La globalizzazione e la modernità hanno indubbiamente avvicinato due mondi come l’Oriente e l’Occidente, da sempre estremamente lontani non solo sul piano puramente geografico.
Ciononostante rimangono alcune differenze dal punto di vista socio-culturale, che finiscono per influenzare altri aspetti della quotidianità ed anche dell’economia.
Basti pensare ad esempio al successo enorme avuto con Takeshi’s Castle, proposto sì in Italia dalla Gialappa’s Band (ricordate Mai dire Banzai?) ma che non ha avuto in realtà un corrispettivo italiano o europeo proprio perché un concept del genere, qui, non avrebbe avuto la stessa presa e partecipazione da parte del pubblico.
Questo è un esempio che spiega, in parte, i motivi per cui una grossa fetta dei videogiochi prodotti nel Sol Levante sia destinato esclusivamente al mercato interno e non venga esportato dalle software house nipponiche né preso in considerazione da terze parti occidentali.
La serie di cui ci occupiamo nel nostro appuntamento settimanale fa proprio parte di questa “cerchia” di titoli. Stiamo parlando dell’inimitabile Parodius.
Per chi ha vissuto la generazione di console tra la fine degli anni ’80 e inizio anni ’90 questo nome potrebbe risultare forse non così sconosciuto.
Il quarto titolo, in ordine cronologico, fu infatti ben accolto dalla critica soprattutto nella versione Super Famicom. Vi è tornato in mente qualcosa? No? In ogni caso torniamo a noi e ripercorriamo le tappe di questo strampalato videogioco.
Innanzitutto descriviamo Parodius dal punto di vista tecnico: si tratta di uno sparatutto (o shoot’em up se preferite la notazione anglosassone) a scrolling orizzontale, con gli elementi tipici di questo genere, quali i power-up per aumentare la potenza dello sparo della “navicella” (scrivo appositamente tra le virgolette perché la definizione classica in questo caso appare un po’ strettina ed uso un eufemismo), elementi dello stage e nemici da abbattere o evitare ed infine il boss di fine livello che vi sbarra la strada nel proseguimento della vostra avventura.
Per quanto riguarda il gameplay, Konami, prese a piene mani dal bagaglio di Gradius (il nome Parodius deriva infatti dalla fusione di “Parody” più Gradius appunto), glorioso ed indimenticabile titolo che fece la fortuna di tutte le piattaforme che beneficiarono del porting, riesumato tra l’altro abbastanza recentemente su PSP.
Fin qui tutto normale, pare. La grossa differenza con gli altri sparatutto è rappresentata dal design character sia del vostro personaggio sia degli elementi grafici che popolano il resto dello schermo.
Il primo episodio della serie, datato 1988, fu Parodius – Tako wa Chikyū o Sukū, tradotto in italiano “La piovra salva la Terra” e fu disponibile soltanto per MSX.
Oltre all’astronave Vic-20, protagonista proprio di Gradius, i velivoli eleggibili erano quattro: un polipo di nome Takosuke, il pinguino di Antarctic Adventure, Goemon (ispirato alla figura del criminale Ishikawa Geomon presente in una line-up ad esso dedicata, dal nome Ganbare Goemon) ed infine Popolon, un cavaliere greco.
Per quanto riguarda invece gli sfondi ed i nemici si poteva spaziare da enormi pennuti di color rosa vestiti in modo improponibile, navi pirata a forma di gatto, un corollario di personaggi super deformed, tipici dello stile mankaga; insomma il meglio o peggio a seconda dei vostri gusti del mondo giapponese.
Anche il comparto musicale non era da meno. Si spaziava da pezzi di musica classica, influenze della tradizione musicale nipponiche fino ad improponibili remix di pezzi degli anni ’70, in particolare della disco music.
E come la maggior parte dei videogiochi di successo i titoli venivano accompagnati da soundtrack venduti a parte, a testimonianza della cura particolare e dell’attenzione che da sempre circonda questo settore nel Sol Levante.
Il secondo (1990) e terzo episodio (1994) della serie furono attrazioni principali del mondo arcade ed è nel 1995, con il già citato quarto episodio che la serie diventa discretamente famosa anche all’estero.
Chatting Parodius (1995), oltre ai punti forti della serie aggiunge un bagaglio di elementi grafici che facevano uso delle più avanzate tecniche dell’epoca e che richiese nella versione Super Famicom l’uso del chip SA-1, menzionato se vi ricordate con Killer Instinct.
Il curioso nome deriva dalle voci di accompagnamento musicale che caratterizzano il progredire all’interno del gioco e che enfatizzano lo stato, sia che si proceda bene sia, invece, se ve la caviate piuttosto male con le difficoltà proposte.
Il titolo verrà portato anche su Sega Saturn e Sony Playstation, console che vedranno la comparsa anche del capitolo successivo, Sexy Parodius (1996), caratterizzato dalla presenza di discinte signorine e pin-up (alla stregua di Gals’ Panic per chi ci ha giocato in sala giochi e sono sicuro siete in tanti).
Dopo anni di silenzio ed assenza dagli schermi, Konami ha rispolverato questo nome offrendo ai possessori di PSP Parodius Portable, una compilation dei precedenti episodi e che ha riscosso una critica più che positiva tra gli addetti ai lavori.
Gli sparatutto non saranno il genere di videogiochi inflazionato degli anni ’90, ma se siete un po’ nostalgici, se gradite lo stile cartoonesco e se vi piace la cultura giapponese (giochi demenziali inclusi) non potete perdervi questa serie capolavoro.
