Cloud computing e open source

Cloud è forse una delle parole che ultimamente ritorna più spesso nell’ambito delle tecnologie informatiche. Sembra addirittura che quello del software fruibile dal browser sia l’unico futuro possibile.

Della convergenza tra web e desktop ho parlato in uno dei miei primi articoli su Appunti Digitali. Oggi vorrei condividere alcune impressioni personali sul fenomeno del cloud computing.

Quando chiediamo a persone non esperte “Che programma di posta stai utilizzando?” e ci sentiamo rispondere gmail o yahoo istintivamente ci viene da sorridere. Sappiamo che il nostro interlocutore sta erroneamente sovrapponendo programma e servizio in un unica entità.

Se ci si ferma a riflettere però si capisce come l’occhio dell’utilizzatore medio in qualche modo ci abbia visto giusto. Noi utenti di vecchia data, distratti dai tecnicismi che tanto ci piacciono, spesso non riusciamo a vedere il quadro generale: servizi come Gmail permettono di mandare e ricevere posta, conservare tutte le vecchie mail e non si rompono quasi mai. Tutto ciò in maniera comoda da qualsiasi terminale dotato di browser e connessione a internet.

A ben vedere coprono pienamente le funzionalità di un qualsiasi client classico di posta elettronica e forse anche di più. È così sbagliato identificare il servizio con il programma (evitando magari gli estremi di chi crede che internet sia facebook)?

Di esempi del genere ce ne sono parecchi. Basti pensare a servizi come flikr che si arricchiscono di funzionalità sempre più complesse, o a servizi di messaggistica multi protocollo online come meebo che non fanno rimpiangere un qualsiasi client nativo.

Meebo sul mio desktop: unico requisito un pc con browser web.

Sebbene si possa essere scettici riguardo alla reale portata innovativa di questo genere di progetti non si può non guardarsi intorno. Il cloud computing funziona per tutti e funziona anche bene. Non richiede strane configurazioni, noiosi backup a carico dell’utente, non si “rompe” con un aggiornamento.

Quello che molti non sanno è che alla base di moltissimi servizi di cloud computing c’è una forte presenza di software libero e open source. Per esempio il 99% degli utilizzatori del servizio meebo che ho citato in precedenza non sa che l’intera infrastruttura è basata sulla libreria purple nata in seno al programma di messaggistica multiprotocollo pidgin.

Altro esempio è la piattaforma Ubuntu Enterprise Cloud offerta da Canonical che ha raggiunto da poco il ragguardevole traguardo di 12’000 installazioni attive e continua a crescere con un ritmo di circa 200 nuovi deployment al giorno.

Queste realtà rendono particolarmente orgogliosi gli sviluppatori di software open source poiché dimostrano in maniera diretta la possibilità di costruire business sostenibili con codice aperto.

D’altro canto però si alzano anche sirene d’allarme. In una intervista rilascia al guardian nel settembre del 2008 Richard Stallman ha affermato che una semplice ragione per non utilizzare le applicazioni web è la perdita inesorabile del controllo dei propri dati. Secondo Stallman utilizzare servizi web è tanto sbagliato quanto utilizzare software proprietario.

Si può non essere d’accordo con le idee radicali nei confronti del software proprietario di Stallman ma ritengo il monito fondato. Il fatto di dover mettere i propri dati personali in mano a questa o quella azienda apre sicuramente interrogativi non banali.

  • È possibile riporre fiducia in enormi multinazionali il cui scopo principale è la rincorsa del profitto?
  • Chi mi assicura che dall’altra parte del mondo i miei dati vengano trattati con la necessaria cura?
  • Come si può inoltre conciliare il messaggio di trasparenza, spesso pubblicizzato dalle soluzioni a sorgente aperto, con al realtà dei fatti che le vede come strumenti ideali per costruire servizi che di trasparente non hanno assolutamente niente?

Per quanto riguarda l’ultima domanda la risposta che mi sono dato è che semplicemente non si può. Come per tutte le interazioni economiche e sociali il concetto di fiducia è centrale. La fiducia in questo campo non ha niente a che fare con l’apertura del codice che non dà maggiori garanzie di un qualsiasi software proprietario che gira in remoto.

La fiducia semplicemente va conquistata da parte dei fornitori del servizio con politiche il più possibile trasparenti indipendentemente dal codice che gestisce il tutto. Da questa considerazione capite quindi come una risposta assoluta alle altre due domande non esista.

Se poi siete persone non molto avvezze a concedere fiducia agli altri e volete costruire la vostra nuvoletta “casereccia” per non privarvi della comodità del cloud computing senza fare in alcun modo affidamento su servizi esterni potete tenere d’occhio il progetto OwnCloud.

Nato all’interno della comunità KDE si pone l’obbiettivo di fornire una piattaforma open facilmente gestibile ed installabile per sincronizzare e condividere i dati delle proprie applicazioni desktop preferite.

Quale credete sia la strategia migliore per affrontare “la nuvola”? Prendere l’ombrello o sperare che non piova?

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