, il passaparola degli amici. Al limite, Mtv o la radio. Se vuole, uno sa dove cercarsi le info necessarie a scegliere, è sempre stato così. Ma se già a monte non gli interessa cercare, beh allora non c’è verso. :-(
La musica è già stata uccisa dai CD e dal tasto SKIP.
L’LP costringeva ad ascoltarlo tutto e, di conseguenza, costringeva gli autori a riempirlo di brani almeno dignitosi, col CD si è arrivati ad avere dei singoli decenti circondati da spazzatura.
Il download e lo streaming hanno semplicemente esasperato questo concetto.
NOn sono un appassionato di Musica
E nemmeno un pirata
Ma dall’epoca di Napster non compro piu’ nulla.
La pirateria all’inizio ha fatto perdere il valore del disco posseduto. Il risparmio del mese per comprare l’album del momento e’ finito da un pezzo.
Poi con itunes e i vari servizi di streaming hanno fatto disperdere ancora di piu’ il valore della musica.
Ancora qualche hanno e per gli artisti non ci sara’ piu’ la scalata al successo.
Qualcuno riuscira’ ad emergere per un brano. E poi ricadere nel dimenticatoio.
Non ci sara’ mai piu’ un Prince un Micheal Jackson, una Madonna e nemmeno un cantautore italiano.
Ci saranno i gruppi locali per concertini live.
Ed intrattenimento per i matrimoni
Anche MTV e simili non saranno piu’ fondamentali. 30 canali di video e youtube infinito disperdono e frazionano il successo.
Tra 30 anni la musica di successo sara’ sempre quella fino agli anni 80 (se piacera’) e poi un milione di brani di un milione di persone
i miei 2 centesimi:
– non si può paragonare la musica degli anni 80 con quella di oggi e la sua diffusione. i tempi cambiano e la velocità di informazioni di oggi tendono a consumare molto più velocemente i brani. credo che molte hit degli 80 avrebbero fatto la stessa fine vengono suonate ancora oggi solo perchè il numero di tracce era molto più piccolo.
– il percorso musicale è una baggianata da gente che segue le mode. io personalmente ascolto musica dance/house ma ascolto anche dal rap dei Club Dogo a canzoni della Pausini passando per i Depeche Mode. la verità è che oggi ognuno (se vuole) può farsi il percorso musicale che vuole. se uno rimane nella sua sfera significa solo che non ha interesse ad esplorare altri campi ed è felice di farsi dire dagli altri che musica ascoltare.
– l’ultimo paragrafo è sui cd. io sono anni che dico che gli artisti dovrebbero fare solo singoli. sappiamo tutti che un artista che fa album ogni anno, all’interno del cd (10-12 canzoni quando ce ne starebbero 20 alla faccia dello spreco) avrà al max 2 canzoni degne di nota che sono quelle che poi trasmettono in radio. quindi non faceva prima a fare solo quei 2 singoli a distanza di 6 mesi? avrebbe guadagnato di più da radio e diffusione ufficiali e anche dalla vendita al dettaglio del singolo perchè probabilmente 99cent per la sua hit li avrei anche spesi.. 10 euro per il cd intero NO.
internet ci ha donato la fantastica possibilità di scegliere dobbiamo sfruttarla
bye
@Francesco
Quello che scrivi è di una tristezza spaventosa…
e non parlo dei tuoi gusti musicali o delle tue idee riguardo ai percorsi musicali, ma mi riferisco alla tua considerazione dei CD e degli album in generale.
Tornando all’argomento dell’articolo trovo che il possedere un qualcosa di fisico, che sia un CD, un vinile, una musicassetta, ma anche un supporto digitale (una chiavetta, una scheda di memoria, perché no?), doni un esperienza d’ascolto superiore a qualsiasi mp3 scaricato dalla rete. E non parlo di qualità audio, ma principalmente di godimento della registrazione, di vicinanza all’artista, di contatto fisico.
Per me avere questo contatto fisico, determinato dal supporto stesso, dal booklet da sfogliare, dalla custodia da maneggiare, faccia parte dell’esperienza di ascolto.
Non credo che il cd possa morire facilmente: tante persone, come me, hanno bisogno di questo contatto fisico…non a caso proprio negli ultimi anni è tornato in voga il vinile, quando invece non se ne vedevano più dalla metà degli anni ’90. E questo è un segno inequivocabile di quanto sia importante poter “toccare” la musica, cosa che non è assolutamente possibile con dei freddi mp3.
