IBM PCJr: Big Blue cade nella sua stessa trappola

IBM_PCjr_System_1Molto spesso in questa rubrica, abbiamo riflettuto sul “conservatorismo” del mercato PC, sulla sua incapacità di accettare innovazioni anche radicali, pur di rimanere ancorato ad una catena di retrocompatibilità divenuta sempre più penalizzante.

Proprio la settimana scorsa parlavamo di Amiga, ricordando le difficoltà che la portentosa macchina Commodore incontrò, malgrado i suoi evidentissimi punti di forza. Difficoltà derivanti dalle notevoli barriere tecnologiche che proteggevano il mercato business, ma anche da numerosi e tenaci preconcetti dell’utenza, aggrappata al vecchio adagio no one ever got fired for buying IBM.

Vale la pena di ricordare che, ancora nel 1986, quando il 386 era roba da nababbi e la VGA non era ancora stata inventata, la grande maggioranza degli utenti PC lavorava in modalità testo, e per passare dal word processor al calendario appuntamenti, doveva riavviare il computer, o affidarsi a programmi TSR che gestivano – in modo approssimativo e con molte incompatibilità – il task switching.

Tutto ciò, mentre l’Amiga 1000, alla metà del prezzo di un IBM XT, offriva caratteristiche – GUI e pre-emptive multitasking per tutte – che solo 9 anni dopo, con Windows 95, avrebbero debuttato in massa nel mondo PC, su hardware di ben altra potenza.

Contrariamente al mercato business, il mondo dell’home computer era molto più aperto ad abbracciare l’innovazione oltre che per nulla condizionato dai vincoli della retrocompatibilità, che dai primissimi anni ’80 pesano sul mondo PC.

Fu proprio nel mercato home, per una curiosa applicazione della legge del contrappasso, che IBM sbattè i denti con il PCjr (1984), oggetto di questo nuovo rendez-vous fra retronostalgici.

Chi segue regolarmente questa rubrica, sa che l’approccio di IBM al boom del PC fu segnato da una notevole ambiguità. Big Blue vedeva infatti nel PC un’occasione, ma anche un pericolo per il suo lucrativo business legato al mondo mainframe.

A causa di questa ambiguità, l’azienda fu sempre molto cauta nell’introdurre innovazioni hardware, lasciandosi perfino superare da Compaq nel lancio del primo PC basato sulla CPU a 32 bit Intel 80386, il famoso Deskpro 386.

Nel mercato home, IBM tentò l’ingresso per l’appunto con PCjr, un sistema per certi versi più avanzato della maggioranza dei competitor basati su CPU 65XX e Z80, grazie alla CPU 8088 a 16 bit (versione con bus esterno a 8 bit dell’8086), ma debole dal punto di vista grafico e dunque inadatto a catturare la clientela attratta dai videogiochi – trainante per il mercato home.

Probabilmente consapevole di questo deficit, IBM giocò il posizionamento del PCjr su due fronti: cercando di creare un appeal per il pubblico giovane e, al contempo, strizzando l’occhio ad un uso “serio”, in ragione di una parziale compatibilità con il software sviluppato per PC IBM.

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Seguendo la storica politica della segmentazione del mercato tramite inclusione/esclusione di feature tecniche già popolari – un approccio che Apple più di ogni altra azienda ha interiorizzato – IBM concepì il PCjr come una versione castrata del PC, limitata ben oltre le esigenze dettate dal solo contenimento dei costi.

La versione base non disponeva infatti di lettore floppy, l’espandibilità dell’unità era estremamente limitata e non era prevista la possibilità di adottare un hard disk, un lusso che IBM evidentemente riteneva appannaggio del solo mercato professionale.

Se la grafica e il sonoro erano più avanzati rispetto agli standard PC (beeper + CGA), l’impossibilità di gestire sprite in hardware e una gestione dei colori comunque non all’altezza della concorrenza, decretarono il fallimento del PCjr come macchina da gioco.

Anche per un uso “serio” la macchina era inadeguata, in quanto incompatibile causa BIOS con la vasta maggioranza delle applicazioni professionali dedicate al PC IBM oltre che poco espandibile, anche sul versante memoria (per entrambe le versioni del PCjr, il tetto massimo era di 128KB).

Infine il prezzo: sebbene molto competitivo rispetto all’entry level dei PC, PCjr costava molto più di tutti i rivali diretti Commodore e Atari, senza offrire chiari vantaggi su alcun fronte applicativo.

Una tastiera wireless molto scadente, con soli 62 tasti a membrana, fu la ciliegina sulla torta di uno dei più sonori flop dell’informatica recente.

Troppo attenta a centellinare la compatibilità con le applicazioni professionali, dunque a non erodere il fiorente mercato PC, IBM cadde con PCjr nella stessa trappola che aveva teso al resto dei “non-compatibili” o “quasi-compatibili”, tradendo le aspettative di “computer ponte” fra mondo home e business, indotte nella munifica campagna di lancio di PCjr.

Eccesso di grettezza o di presunzione? Quale che fosse, non si trattava di errori che il mercato home perdonasse facilmente.

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