Come si può dire che da noi Takeshi’s Castle non avrebbe avuto successo ? Da noi ha avuto e continua ad avere tantissimo successo tanto che esiste in due edizioni “Chigi Castle” e “Montecitorio Palace”, tutti possono parteciparvi nel giorno delle elezioni. Al confronto con l’edizione italiana i jappi che venivano messi a convivere con gli scorpioni nei terrari non godevano abbastanza !
con la differenza che i partecipanti ai giochi che menzioni vengono pagati profumatamente per quello che fanno o non fanno, mentre i giapponesi partecipavano e si facevano umiliare col sorriso sulla faccia perché si divertivano/divertono così.
Al di là delle sfumature politiche OT, i format televisivi sono piuttosto differenti ed il minimo comune denominatore delle differenze nei videogiochi e non solo è proprio il retroterra culturale.
In Italia molte persone si strappano i capelli per guardare e partecipare a reality come il Grande Fratello.
Là no. Là esistono le “idol” che non sono minimamente comparabili ai ragazzini che partecipano al ciarpame vario tipo Amici o cose simili.
Veramente Takeshi’s Castle viene mandato in onda in Italia, sul satellite (poi replicato su alcune TV locali in chiaro): io ne ricordo alcune repliche su TN8 (TV locale) pochi mesi!
Non ho detto che non viene mandato in onda: sarebbe un’idiozia visto che 15 anni fa (forse quasi 20) la Gialappa ha proposto Mai Dire Banzai.
Ed è citato nell’articolo.
Ho scritto che non esiste un corrispettivo italiano = non esiste una trasmissione made in Italy (ma neanche europea) che proponga le medesime cose.
Scusate ma di tutto l’articolo si deve commentare il solo trafiletto su Takeshi’s Castle che mi permetto di dire sia una delle parti meno importanti e solo esemplificative delle differenzi culturali innegabili tra Giappone e Occidente?
Mah :)
Il mio era una nota all’altro commento (purtroppo non c’e’ il quoting nei commenti ^^)!
Pero’ in Europa avevamo Giochi senza Frontiere, che non era cosi’ “sadico” come Takeshi’s Castle, ma il format era molto simile!
Sul discorso delle differenze culturali, ovviamente, sono d’accordo: per restare in ambito gaming, oggi, basta citate i date sim o le visual novel, che, AFAIK, qui praticamente non esistono!
mai dire banzai c’era fino a 7-8 anni fa, le ultime edizioni erano condotte dalla hidding.
l’anno scorso ho visto su una tv privata la versione povera di “mai dire banzai”, commentata malissimo da due che di comico non avevano proprio nulla.
pero’ in italia c’e’ una cultura diversa, se c’e’ una che tira bicchieri, tutti li’ a guardare il grande fratello, uno che si veste da coniglio gigante e viene preso a martellate non fa audience.
Gradius più o meno me lo ricordo, ma questo mi è proprio nuovo :D
Però è vero che ci sono differenze culturali… E secondo me c’è anche un altro scoglio: ci sono giochi che forse farebbero successo anche da noi, ma non escono dal mercato nazionale giapponese per una questione di pagamenti di diritti, se ho ben capito, come per esempio è successo con la serie Super Robot Taisen: di quella è stato esportato solo uno spin-off con robottoni e personaggi inventati da Banpresto, al posto di quelli di serie animate famose.
x Jabberwock
Non c’è problema, la mia era un’annotazione fatta col sorriso ;)
Giochi senza Frontiere era un po’ diverso (io lo guardavo da bambino col mitico Ettore Andenna :D); la competizione era a squadre mentre Takeshi è un gioco a prettamente per singoli e la componente “sadica” come l’hai definita tu che porta poi all’umiliazione seppur in un contesto divertente è proprio quell’elemento, insieme alla demenzialità che lo rende differente.
Occhio anche ai paragoni con i reality dove è vero che c’è il trionfo della stupidità dell’ignoranza e dell’apparenza, ma è una stupidità differente.
In Giappone è causata dalla regressione verso uno stato d’infanzia (e giochi come Parodius hanno proprio quello stile), nei nostri reality la matrice è quasi sempre l’ignoranza.
x Flare
sì a volte è un problema di diritti, nel senso che non si mettono d’accordo con i publisher europei ma molto spesso proprio non interessa.
Questo vale anche per i manga per esempio.
Da noi hanno sfondato chessò Dragonball, Kenshiro, Evangelion ma in Giappone i fenomeni di culto sono tantissimi.
Poi ci sono veri e propri interi generi che non sono proponibili perché assolutamente “nippofili”, come i giochi di Pachinko o la stragrande maggioranza dei J-RPG.
Ovviamente nel grosso dell’insieme di giochi non esportati finiscono per trovarsi anche titoli di assoluto spessore; non mi riferisco al solo Parodius (che comunque ai tempi su SFC prese una media di 90 circa sulle riviste specializzate), ma tanti altri, sia del filone mecha che picchiaduro, per esempio.
Anche se la differente matrice culturale è spesso la causa di mancati porting, per lo più il fenomeno è legato a così tanti fattori (economici, sociali…) che semplicemente la politica delle software house appare a noi/me incomprensibile.
Vedi il “caso Einhander”, uno dei migliori sparatutto per PSX, e non solo, mai giunto in Europa.
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