@ andres
Condivido sostanzialmente l’idea del tuo pezzo. Quello che posso aggiungere è che questo modello di fruizione “distratto” e “multitasking” esiste fin dai tempi della radio commerciale. La musica liquida, date le sue modalità di fruizione e di possesso, andrebbe forse considerata alla stregua di un’estensione della radio piuttosto che del CD o del vinile.
Detto questo sarebbe interessante capire, con un po’ di dati, se il numero di persone che si siedono per ascoltare musica come farebbero per leggere un libro, sia divenuto una nicchia in rapporto alla massa di quelli che oggi fruiscono di musica liquida, o se sia diminuito in assoluto.
Ho idea che sia vera la prima ipotesi ma mi pongo il problema della capacità del sistema nel suo insieme di creare le premesse per una fruizione diversa da quella “distratta”, in futuro.
@Alessio
Io invece credo sia proprio diminuito, e di parecchio.
Non solo per la digitalizzazione, ma per il cambiamento culturale a cui mi riferivo, legato alla digitalizzazione, alla quantità e alla gratuità ecc… ma non identificabile con esso.
Penso ad amici che credo possano rappresentare un “ascoltatore medio”.
Quindici anni fa, se compravano un CD, pur non essendo degli appassionati o dei musicisti, passavano davvero del tempo ad ascoltarlo.
Ne parlavano.
Volevano farlo sentire ad altri.
Un artista poteva essere una scoperta.
Forse è anche questione di età, ma oggi è lontanissima da quelle persone l’idea di ascoltare un disco in digitale, parlarne, avere maggiori informazioni sull’artista.
Al massimo condividono su facebook un video da youtube.
@ marco tante persone come te io non ne vedo.. e comunque hai solo detto che non sei d’accordo con me ma non hai detto il perchè.. ma immagino che sia proprio per i gruppi che ascolto ma a me non interessa proprio niente..
e poi condividere un cd tra amici di un artista emergente equivale a linkare una canzone su Fb agli stessi.. cambia solo il mezzo.
ah ma forse voi siete di quelli che chiuderebbero wikipedia per tornare nelle biblioteche..
bye
“C’era poi l’album, spesso composto da un paio di hit e una serie di corollari di bassa qualità, a volte tuttavia latore di un’esperienza non scindibile in singole parti, e in qualche rara occasione composto da una serie capolavori – Rubber Soul dei Beatles o Pet Sounds dei Beach Boys per dire i primi due che mi vengono in mente…”
Altro che rara occasione…dal 1965 al 1979 posso elencare una serie di capolavori assoluti che sfora il centinaio abbondantemente!
Poi è finito tutto, ed è stato molto prima dell’avvento di napster.
Lo spartiacque ideale tra l’età dell’oro e l’oscurantismo è Breakfast in America dei Supertramp.
e’ giusto che la musica torni ad essere divertimento, tutta la musica prodotta per dare l’idea di portare messaggi di valore, di denuncia sociale etcc.. e’ sempre stata solo un bluff per vendere dischi, un “valore aggiunto” che era obbligatorio inventarsi per sopperire allo scarso se non spesso proprio nullo estro artistico dei “musicisti”. pensate forse che i guns’sn’roses con i loro atteggiamenti, vestiario etc.. non fossero tutto un prodotto commerciale studiato a tavolino per far presa sugli adolescenti(e non solo)sprovveduti? allora 1000 volte meglio madonna, la canzoncina estiva che non vuol dire niente ma e’ tanto orecchiabile perche’ almeno e’ sincera in quello che ti da’.
La distribuzione digitale e l’iPod hanno sicuramente modificato il modo in cui consumiamo musica.
Però mi viene difficile pensare che chi abbia davvero voglia di avere un vinile, un cd con il librettino, una qualità raw che gratifichi il denaro speso in un impianto ad alta fedeltà, non abbia la soluzione che lo soddisfi.
Forse prima si era “obbligati” a prendere tutto il pacchetto, o una buona parte di esso. Da vedere se questo fosse apprezzato (non a parole, effettivamente è difficile da valutare) da tutta la domanda.
I CD originali sono belli ma forse non per tutti i gruppi mi interessano. Non sono un grande acquirente di musica, anzi per nulla (perché non ne ascolto quasi più) ma avere un’offerta più granulare non mi dispiace.
Posso prendere la canzone x dell’album y del gruppo ammiro relativamente e l’album strafigo (o il vinile) di chi credo abbia influenzato la musica.
