Pillole di retrocomputing: Mac Charlie e Sidecar per Amiga

Se dovessi isolare una singola ragione per motivare l’interesse che nutro verso l’epoca degli home/personal computer – quel periodo che va dalla seconda metà degli anni ’70 alla prima degli anni ’90 – sceglierei di certo la varietà: il fascino di studiare macchine diversissime, basate su una miriade di architetture hardware, CPU e OS di nicchia, in generale software scritto per calzare come un guanto sull’hardware sottostante, spesso basato su chip custom delegati alle funzioni primarie del computer, è innegabile in un’epoca dominata dall’omologazione.

Chi però ha combattuto con quelle macchine, magari da sviluppatore, magari da amministratore, là dove è scritto “varietà” legge “incompatibilità”: una parola molto meno romantica di quanto non sia, oggi, riaccendere un vecchio sistema per una rapida partita a snakes. Da cui il successo della prima piattaforma standard del mercato informatico: il PC IBM, la cui comparsa rappresenterà per Big Blue al contempo il debutto e l’inizio della fine del suo ruolo nell’informatica personale.

Dal successo del PC IBM deriva il senso di dispositivi come il Mac Charlie (o il successivo Mac286) e l’Amiga Sidecar: periferiche add-on nate per aumentare, agli occhi del nuovo utente o l’utente proveniente dal mondo IBM, l’appeal delle piattaforme alternative Apple e Commodore. Soluzioni hardware, dotate di storage dedicato ma operanti in modo piuttosto integrato rispetto al sistema host, che promettevano sia nel caso del Sidecar che del Charlie, la possibilità di eseguire applicazioni DOS nelle finestre della GUI di rispettivamente Mac OS e del Workbench.

Quella hardware era ovviamente la strada più veloce e compatibile per l’emulazione del PC IBM – CPU della famiglia 68k erano più che capaci di emulare via software un 8088, con prestazioni decenti – ma presentava anche costi rilevanti, analoghi a quelli dell’acquisto di un nuovo computer. D’altronde la componentistica era in gran parte analoga a quella di un PC, e quello che si risparmiava per la non duplicazione delle periferiche di I/O, lo si spendeva poi per l’integrazione hardware/software col sistema host.

Inutile ricordare che tanto lato Macintosh che Amiga, dispositivi del genere cedettero il passo a vere e proprie schede add-on, il cui successo, malgrado costi più bassi, rimase limitato.

Oggi, proprio in ragione dello scarso successo commerciale, queste soluzioni rappresentano delle rarità sul mercato dell’usato e delle vere chicche per gli appassionati del genere. Se non di possederle, vale perlomeno la pena di studiarle, col supporto del sempre ottimo Infoworld su Google Books!

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