di  -  giovedì 21 Aprile 2011

A dieci anni circa di distanza dal lancio di iTunes e del primo iPod, pochi dubitano del fatto che la un tempo florida industria musicale abbia perso il treno del mercato digitale, entrando a causa di ciò in una crisi irreversibile.

La reazione delle major alle evoluzioni degli scenari distributivi, da subito improntata ad una aperta ostilità, ha di fatto ottenuto l’unico effetto di trasferire ad intermediari come Apple il grosso dei guadagni legati alla filiera un tempo da loro presidiata.

C’era dunque da sperare che i gruppi editoriali riuscissero a interpretare in modo a loro favorevole la transizione che da Google in poi sta coinvolgendo il loro settore.

C’era da sperarlo perché, come abbiamo più volte scritto nella rubrica semisegreta intitolata “il tarlo“, l’azzeramento delle economie del giornalismo professionale implica la consegna dell’informazione nelle mani di dilettanti, aggregatori, copia-incollatori e rimasticatori di notizie altrui – dunque la trasformazione del newsmaking in un macroscopico gioco del telefono senza fili.

Al contrario, un anno dopo il lancio dell’iPad, su cui molto puntavano i publisher, l’aggregazione di contenuti altrui è quanto mai fiorente – i 50 milioni recentemente arrivati nelle tasche degli sviluppatori di Flipboard lo dimostrano –  mentre il modello di rivista-app, a partire da The Daily di Murdoch, non decolla e anzi sembra già superato.

Fra astrusi paywall (vedi il caso NYT), guerre di trincea sull’accesso ai dati personali degli utenti, i publisher sembrano dunque ancora lontani dal trovare la quadra del nuovo modello di distribuzione digitale. Un modello che, dopo 17 anni di Internet, rimane totalmente improntato all’accesso simultaneo a molte fonti – anche molto eterogenee in quanto a qualità e prossimità ai fatti raccontati. Il che va chiaramente a scapito del rapporto diretto testata-lettore, da sempre cruciale nelle economie dell’editoria.

Torniamo a Flipboard, un’applicazione il cui enorme potenziale è evidente a chiunque l’abbia mai provata: si tratta di un aggregatore di feed scelti dall’utente, integrato con un layer di presentazione che trae il massimo vantaggio dall’interfaccia touchscreen dell’iPad.

All’alimentazione del layer di presentazione provvede un altro componente fondamentale dell’applicazione: un sofisticato meccanismo di lettura ed estrazione di contenuti audio/video/fotografici/social dal contesto originale.

Estratti, privati di fastidiosa pubblicità e incapsulati in un formato tablet friendly, i contenuti vengono quindi serviti all’utente in modo del tutto decontestualizzato e sbrandizzato.

L’immensa popolarità dell’applicazione – che presto verrà clonata da Google e da n altri big dell’industria – ha l’effetto collaterale di azzerare su larga scala, tanto in termini di fidelizzazione quanto di guadagno, le economie di chi col proprio lavoro quotidiano crea contenuti. Quel che è peggio, anche su quell’iPad cui si attribuivano qualità taumaturgiche per le sorti dell’editoria.

Il che non sarebbe un problema insormontabile se i publisher, armati di buona volontà e ben consigliati, facessero blocco unico per creare un modello alternativo capace di coniugare le peculiarità dell’accesso all’informazione ai tempi di Internet, con la non più derogabile necessità di un ritorno economico.

Al contrario ciascuno va per la sua strada, stringe partnership irrilevanti, sforna applicazioni insensate, abbraccia o addirittura propone dispositivi destinati ad un rapidissimo oblio. Le logiche particolari continuano a prevalere sui bisogni generali e la capacità di fare sistema continua a latitare.

Una giostra questa che durerà almeno fino a quando un giorno nemmeno troppo lontano Flipboard, come già fece Google, andrà a bussare alla porta dei publisher proponendogli un accordo di revenue sharing sui loro stessi contenuti. A quel punto anche il treno dei tablet potrà considerarsi perso, con buona pace delle magnifiche sorti e progressive dell’editoria ai tempi dell’iPad.

11 Commenti »

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  • # 1
    Confusio
     scrive: 

    “sbrandizzare” non e’ un pelino “illegale”? io propongo in un mio aggregatore, contenuti altrui (anche convertiti), e senza gli ads originali?

    Un’applicativo del genre potrebbe causare la morte di qualsiasi forma di contenuti online … o non ho capito l’articolo?