Insomma ora abbiamo più offerta ed è sicuro. Quando la limitazione tecnologica degli anni passati aiutasse la musica è difficile da valutare. Però non è che i CD e i vinili oggi sono stati eradicati e probabilmente rimarranno lì per la nicchia che è disposta a comprarli ancora per diversi anni. Non pochi credo.
Poi discorso a parte, molto più opinabile, sulla buona e cattiva musica di oggi. Senza fare distinzioni di merito, se ci pensate un attimo oggi viene prodotta tanta di quella musica presumibilmente che può piacere ad ognuno di noi ma che non ascolteremo mai che il filtro del canale pubblicitario (inteso non solo come pubblicità in TV, ma anche come il circolo di appassionati di musica che ti consiglia un nuovo gruppo o l’etichetta indie che ti piace che spinge un artista) è necessaria e fondamentale. Come per tutto oramai.
Siamo troppo interconnessi in un mondo con troppa gente e che gira troppo veloce, per il nostro cervello. Ci vogliono i filtri e li cerchiamo involontariamente e volontariamente (discorso che può essere generalizzato per tutto).
E perchè mai LP bisognava ascoltarlo tutto? la testina si può e poteva alzare benissimo e posizionarla negli appositi spazi vuoti tra le varie tracce :) cmq sono i soliti discorsi, quello che vale per me non vale per gli altri, e se la maggioranza ha scelto così che posso farci? fosse per me dovrebbero vendere solo b&w ed amplificatori valvolari stereo… il problema sono i contenuti odierni, e per quelli basta sinceramente un lettore mp3 cinese pluridolbymegasurround da 9600WPmpo,da quando il consumismo si è impossessato dell’arte questa si è spenta poco a poco, e mi dispiace soprattutto che le radio abbiano perso la loro funzione originaria: far conoscere gruppi emergenti.. è cambiata la cultura stop. certo che c’è da ridere nel vedere come vengono “investiti” i soldi pubblici nel promuovere arte/cinema/musica,e non solo in Italia, ma va beh opinioni.
Capisco di non capire il problema. Io odio l’umanita’, odio la stupidita’ delle persone, per questo accetto come normale l’idea che la grande massa della gente e’ geneticamente incapace di notare la differenza tra Lady Gaga e, ad esempio, BWV565 di Bach. Dal mio cinico ed oscuro angolo non mi interessa minimamente come e quale musica venga diffusa. E vedo questo problema come superfluo.
La musica e’ e sara’ sempre comunque una frazione infinitesima rispetto al rumore. E’ sempre stato cosi’, mettendo da parte gli anni 70, che sono un caso unico nella storia dell’umanita’, dove per un attimo storico le idee, la musica e la cultura delle persone intelligenti e’ stata accettata anche dagli idioti (se penso che negli anni settanta gli equivalenti dei ragazzettini da discoteca di oggi ballavano i Pink Floyd piango).
Ma ripeto, a parte gli anni 70, la gente ascoltava e ascolta merda. Come la merda viene veicolata mi pare un problema minore. La cosa invece positiva e’ che internet e i mezzi digitali permetto a me di fare talent-scout in proprio, e mi permettono di ascoltare e scoprire cose che altrimenti alla radio non verrebbero trasmesse, perche’ gli idioti sono troppo impegnati ad ascoltare qualche triste componi-merda moderno (si lo so, sono odioso, intollerante e arrogante, e la cosa peggiore e’ che me ne vanto pure).
Il problema dell’atomicita’ e’ senz’altro vero. Un idiota va su iTunes ed e’ chiaro che senza una persona intelligente che gli dica “SMETTI DI ASCOLTARE MERDA!! Ecco, questi sono i Velvet Underground, ascoltali, ORA.” l’idiota prendera’ quello che i suoi amici idioti del branco ascoltano, altrimenti sara’ emarginato e non potra’ avere la ragazza etc… etc…
Ma ancora una volta dico: ma e’ questo il problema? Prima c’erano i negozi di dischi, con il commesso che dava i consigli, e siamo arrivati a Justin Bieber. Nulla di tutto quello che c’era prima ha impedito l’arrivo di Lady Gaga. Quindi vale davvero la pena preoccuparsi? Siamo comunque una razza morente, culturalmente arretrata, che si trascina verso l’estinzione. Ha devvero senso preoccuparsi che non c’e’ piu’ il commesso del negozio dei dischi?
