Il giornalismo cambia, ma non cambiano i giornalisti

NY TimesMarco Montemagno ha tenuto a IAB Forum 2007 uno degli speech più divertenti, anzi sicuramente il più divertente, della rassegna milanese dedicata al web advertising.

Oggi leggo un suo post scritto l’altro ieri su Blogosfere nel quale racconta il feedback ricevuto dopo quell’intervento e fa il punto della situazione italiana, facendomi tornare alla memoria un post da me scritto tempo fa sulla formazione. I settori sono diversi, Montemagno parla di internet mentre io parlavo di tecnologia e formazione, ma vedo che purtroppo le conclusioni sono le stesse.

In Italia i media tradzionali sono arroccati nei loro fortini, nei quali credono di essere protetti da una tessera che li dice iscritti all’Ordine dei Giornalisti. Per il giornalista professionista il fatto di essere iscritto è già di per sè un elemento che rende di qualità il proprio lavoro, anche se pessimo. Insomma, vecchio vizio italiano, non conta la qualità sostanziale del contenuto, ma conta la forma.

Ebbene io leggo spessisimo articoli di giornalisti professionisti (su note testate come Corriere e Repubblica) e vi trovo non solo gravi errori sostanziali, che dimostrano assoluta ignoranza del tema trattato, ma spesso anche errori grammaticali e sintattici a tal punto da chiedermi come possano aver passato l’esame di stato.

Viceversa seguo molti blogger e trovo alcune loro riflessioni fini e raffinate, che dimostrano una profonda conoscenza dell’argomento e portano commenti e pareri nuovi, da cui prendere spunto per ulteriori idee. Che mi importa se hanno la tessera dell’Ordine o no?

Prima di proseguire preciso però che, ovviamente, ci sono anche giornalisti di qualità che scrivono con cognizione di causa. Qui si parla di maggioranza, non di totalità. E’ tuttavia innegabil che in Italia c’è ancora, e ci sarà per moltissimo tempo a venire, questa smodata attenzione per il “titolo” come unica fonte di credibilità, come condicio sine qua non per l’autorevolezza. Non sei autorevole se non sei laureato, iscritto all’Ordine, ecc.

Personalmente, come traspare dalle mie parole, sono assolutamente contrario alle classificazioni formali prive di valutazione sostanziale. Certo, la forma deve esistere perchè ce n’è bisogno, ma non deve essere l’unica condizione. Bisogna guardare la sostanza più di quanto si guarda la forma. Se un ragazzo di 18 anni è capace di scrivere un articolo su Second Life meglio di un redattore iscritto all’Ordine io faccio scrivere al ragazzo, che mi importa del titolo?

Io sono profondamente convinto che internet e i nuovi media stravolgeranno a breve i paradigmi consolidatosi in questi anni (che in realtà hanno già stravolto), chi ha vissuto per troppo tempo di privilegi arroccato nelle proprie fortezze sarà destinato a perdere contro un sistema che, per come è tecnicamente strutturato, premia il contenuto di qualità indipendentemente dalle lauree degli autori.

Morte ai “vecchi” media? Assolutamente no! Servirà sempre la figura del giornalista professionista, che dedica il 100% del suo lavoro al giornalismo, ma questi deve capire che cambia il modo di fare notizia e che deve dialogare, non scontrarsi, con tutti gli altri soggetti che prima erano solo lettori e che oggi non solo sono autori, ma anche editori. Eppure ancora oggi, alle soglie del 2008, sono pochissimi i giornalisti che pubblicano assieme alla firma il loro indirizzo email, quasi a voler ergere una barriera tra sé e il lettore.

Anche le testate devono evolversi, il Corriere della Sera ha di recente aggiornato il suo sito che però nella sostanza è rimasto molto “1.0”. Non vedo, ad esempio, la possibilità di commentare gli articoli, funzione disponibile da moltissimo tempo su USA Today. Non vedo possibilità per i lettori di interagire, di votare, di commentare e, in generale, di manifestare la propria opinione. Perchè? Di cosa si ha paura?

Lo stesso New York Times, del resto, ha dichiarato tempo fa che probabilmente cesserà la pubblicazione cartacea entro il 2010, fornendo i propri contenuti sono online. E’ un segnale autorevole che tutto sta cambiando, che molte professioni e professionalità sono in discussione e devono evolversi per riuscire a trovare un proprio spazio e una propria credibilità anche nelle complessità della rete.

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