Come ben sappiamo, il progresso ha portato a un’esplosione di prodotti disponibili per l’umanità, che ha tratto notevoli benefici in termini di stile di vita e comodità. Merito di ciò senza dubbio alcuno è anche della concorrenza, che ha permesso di espandere la produzione abbattendo i costi, allargando sempre più il mercato e raggiungendo più consumatori. Quanti avevano un televisore 50 anni fa? Quanti televisori abbiamo a casa oggi?
Una così vasta quantità di prodotti diversi realizzati per lo stesso segmento di mercato ha risolto tanti problemi, ma ne ha creati anche altri, in particolare di interoperabilità, a cui si è tentato dare una soluzione facendo uso di convenzioni, standard di fatto e/o “ufficiali”.
Ad esempio la lampadina ha permesso di far compiere un enorme balzo in avanti alla nostra civiltà, ma certamente non sarebbe stato lo stesso se ogni produttore le avesse realizzate con un proprio allaccio, rendendole quindi incompatibili con quelle prodotte da altri.
Questo non vuol dire che gli “standard” siano diventati la norma, ma rappresentano sicuramente una realtà i cui effetti sono tangibili. Soprattutto sono diventati un obiettivo a cui puntare nel caso in cui sia presente un’esigenza comune, ma non esista ancora uno “strumento” consolidato e accettato da tutti.
Allo scopo esistono diverse commissioni internazionali che si occupano di studiare precise problematiche e realizzare appositi standard, ma non sono strettamente necessarie. Ad esempio i ben noti formati GIF e PNG non sono nati dal lavoro di uno di questi enti, ma da privati che hanno provveduto a colmare una lacuna, e che sono poi diventati lo standard di riferimento / di fatto per lo scambio di immagini non fotografiche e/o senza perdita d’informazione (concedetemi la semplificazione puramente divulgativa) e, in particolare, per il web.
A volte, però, possono capitare degli intoppi. Proprio il GIF, che ha subito un’enorme diffusione nei primi anni ’90, è stato “bloccato” da Compuserve e Unisys, detentori dei brevetti sull’algoritmo LZW (utilizzato da questo formato per comprimere le informazioni delle immagini), richiedendo il pagamento di royalty.
L’accusa che venne rivolta all’epoca alle due aziende oggi potrebbe venire etichettata come patent trolling, poiché attesero che il formato si diffondesse, per poi sbandierare il possesso dei brevetti e batter cassa a tappeto.
Non v’è dubbio che avrebbero potuto benissimo esplicitare il fatto una volta venute a conoscenza dell’impiego di LZW nel GIF, e da questo punto di vista il loro comportamento è moralmente deprecabile. Ciononostante rimane legittimo, poiché il titolare di un diritto può esercitarlo nei modi e nei tempi che ritiene opportuni; principio, questo, alla base di molti moderni e civili ordinamenti giuridici.
D’altra parte cosa ci si può aspettare da un’azienda votata al lucro, se non quella di fare i propri interessi, minimizzando i costi e massimizzando i ricavi? Questo non significa assolutamente che possa e debba percorrere qualunque strada (sempre lecita, sia chiaro!) pur di arrivare allo scopo, poiché morale, etica, valori non le diventano automaticamente alieni al suo atto costitutivo, tant’è che esistono aziende che possono perseguirli nonostante debbano tener conto del bilancio.
Una multinazionale sempre molto attenta ai bilanci e che negli ultimi tempi sta facendo molto parlare di sé per far valere i proprio diritti (nel caso ciò fosse dimostrato, considerato che alcune cause le ha perse) in merito ai brevetti che possiede, intentando cause a mezzo mondo e persino a partner a cui è legatissima, non ha bisogno di presentazioni ed è Apple.
Di recente è tornata alla ribalta proprio per aver opposto un gran rifiuto al consorzio W3C per la cessione di alcuni suoi brevetti che sembra siano necessari per la definizione di un nuovo standard sui cosiddetti “web widget“. A suscitare clamore e rinfocolare le polemiche è stato il fatto che la casa di Cupertino faccia parte dello stesso consorzio.
In effetti è una situazione che sembra ridicola, se non addirittura comica, ma non certo surreale. Intanto la partecipazione al consorzio non comporta di fatto la cessione di qualunque brevetto utile al fini del lavoro svolto dal consorzio, tant’è che è stato quest’ultimo a chiederne ad Apple la cessione a titolo gratuito.