@Gendo , non vedo dove sia il disastro nell ascoltare lady gaga, non vedo dove sia questa razza morente (culturalemente o di fatto che sia), ma vedo un uomo che fa conclusioni distorte sull’ andazzo del mondo, deviato nel pensare da una personalita’ nichilista la quale si sa’ fa vedere le cose in termini di bianco o nero, buono o cattivo, impegnato o stupido. Il mondo reale invece e’ tutta una tonalita’ di grigi. Fossi in te comincerei a farmi il favore di mettere in discussione la convinzione di essere quello con gli occhi ben aperti in un mondo di cechi idioti, perche’ un po’ gli occhi chiusi li hai anche tu. Leggerezza non significa necessariamnete idiozia.
@ sandro
mi metto in mezzo per dire che, toni più o meno gradevoli a parte, il problema non è la leggerezza in sé quanto il fatto che tutto stia diventando leggerezza, tutto stia diventando distrazione. leggerezza per compensare quale pesantezza? distrazione esattamente da cosa?
mi pare che tutto si stia modellando attorno al formato usa e getta, anche la cultura e l’arte, di cui la musica a buon titolo è parte.
i mass media, tanto più ai tempi di Internet, trainano questa distrazione di massa, che sempre di più ci mette nella condizione di non dover accendere il cervello. a furia di non accenderlo, non finiremo col perdere l’abitudine?
questo per dire: fra “svago” e “impegno”, cultura pop e cultura pesante, arte fatta con lo stampino e arte, il problema è di proporzioni, e il trend non promette bene per il futuro.
perdonami infine l’estrema banalità e se vuoi antistoricità dell’argomentazione, prendila pure come uno sfogo, ma novant’anni fa svago per la massa significava un matinée al teatro per ascoltare la Traviata a prezzi popolari, non una giornata all’ikea o tre ore ad esplorare il nulla cosmico su facebook. e c’era giusto la più sanguinosa guerra mai combattuta prima da cui distrarsi.
q.e.d,
“Come potete giudicar
come potete condannar
chi vi credete che noi siam
per i capelli che portiamo
facciamo così perché crediamo
in ogni cosa che facciamo
e se vi fermaste un po’ a guardar
con noi parlar
v’accorgereste certo che
non abbiamo fatto male mai….”
Gli anni passano i problemi persistono… cambiano solo le mode.
il problema è altrove, talmente in là che manco io riesco a
definirlo,magari è un fattore di elasticità mentale tutto sommato, però qualcosa non torna, va beh evito le mie elucubrazioni.
ma dai… stiamo buttando nel calderone…
– la pirateria
– il contenitore della fruizione
– la qualità artistica emozionale..
– qualità audio di riproduzione
ecc….
ma come si fa a non considerare che è inevitabile che la cosidetta qualità “scada” x via del fatto che il tempo scorre e di musica se ne produce in continuazione…..che cia su vinile-cd-mp3 ecc… è MATEMATICO!! dagli anni 60 ad esempio vi è un aumento esponenziale dei musicisti,dei fruitori,dei mezzi di diffusione ecc…..
questo porta con se sempre la matematica risposta x cui aumenteranno i prodotti scadenti e contemporaneamente l’offerta maggiore porterà anche a una varietà di prodotti di “qualità”!
se diamo tutti x scontato che la musica è un arte di prim’ordine, dobbiamo capire xchè ci piace e perchè no.. assecondare i nostri gusti, ma sopratutto le nostre emozioni! se queste sono vere e personali, non dobbiamo temere i giudizi dei sedicenti GURU della musica di qualità che in pompamagna osannano i vari vinili o ancestrali maestri della melodia…. oracoli insuperabili e intoccabili!
che ascoltiate britney spears.. o led zeppelin, siate sempre sinceri con voi stessi.. e seguite le note che vi carezzano il cuore; ascoltate.. ascoltate…ascoltate….c’è sempre qualcosa da imparare tra i meno bravi e i meno musicali..
un saluto a tutti
@Alessio Di Domizio
Si tutto vero, ma il problema e’ capire bene qual’e’ il business della “musica”. Il business della musica non e’ fornire agli ascoltatori arte musicale, che delizi i timpani. Almeno solo in minima parte, concediamolo.
Il business vero e’ fornire alle persone delle icone pop da imitare, che gli permettano di avere una sensazione di identita’ posticcia, che facciano sentire i ragazzini e gli adulti parte della massa, uniformati, etc… E se decenni fa ci poteva essere da parte dell’industria un certo feeling naive per questo aspetto, ora non piu’. E’ assolutamente chiaro e palese per tutti che vanno confezionati non album musicali, ma icone pop, rockstar, stili di moda, fenomeni mediatici per i quali la musica e’ solo uno dei tanti aspetti da curare. Lady Gaga non e’ un artista, una musicista, e’ un prodotto di marketing.