  • # 2
    Alessio Di Domizio (Autore del post)
     scrive: 

    Hai capito benissimo. È da qualche lustro che l’innovazione tecnologica risolve le inefficienze delle vecchie filiere dirottando i guadagni lontano dal controllo di chi le presidiava. Alcuni arrivano ad argomentare che dare gratis i feed RSS (90% dei casi senza pubblicità) per un giornale equivale a regalare l’argenteria… Insomma, l’incapacità degli editori di interpretare strategicamente il fenomeno Internet costituisce un’ottima parte del problema.

  • # 3
    phabio76
     scrive: 

    Ciao,
    mi sento chiamato in causa perchè osservo direttamente il problema dalle due angolazioni: ho tirato su per gioco un aggregatore e quotidianamente assecondo le astruse volontà di un publisher nazionale…
    Se il primo è poco più di un esperimento tecnico che entrando e uscendo dalle penalizzazioni di Google con un po’ di SEO ha dato qualche frutto, sull’altro fronte confermo che siamo messi male male male.
    L’ignoranza in materia è a livelli preoccupanti, tanto da far sembrare un genio il tipico ragazzo asociale e grassottello che guadagna due euro al giorno con adsense sul un blog tematico.
    L’assenza di strategia a medio-lungo termine è totale, ci si prostra alle iniziative commerciali, si rifà ogni tanto la facciata, si fanno le applicazioni per iPad sfruttando quello che c’è già e le si strombazza ai quattro venti… marketing, unicamente marketing.
    C’è chi sguazza in questo immobilismo: alcune società di advertising, l’esperto di social media marketing di turno, l’esperto SEO o chi per lui, che vengono assoldati per disperazione quando, improvvisamente, qualcuno sembra aver dedotto che potessero rappresentare la cura di tutti i mali.
    Attualmente non esistono mezze misure, le news o si scrivono “professionalmente” o vengono sfruttate e ripresentate in modo becero anche dagli stessi publisher.
    A questo punto preferisco un Liquida ben fatto a un soggetto che mi vuole vendere le sue news di seconda mano nascondendosi dietro una testata.
    Lo scenario più probabile che si prospetta è quello (aberrante) del “Real-Time News Curation” in cui uno stagista sfigato farà le veci del giornalista, rimasticando news altrui, e piegando il quotidiano online alle logiche dell’aggregatore, puntando sulla quantità dei contenuti piuttosto che sulla qualità e l’originalità.

  • # 4
    Alessio Di Domizio (Autore del post)
     scrive: 

    @ phabio
    In linea di massima posso anche convenire, ma va fatto un ragionamento più ampio. Una testata professionale vende al lettore un metodo e un filtro. Un metodo che si applica nella creazione di contenuti originali e un filtro per ciò che, fra i contenuti non originali, viene ritenuto notiziabile. Il che è una funzione “ombrello” rispetto al sovraccarico informativo da cui è assalito ogni utente che, se svolta bene, ha il suo valore. È questa la vera “curation”, che funziona da molto prima che questo termine entrasse nella bocca di tutti.

    Anche nel Washington Post non tutte le notizie sono originali comunque all’altezza dell’indagine di Bernstein e Woodward. Ciò non toglie che al rapporto di fidelizzazione che si stringe con una testata contribuiscono entrambe le funzioni delineate sopra.

    Venendo alla curation, che nell’ottica di quanto sopra definirei piuttosto meta-curation, si affida a una logica di celebrità tipica del Web 2.0, in cui il singolo personaggio più che la testata (ivi compreso il suo storico in tema di metodo e filtro) è un tizio ad assumere un ruolo ai limiti del carismatico – in maniera spesso indipendente da competenze nel merito specifico.

    Che ci piaccia o meno (a me non piace) questo modello lascia irrisolto un piccolo problema: la sostenibilità economica di chi produce notizie di prima mano, contenuti originali di qualità, i quali sono stati, sono e saranno il primo motore dell’ingranaggio che produce coscienza civile, cultura, apertura mentale.

    Soffocando la sostenibilità economica dell’attività di produrre contenuti originali di qualità creiamo un disastro i cui effetti saranno visibili solo fra qualche lustro. L’ingranaggio tuttavia continuerà a muoversi, solo producendo un output leggermente diverso…

  • # 5
    phabio76
     scrive: 

    [OT]
    Sto aspettando da mesi il post sui “Nuovi Digerati” e i “Consumisti Comunisti” (definizione che fece scalpore ma azzeccatissima).

  • # 6
    Confusio
     scrive: 

    “L’ingranaggio tuttavia continuerà a muoversi, solo producendo un output leggermente diverso…”: ina locomotiva necessita di molta energia per partire, ma una volta in moto, puo’ andare a motore spento per molti chilometri, prima di perdere l’inerzia accumulata.