Inoltre non deve meravigliare che Apple abbia posto i suoi interessi aziendali al di sopra della definizione di uno standard, per quanto importante possa essere (ma qui ci sarebbe di che discuterne), a motivo della delicata situazione in cui si trova in questo periodo e che richiede il ricorso a quante più cartucce possibili da utilizzare sia per attaccare che per difendersi.
I precedenti non mancano, e se ne annovera anche uno eccellente, come il niet di IBM in primis, prolifica nella partecipazione alla definizione di standard e grande sostenitrice di progetti open source, alla cessione di brevetti che coprivano il codec aritmetico che il comitato incaricato di formulare la bozza del JPEG aveva individuato per il novello (ai tempi) standard, col risultato che fu costretto a ripiegare sul classico e meno efficiente algoritmo di Huffman.
Ovviamente sono state tante le situazioni di segno opposto, che hanno visto la cessione gratuita di proprietà intellettuali utili a degli standard, come ad esempio il JPEG 2000, che ne annovera parecchie a riguardo, o il recente JPEG XR ,progettato e donato da Microsoft alla comunità (diverrà anch’esso uno standard quando completerà il naturale percorso predisposto), mentre ricordo che il fresco WebM (e WebP) non può essere utilizzato negli standard del web in quanto non completamente libero, come richiesto giustamente dal W3C (visto che parliamo di standard) e abbiamo già avuto modo di discutere.
Tornando nuovamente all’ultimo caso, Apple non può certo essere etichettata come patent troll, in quanto ha messo in evidenza in tempi rapidi la sua indisponibilità (fermo restando che avrebbe avuto tutto il diritto di comportarsi diversamente, come già detto) e ciò, a meno che non si trovino delle prove per invalidarne i brevetti, potrebbe significare la fine prematura dei web widget.
In mancanza di più precisi dettagli, rimane in ogni caso un grosso dubbio: possibile che non si possa ricorrere ad altre tecnologie per implementarli? Quei brevetti hanno veramente coperto l’unico modo esistente per arrivare a questo scopo? Da programmatore mi sembra molto strano che non si possano percorrere altre vie per ottenere lo stesso risultato, o magari uno molto simile.
Comunque se i web widget fossero ritenuti indispensabili per lo sviluppo del web e altrettanto necessari i brevetti di Apple, si potrebbe anche pensare di pagare a quest’ultima i diritti di sfruttamento gratuiti e perpetui, magari relativamente al solo contesto dei web widget.
Le multinazionali che fanno business col web sono molte, e gli stessi governi nazionali sono interessati allo sviluppo del web, per cui non vedo nulla di scandaloso nel pagamento di legittime royalty all’azienda che possiede queste proprietà intellettuali. Alla fine un accordo che accontenti un po’ tutti penso sia possibile se c’è in ballo il bene comune.
ci sono tre piani del confronto, secondo me.
Uno operativo, uno etico-filosofico ed un altro percettivo.
1) Apple e tutte le società che investimento in R&D (quindi tutte quelle impegnate in questo settore) vogliono avere un ritorno economico
di quel che spendono. Non fanno beneficienza, sono società a scopo di lucro e devono rendere conto tipicamente agli azionisti.
Poi possono appoggiare cause lodevoli ma questo esula dal contesto in cui ci troviamo ed è inutile prendere ad esempio
chi appoggia l’OSS perché si finisce per fare contrapposizioni superficiali mancando il punto della questione.
Io azienda investo nella ricerca perché voglio differenziare i miei prodotti, avere un “edge” (perdonate l’uso anglosassone ma
trovo sia un po’ più appropriato di “vantaggio”) competitivo sui miei concorrenti.
2) no standard no party.
Uno standard è per definizione un compromesso, è se lo vogliamo leggere su un piano sociopolitico, quel che rappresenta la democrazia
nelle società moderne.
Forse non la forma migliore con cui abbiamo deciso di autoregolamentarci, ma quella che riesce più o meno ad equilibrare
esigenze del singolo, libertà individuali con la res publica.
Ci si siede ad un tavolo e si stabilisce una piattaforma comune su cui lavorare. Magari il mio formato è migliore di altri ma
per esigenze di mercato scendo a compromessi con te competitor perché altrimenti finiamo per farci una guerra dove non vincerebbe nessuno.