In questo contesto la “musica” non puo’ che essere leggerezza, distrazione, usa e getta, eccetera eccetera. Perche’ non e’ arte piu’ di quanto un prodotto venduto al supermercato non lo sia.
Se uno guarda la cosa dal punto di vista di cercare musica, rischia di non capire il fenomeno. Se invece guardiamo il panorama musicale moderno cercando merci, con il loro brand, il loro stile pop, la loro campagna marketing, allora tutto diventa chiaro.
Ma ancora una volta, questo e’ quello che vogliono le persone. Secondo me siamo arrivati qui, non perche’ sono accadute chissa’ quali rivoluzioni, ma perche’ pian piano le aziende della musica hanno pian piano preso coscienza di quale e’ veramente il loro business. Non cercare musicisti e vendere musica, ma fabbricare icone pop, brandizzarle, e vendere stili di vita, mode.
E’ noto che ci sono vari mercati, c’e’ il mercato di chi si vuole stordire in discoteca, il mercato di chi vuole sentirsi figo, etc… e questo produce prodotti “musica” disco, prodotti rap, prodotti heavy metal, etc… Ma non possiamo cadere nell’inganno che il business sia la musica, perche’ non lo e’.
Altrimenti le case discografiche sarebbero alla costante ricerca dei nuovi Pink Floyd, dei nuovi Jethro Tull, etc…, ma non e’ cosi’ perche’ non e’ il loro business. Non e’ quello che la massa vuole. Alla ragazzina di turno, che e’ appena stata mollata dal ragazzettino di turno, serve Ramazzotti e qualche sua banale canzonetta sullo stereotipo stupido dell’amore, non Atom Heart Mother. Per quale ragione dovremmo aspettarci che invece le case discografiche vogliano vendere a lei qualcosa di diverso da Ramazzotti, e quindi evasione, leggerezza, musica usa e getta? E’ proprio quello che lei vuole!
In parte si potrebbe traslare lo stesso discorso sui libri digitali, gli e-book.
Le discussioni di questi mesi vertono proprio sul piacere dell’oggetto libro, con i suoi colori di copertina, con l’odore della colla, con lo sfogliare delle pagine.
Personalmente essendo un grande lettore sono passato da poco agli e-book e per quanto riguarda testi come romanzi o saggi dove vi è solo parola scritta, un e-reader è l’ideale. All’interno vi stanno oltre mille libri e lo spazio fisico occupato da quella tavoletta con schermo da 6″ è veramente minimo oltre alla comodità del trasporto.
Per la musica ho parecchi LP degli anni ’80 e ’90 con bellissime copertine e grandi libretti all’interno.
Già con i CD è andato a perdersi il piacere grafico viste le piccolezze.
La “musica liquida” fa oramai parte di me, il mio smartphone contiene centinaia di brani che posso ascoltare ovunque.
Certo che la qualità di ascolto è quello che è e non può nemmeno avvicinarsi alla riproduzione, anche di un LP, in un medio impianto audio casalingo.
Temo che però il processo sia irreversibile, lo svincolare il prodotto dal contenitore.
Curiosi i giovani che incontro sul bus, sempre di più usano le cuffie stile DJ con ampi padiglioni, forse stanno riscoprendo l’ascolto della musica con un minimo di frequenze disponibili?
@ Gendo
Sono d’accordo, ma solo in parte. Il tuo discorso pari pari poteva essere fatto da un cinquantenne negli anni ’60 parlando dei Beatles.
Ragazzi giovani, piacenti, promossi e “confezionati” come un prodotto, con tanto di merchandising, sponsorship etc.
Dopodiché è certo che i metodi del marketing si siano raffinati, quindi il rapporto buona musica/totale musica potrebbe essere peggiorato. Quel che è peggio, a mio avviso, è che tanto più in uno scenario di questo genere il problema della selezione diventa fondamentale, ma la distribuzione nell’epoca della musica liquida va perdendo questa funzione di “filtro”.
Il che, paradossalmente, potrebbe finire per dare alle operazioni marchettare dei discografici un peso relativo ancora superiore.
Si si naturalmente. Ma proprio come dicevo, se guardiamo la storia dei Beatles, e come sono venuti al successo, e’ palese l’ingenuita’ e l’impreparatezza dell’industria discografica a creare e gestire un fenomeno pop-marketing da zero. La biografia dei Beatles e’ una saga avventurosa dove loro diventano famosi quasi per caso. Ma proprio la similitudine che hai giustamente osservato ci mostra come cio’ che accade oggi non e’ una rivoluzione inedita ma solo l’evoluzione di un processo che esiste come minimo dal dopoguerra.
