

Il problema è il consueto: costruire una metrica affidabile tramite cui convogliare l’investimento pubblicitario su Twitter. Il metodo è altrettanto consueto: comprare pareri – non necessariamente positivi: le aziende sono sempre ben felici di remunerare chi parla male dei loro prodotti! – e venderli ad aziende a caccia di visibilità.
Il prezzo dei pareri varia ovviamente al variare dell’influenza del twittaro, e l’influenza su Twitter mi pare si misuri tramite il numero di followers – sempre che non salti fuori quello che sostiene di essere seguito da Obama, dal Papa e dall’Arcangelo Gabriele.
I followers tuttavia, come abbiamo scoperto qualche giorno fa, si comprano a pochi euro al chilo, per l’esattezza $ 87 ne valgono 1000, il che ai più furbi fra noi apre straordinarie visioni di prosperità, mentre altri lascia con un vago e ormai familiare senso di nausea.