3) Ultimamente Apple è salita alla ribalta per i suoi scontri con gli altri grossi produttori nel settore mobile.
E’ stupido fare una sorta di classifica su chi sia più “patent troll” di altri. Bene o male il brevetto è diventato non solo
lo strumento per difendere i propri investimenti ma anche quello per piegare, ammorbidire un nostro competitor su alcune strategie aziendali,
cercare di fare concorrenza quando sotto altri profili (tecnici, know-how, presenza sul mercato) siamo in sofferenza.
Il problema non è Apple, Microsoft che fa causa ai produttori i quali adottano Android sui propri dispositivi.
IBM detiene quasi 8 milioni di brevetti (molti dei quali assolutamente idioti) e nessuno fiata.
Il vero problema è come quei brevetti vengano approvati, permettendo di rendere aziendalmente rilevante un’operazione general generica
disponibile dal punto di vista tecnologico magari da decenni, senza che vi sia un’implementazione migliore di altri, solo perché
l’ufficio è piuttosto “lasco”.
A me viene il dubbio che sia una questione politica più che tecnica.
Già in passato gli States si sono dimostrati privi di una sufficiente autonomia rispetto alle lobby interne (non solo IT, pensiamo solo al settore
farmaceutico o del tabacco). Il caso Microsoft ed il mancato split della società fu piuttosto emblematico.
Nel momento in cui la locomitiva dell’Occidente si trova indebitata fino al collo ed in palese sofferenza rispetto ai mercati orientali
e dei Paesi in via di sviluppo (di pochi giorni fa il nuovo fronte sui metalli rari ed il procedimento aperto dal WTO proprio su invito degli USA),
anche il brevetto diventa una potente arma di persuasione.
E’ una questione anche, ma soprattutto, geopolitica.
Ottima integrazione, pienamente condivisibile. Grazie. :)
A mio avviso a cappello di qualunque discussione sui brevetti si dovrebbe porre una considerazione: chi rivendica brevetti è uno che innova e protegge così le sue spese R&D o uno che di mestiere rivendica brevetti?
Capisco sia una variabile molto difficile da tradurre a livello legislativo, però bisognerebbe orientare ogni sforzo ad evitare che campagne FUD diffuse da uffici legali rapaci paralizzino l’innovazione.
In generale la disciplina della proprietà intellettuale e dei brevetti software in particolare – tanto per buttarla in politica – mi pare troppo conservativa, troppo orientata alla preservazione dello status quo rispetto al quale l’innovazione rappresenta, per definizione, una sovversione.
Infatti il problema è proprio quello: come a fare a decidere se un brevetto è frutto di un lavoro di innovazione? Vai a vedere cos’ha realizzato chi l’ha richiesto? E cosa succede se oggi innovo, e dopo decido di campare sui brevetti? Potrebbe anche succedere che oggi ho una buona idea che brevetto, ma non posso sfruttare subito perché non ci sono le condizioni di mercato e/o tecnologiche, per cui rimando l’applicazione al futuro, ma intanto mi tutelo.
Insomma, è veramente difficile tirare fuori una “ratio” in questi casi.
Direi che avete toccato quasi tutti gli aspetti del problema.
Vi propongo comunque di leggere questi due articoli sui brevetti USA (manca la terza parte ma sono molto interessanti)
http://semiaccurate.com/2011/04/25/patent-wars-oracle-v-google/
http://semiaccurate.com/2011/05/09/patent-wars-oracle-v-google-part-2/
ciao a tutti,
a proposito di brevetti
leggetevi e guardatevi bene questi 2 brevetti:
Brevetto n° 5159703 datato 1992
Brevetto n° 6.506.148 datato 2003
fanno pensare o vi lasciano indifferenti?!? ;)
@Al: sì, è una buona sintesi dello stato dell’arte della macchina dei brevetti americani.
@Scienceoflife: il primo link col PDF non riesce a essere caricato.
Il secondo, beh, bisogna vedere esattamente quali effetti si possano ottenere.
Ma cosa c’entra questo con la questione dei brevetti?
Tanti spunti di riflessione che mi spingono sempre più a pensare come il sistema dei brevetti sia troppo facilmente raggirato, e necessiti quindi di una decisa revisione per ridurre al minimo possibile le strumentalizzazioni ed il patent trolling.