Ma credo di non capire bene il valore di questo “filtro” che secondo te viene a mancare con la musica liquida di oggi. Io osservando la produzione musicale di massa oggi, negli anni sessanta (nuovamente saltiamo la parentesi anni 70, progressive, etc), negli anni 50, vedo comunque merda per il 99%.
Se te hai in mente il pubblico del seicento/settecento/ottocento, e dici giustamente che la gente per svagarsi andava a sentire la Traviata a teatro, stai pero’ secondo me comparando due cose diverse. Il mass market, la produzione per la massa, il consumismo, all’epoca non c’erano. Nessuno dei grandi che conosciamo noi scriveva o componeva pensando a come vendere di piu’, al maggior numero di persone. Shakespeare non scriveva per il contadino inglese, Bach non mangiava grazie al popolano, Mozart non faceva il dj presso un locale frequentato dal popolo bue. Tutta la produzione culturale nasce come svago per il padrone. I grandi che conosciamo noi vivono a corte, vengono nutriti dal nobile, dal vescovo, scrivono e compongono per la chiesa, per il papa, etc… (nella maggioranza dei casi). E questa cultura poi ricade anche sul popolo delle citta’, etc… etc… La cultura popolare era altra. E il cantore del popolo, non componeva sinfonie per orchestra, cosi’ come non si crucciava di narrare le storie dell’amore tra i rampolli nobiliari (Romeo e Giulietta). I temi popolari erano altri.
Ma non capisco dove stia in tutto questo il “filtro” di cui parli.
mi pare corretto il discorso di Gendo Ikari, perchè ora è il “brand” il prodotto da creare e da vendere e come la moda è necessario creare ogni anno una nuova “collezione”.
In effetti la musica sta tornando indietro agli anni ’40 e ’50 dove veniva ascoltata come sottofondo musicale alla radio, con la differenza che oggi si può accedere a frequenze pressoché infinite.
@ Gendo
:-)
Avere TUTTO è come non avere NULLA.
Questa frase penso possa far capire
semplicemente il problema.
vedo a scuola.
uno ascolta xasthur e silencer
un’altro skrillex e magnetic man
un’altro greg howe e mike stern
un’altro ascolta un po’ di tutti i generi a seconda dell’umore
un altro solo musica rock progressiva .. quindi neal morse, pendragon, marillion e simili ..
la frammentazione è solo frutto della migliore conoscenza musicale, il target è semplicemente più preciso, se l’heavy metal di mtv non piace più è perchè probabilmente la frammentazione di esso fa si che si siano creati nuovi mercati, un bambinone thrasher di quarantanni non sempre tollera burzum e viceversa ..
la musica popolare ( escludo quindi la classica colta e sperimentale dal discorso generale perchè richiederebbe una argomentazione distinta ) è cresciuta talmente tanto che chi non è rimasto al passo non comprende i fork abissali che si sono generati all’interno di essa negli ultimi 50 anni.
// Avere TUTTO è come non avere NULLA.
// Questa frase penso possa far capire
// semplicemente il problema.
un falso problema, perchè non è possibile avere tutto, facendo una nuova conoscenza si puo’ avere solo tanta ignoranza in più.
e l’ignoranza è sorella della supponenza.
@Gebdo
Condivido in pieno
@Alex del Viero
Credo proprio di si
Aggiungerei che oggi si fa musica solo per fare soldi. Un vero artista non dovrebe cagare continuamente canzoni per rimanere a galla nelle classifiche ma fare musica solo se ha effettivamente qualcosa da dire, altrimenti che STIA ZITTO (si, vallo a dire alle major).Anche Manzoni ad un certo punto scelse il silenzio letterario. Un silenzio alto di uno che sapeva quando fermarsi. Non bisogna biasimare i vecchi artisti se non cantano più. Loro il contributo lo hanno dato punto. In quanto alla spazzatura moderna mettetela come vi pare, gusti o non gusti non si può paragonare spazzatura come lady gaga ai genesis, qualsiasi cosa diciate o pensiate. Perciò anche se il CD o il vinile muoiono a favore del file FLAC chi se ne frega? Senza musica decente che se ne fa uno del supporto fisico? La musica sta diventando liquida? Beh, la qualità artistica si è sciolta gia da un pezzo.