Sinclair QL: il computer sbagliato, al momento sbagliato

Sinclair QL

Quando abbiamo introdotto lo Spectrum non immaginavamo cosa fare dopo. Ora che abbiamo lanciato il QL non sappiamo dire in che direzione ci porterà…

Con queste parole Sir Clive Sinclair, eclettico geniaccio nonché primo motore di uno dei titani dell’epoca degli 8 bit, annunciava il QL, il 2 marzo 1984, alla rivista inglese Your Spectrum, ahimè ignorando la magra sorte che il mercato avrebbe riservato al suo gioiello.

È venerdì, si è anche fatto tardi causa riunione-fiume, ma indomiti e sempre fieri del nostro cuore vintage, ci ritroviamo in questo appuntamento dedicato alla nostalgia informatica, per parlare di un computer che non ha introdotto feature rivoluzionarie come il Macintosh, non ha dato avvio a una rivoluzione epocale come il 5150 della IBM, non ha lasciato milioni di ragazzini e l’intera industria con la mascella a terra come l’Amiga e non ha neppure venduto a camionate come i campioni dell’era 8 bit Apple II, Commodore 64 o ZX Spectrum.

Un computer che ricordiamo piuttosto per aver rappresentato il canto del cigno della Sinclair Research, prima del “ritorno al passato” del Sinclair 128 e prima che l’acquisizione da parte della Amstrad di Alan Sugar, radesse al suolo i contenuti tecnici e la storia della gloriosa azienda britannica, consegnandola alla nostalgia.

Dopo aver raccontato delle gesta dello ZX e aver sorvolato sugli ultimi mesi della Sinclair, soffermiamoci quindi sul QL, per analizzarne il fallimento, tanto in prospettiva tecnica, quanto in riferimento alla situazione del mercato.

In estrema sintesi, il Sinclair QL fu il computer sbagliato al momento sbagliato. Il mercato del 1984, anno del lancio, mostrava già una segmentazione netta fra macchine consumer e sistemi destinati all’utenza professionale. Rispetto a questa dicotomia, il QL si poneva nel mezzo: prodotto da un brand che aveva costruito la sua fortuna nel mondo consumer, vedeva nel mercato domestico e in quello della piccola e media impresa, la sua destinazione naturale.

L’ambizione di arrivare al mercato professionale non era del tutto peregrina: la dotazione software comprendeva un potente – per quanto bacato – linguaggio, il SuperBasic, oltre a una serie di applicativi office sviluppati ad hoc dalla PSION (word processor, foglio di calcolo, database e grafica); merita inoltre una menzione la porta QLAN per l’uso del computer in una rete di altri QL e Spectrum (fino a un massimo di 64 computer), operante a ben 100 Kbaud.

Il mercato professionale del 1984, mostrava tuttavia di non gradire “sistemi di compromesso”: computer che – indipendentemente dalle qualità tecniche – fossero posizionati sul mercato in modo ambiguo e non fossero chiaramente destinati ad un’utenza professionale. Lo avrebbe imparato presto la stessa Apple, che pure prevedeva di sviluppare notevoli volumi di vendita presso l’utenza business con il nuovo Macintosh – a spese della IBM che, fin dallo spot di lancio, aveva eletto a nemico numero uno.

Fu proprio lo “spauracchio” IBM a piantare un altro, pesantissimo chiodo, sulle ambizioni business del QL: dal punto di vista tecnico, il PC aveva tutto da invidiare alle macchine che videro la luce intorno alla metà degli ’80 eppure, forte di un posizionamento univoco e di alcuni anni di vantaggio in un mercato in rapidissima espansione, oltre che spinto da una forza vendita che tuttora rappresenta la wehrmacht del settore, era già avviato al predominio incontrastato. Complice, ovviamente, l’apertura del mercato dei cloni e la sempre più pesante dittatura della compatibilità, da cui  l’industria, a quasi 30 anni di distanza, non si è ancora minimamente svincolata.

Ai problemi derivanti da un posizionamento intermedio rispetto alla dicotomia business/consumer, il QL assommò – anche stavolta, in qualche misura similmente al Mac, ma senza portare in dote la rivoluzione della GUI – le disfunzioni di una dotazione dotazione hardware intermedia fra il vecchio e il nuovo. Ancorché notevolmente più potente di uno ZX o di un Commodore 64, il QL era rispetto a questi due sistemi più costoso oltre che totalmente incompatibile con l’illustre predecessore, senza per questo offrire al mercato consumer vantaggi tali da giustificare l’esborso.

Se da un lato dunque, il QL non era in grado di capitalizzare la straordinaria eredità software dello ZX, dall’altro avrebbe visto il suo “Quantum Leap” tecnico (da cui l’acronimo QL) presto eclissato dal lancio delle piattaforme a 16 bit di Commodore e Atari.

In particolare rispetto all’Amiga, che possiamo tranquillamente considerare il Mike Tyson tecnologico degli anni ’80, il QL pagava dazio sul fronte CPU – il 68008 era una versione castrata del 68000, con data bus a 8 bit per consentire l’uso di componenti più economici – e mancava della sofisticata e avanguardistica architettura basata su coprocessori dedicati, che fece la fortuna del 16 bit per eccellenza. La dotazione RAM si soli 128KB era poi in linea con il meglio della concorrenza a 8 bit, ma – anche nel limite di espandibilità di soli 640KB – decisamente scarsa rispetto a quella offerta dalla imminente nuova generazione di computer.

È pur vero che, al momento del lancio dell’Amiga e dell’Atari ST, il QL costava notevolmente meno, ma anche qui la via di mezzo non aveva alcun appeal: perché rinunciare allo sterminato parco software degli 8 bit – il mercato di questi sistemi era peraltro in ottima salute: le vendite del 64 sarebbero cessate solo nel 1994! – senza avere in cambio un grande surplus di prestazioni (a titolo esemplificativo, la risoluzione massima era di 512×256 punti a 4 colori), quando, magari aspettando Natale o la promozione, era possibile puntare all’Amiga, il “principe dei computer”?

Il QL, il cui lancio fu affrettato dalla volontà di Sir Clive di debuttare prima del Macintosh, era inoltre piagato da numerosi difetti hardware e software – di enorme peso sulle vendite nel settore consumer e, a maggior ragione, su quelle nel comparto professionale.

Sul primo fronte non si può non ricordare l’inaffidabilità dei supporti magnetici – le tristemente famose cartucce a nastro continuo Microdrive, da appena 100KB di capacità, vittima di inattesi allungamenti – mentre in ottica software proprio il rush del lancio, aveva condizionato la stabilità del sistema, costringendo l’utenza ad adottare nel tempo versioni patchate della ROM contenente il sistema operativo QDOS (niente a vedere col ripoff su commissione di Tim Paterson) tramite la daughterboard Minerva, la cui disponibilità era perlopiù limitata al Regno Unito).

In conseguenza dei problemi qui accennati, l’epopea del QL si concluse nel 1986, in occasione della citata acquisizione di Sinclair Research da parte di Amstrad, dopo un biennio di sofferenze e scarsissime vendite. Un battito di ciglia nella turbolenta storia del mercato informatico, sufficiente tuttavia a dimostrare a Sir Clive Sinclair che non sempre la virtù sta nel mezzo.

Ai posteri rimangono rari esemplari del sistema, e successive – ma tardive e oscure, benché oggetto dell’attenzione di una ristretta e agguerrita community – evoluzioni della britannica D&D Systems, basate su CPU 68040 e 68060, di cui un giorno o l’altro parleremo. A questo link è possibile approfondire la dotazione tecnica del QL.

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