PS: i complottisti sono come gli Aliens, escono dalle pareti :D
i brevetti sono giusti ma dovrebbe essere brevettabile
solo qualcosa di molto innovativo e frutto di sviluppo.
possibilmente se hardware dovrebbe avere un campione funzionante e
a livello software algoritmi che portano a risultati sensati e ben precisi.
A parte il discorso del campione (che non trovo fattibile: prima si brevetta per mettersi al sicuro dai concorrenti che potrebbero fare altrettanto, e poi si sviluppa un dispositivo che lo implementi), lo spirito è quello.
Riguardo agli algoritmi sensati, beh, non potrebbe essere altrimenti. Non me ne faccio niente di software “insensato”. ;)
Il problema è che al momento il lavoro degli uffici brevetti lascia molto a desiderare, e non incarna quello che è lo spirito, ma soprattutto le disposizioni in materia.
ahahah è una persecuzione! studiando economia all uni bicocca di milano la mia prof di diritto pubblico mi ha costretto a leggere un libricino a scelta di cui in sede di esame dovrò rielaborare il pensiero critico dell autore: l’autore è Alberto Pera primo segretario dell autorità garante della concorrenza in Italia e si chiama proprio Concorrenza e anti trust.
Gli spunti di riflessione sono tanti e la conclusione riassume la posizione di qualsiasi giurista: bisogna disciplinare ogni materia e tra queste rientra la delicatissima questione degli scambi alias mercato.
L’anti trust che è proprio l organo che si occupa delle questioni legate ai brevetti (ma non solo, pensiamo ad esempio, alle situazioni di mono/oligo polio) deve necessariamente preservare quello che è un diritto delle aziende. Questo per tanti motivi, tra i quali quello più importante: alimentare il motore della concorrenza che porta il progresso grazie all’iniziativa economica privata. In America questa cosa l hanno capita ormai da DUE SECOLI! Noi da circa DUE DECENNI… e di fatti loro sono più avanzati
A mio modestissimo parere si tende a confondere il mercato ai suoi svariati livelli ed in particolare quello delle infrastrutture (nel senso più ampio del termine) con quello dei prodotti finali (quelli che utilizziamo direttamente noi). Se io sono un privato e decido di vendere lampadine, per quale motivo mi dovrei preoccupare anche dell’infrastruttura??? Cazzo ce nè già una e quella devo utilizzare. La concorrenza la porto già producendo lampadine e basta.
L’unico modo per risolvere la questione è un qualcosa che non piace alle aziende: unire gli sforzi di R&D in maniera tale che almeno le infrastrutture vengano standarizzate nel migliore dei modi. Quell unire, leggasi pure tener sotto controllo dallo Stato.
Il perchè è presto detto: i cicli di sviluppo di un infrastruttura sono molto lenti e potrei farvi tre esempi:
– mercato dei processori (solo di recente si stà avvicinando ARM, che è un qualcosa di diverso da Intel e AMD)
– mercato delle fotocamere (l’evoluzione da compatte a micro 4/3 è appena iniziata)
– ferrovie (avete mai sentito parlare del problema TAV? pensate mica che basti un treno che corre di più per renderlo ad alta velocità?
e si potrebbe continuare con il GSM, UMTS e i nuovi LTE e Wi-Max per farne altri.
Dunque gli standard sono una cosa buona, sia perchè permettono di raggiungere innovazioni a livello infrastrutturale in minor tempo, sia perchè consentono di limitare ogni possibile confusione (con il gsm chiami e poco più, con l umts vai su internet e videochiami)
Per quanto riguarda questa domanda dell’autore:
possibile che non si possa ricorrere ad altre tecnologie per implementarli? Quei brevetti hanno veramente coperto l’unico modo esistente per arrivare a questo scopo?
si possibilissimo, sopratutto se si rimane ancorati all’ambito touch: il pinch to zoom è un “brevetto infrastruttura”, vale a dire un cencetto generale: tutti devono poterlo utilizzare, la differenza poi la farà l’ottimizzazione del codice.
Tornando all’esempio dei treni: qualcuno costruisce i binari per andare a 500 km/h, io azienda poi decido quanto far correre il mio treno (alias quanto ottimizzare la gesture).
Se un domani si inventeranno un qualcosa di diverso, sarà passato veramente tanto tempo e non è manco detto che i binari attuali serviranno più, magari perchè ci sposteremo con il teletrasporto. (alias il touch screen o meglio ancora lo schermo non sarà più fondamentale come lo è ora)
Interessante spiegazione, grazie.
Soltanto una cosa. Se il “pinch to zoom” fosse un “brevetto infrastruttura”, potresti farmi qualche esempio di funzionalità brevettabile che non lo sia? Magari sempre in ambito mobile / touch. :P
l’organizzazione dell’interfaccia è un qualcosa di brevettabile.
Android/symbian home screen+menu
iOS solo menu
MeeGo e la sua organizzazione per Swipe
devo precisare tuttavia che questa tua domanda mi ha fatto riflettere molto e sono arrivato alla conclusione che un brevetto è di per se un infrastruttura in moltissimi casi.
cmq sia a mio modesto parere le cose si risolverebbero solo se si escludesse la possibilità di bloccare un brevetto in mano di un unica azienda
E’ per questo che t’avevo fatto quella domanda: non riuscivo a trovare esempi di brevetti che non fossero un’infrastruttura.
D’altra parte come sviluppatore sento il bisogno di una tutela per l’opera del mio ingegno, come già ho avuto modo di scrivere su un pezzo allo scopo: http://www.appuntidigitali.it/11238/la-tutela-dei-beni-immateriali/
Riguardo alla tutela dell’interfaccia utente, non penso che sia brevettabile. Ricordo un caso molto famoso, quello di Lotus contro Borland per il fatto che lo spreadsheet di quest’ultima, Quattro, avesse riproposto fedelmente il look & feel, e che alla fine s’è risolto con la vittoria della Borland.
Sull’ultimo punto, non vedo come si potrebbe fare. A parte il fatto che se ho un’idea, non vedo perché dovrei dividerla con altri.
capovolgiamo la domanda:
se uno ha un idea che tu vorresti utilizzare per quale motivo tu non puoi acquistarla? in fin dei conti la questione cruciale è tutta qui: ok ai brevetti, ma NO alle limitazioni.
cmq anche il perchè è presto detto: come scritto sopra è l’iniziativa economica che porta alla concorrenza, ma se si limita l utilizzo di alcuni brevetti diventa un casino e si finisce nel caso monopolistico di Intel che letteralmente lucra sul nostro bisogno di prestazioni (perchè nessuno può entrare in quel mercato).
sebbene l’esigenza di superare le limitazioni aguzza l’ingegno…
ps:l’anti trust nasce proprio come organo di raccordo tra i vari interessi del mercato, ovvero sia quelli di produttori, clienti (categoria più colpita) e fornitori
scusa un attimo come potrei fare per contattarti? volevo sottoporre alla tua attenzione qualche mio articolo ma non trovo nessun tasto invia pm.
ps è da un pò che voglio scrivere su appunti digitali ma proprio non sò come fare (sicuramente le mie credenziali non saranno sufficienti, ma almeno qualche spunto ve lo posso dare :D
@CDM
E del tuo brevetto sul JPEG2000 che cosa ne hai fatto?
Rieccomi.
@Shady 91′: obbligare a vendere i brevetti non mi piace molto idea, comunque si porrebbe il problema del quanto chiedere.
A parte questo, siamo sicuri che non sia possibili trovare altre soluzioni a un eventuale problema da risolvere?
P.S. Per contattare la redazione c’è l’e-mail a disposizione in basso, poco sopra il bottone “Commenta”. ;)
@arkanoid: nulla. :) Non so nemmeno se è brevettabile quella che idea (in realtà ne avevo un paio, una sul decodificatore entropico, e una più generale sui tag tree, ma non utilizzabile per il JPEG 2000) quando scrissi il mio decoder JPEG 2000. Al solito, bisognerebbe sottoporla ad aziende esperte, e cercare eventuali prior art.
Comunque ho perso interesse sul JPEG 2000, mentre ho sviluppato parecchie idee sulla mia ultima passione: la virtual machine Python (CPython). Le ultime due sulle quali mi sto arrovellando promettono bene, e onestamente è già da qualche mese che stavo pensando se non fosse il caso di contattare qualche grossa multinazionale per vedere se fosse possibile brevettarle, ma ho sempre il timore che le idee mi vengano rubate una volta presentate.
timore di tutti noi inventori da strapazzo
Non mi sembra molto cortese…