    Io sono un semplice utente, capisco qual che dite e in massima parte approvo. Da utente, vorrei avere una copia de una testata e pagarla un decimo di quel che costa in edicola, al massimo. Se questo e’ congruo … non lo so, so che di piu’ non pagherei, un po’ perche’ non potrei leggere tutto quel che vorrei, un po’ perche’ non ho proprio cosi’ tanti soldi.
    Anche adesso vorrei leggere una intera edicola, ma il numero di testate che acquisto con regolarita’ si e’ ridotto a … una, dalle 5 di prima: di questo dobbiamo ringraziare i nostri illuminati governanti (ma qui andiamo OT).

    Siti di news interessanti ce ne sono molti, con contenuti propri … pero’, stanno purtroppo rendendo le pagine sempre piu’ illegibili, impastando tutto con banner lampeggianti, popup ‘clicca qui’ che ti coprono quel che leggi, e altra roba che ti fa venir voglia di chiudere tutto. Un sito di tecnologia molto famoso, se non hai i cookie abilitati, ogni tre click ti manda un popup con scritto se vuoi partecipare ad un sondaggio.

    Ma che fine ha fatto il ‘comune buon senso’? io non sono un esperto, ma questo fa scappare utenti, o fa implementare filtri. Le cause son due: o gli ads rendono sempre meno (percui ne devi mettere un milione per campare), o i bilanci devono segnare sempre un 20% annuo, percui ogni anno mi trovo almeno il 20% di pubblicita’ in piu’.

    Come giustamente diceva Di Domizio, negli ultimi tempi abbiamo assistito a una serie di follie editoriali: tutti a fare il portale pieno di niente, o l’app per iBad che ti propone un abbobnamento a 100€ annui per qualcosa che comunque puoi a) trovare gratis b) farne a meno! ma la grande editoria … ormai, cosa e’ diventata? vive vendendo carta o notizie? nel primo caso e’ destinata alla morte, nel secondo poco cambia, se cambia il media.

    Ricollegandomi ai siti di prima, la settimana scorsa ho preso in mano una rivista per donne, e ho potuto notare dei buoni articoli, SEPOLTI alla media di circa cinque pagine di profumi e trucchi per una pagina di contenuti … e’ questo il web che mi aspetta? la stessa trasposizione?

    Serve un’etica anche nella pubblicita’, etica che pero’ e’ purtroppo condizionata dal bilancio e dalla cinghia.

    Mah.

    Il mese scorso ho comprato un mediastreamer che si puo’ collegare ad internet, ma oltre youtube e rss non riesco ad andare, eppure mi rendo conto che potenzialmente quello dei dispositivi ‘diversi dal PC’, e’ un mercato immenso, pieno di clienti.

  • # 7
    Andrea2001
     scrive: 

    Non conosco bene tutto il panorama delle riviste digitali ma posso portare tre casi che ho sperimentato sul mio iPad.

    Focus UK tramite la sua app vende i proprio numeri a 2,4€, molto meno di quella schifezza di Focus Italiano… secondo me è un affare, i testi e e le immagini sono formattati ad hoc e i contenuti sono molto interessanti, ad un prezzo onesto. Stesso discorso per Popular Science che a 14€ dà addirittura l’abbonamento per 1 anno.

    L’economist invece costa per ogni numero quasi come in edicola. Ma l’app è ben fatta e comunque si evita di trovarsi pile di riviste in casa.

    Considerando prezzo e praticità non ho problemi a dire che preferisco la versione digitale a quella cartacea!

  • # 8
    phabio76
     scrive: 

    Tornando alla questione principale, gli editori, specialmente quelli nostrani, non sono propensi a costosi esperimenti (come il Daily di Murdoch). Faranno il salto solo quando si sarà affermato un modello di business che potrà garantirgli degli introiti; attualmente si limitano a vivacchiare facendo investimenti minimi di facciata finalizzati a far apparire i loro prodotti aperti alle nuove tecnologie ma sostanzialmente legati a doppio filo ad architetture vetuste messe in piedi per ben altre finalità.
    La maggior parte delle applicazioni iPad dei quotidiani non sono altro che sfogliatori di pdf ottenuti pari pari dalle pagine del cartaceo… non mi sembra che questa sia una grande innovazione.
    Applicazioni create ad hoc richiedono ben altre risorse e il ritorno economico è ancora irrisorio rispetto ai vecchi canali.
    Inoltre, finchè esisterà il web (e per fortuna, aggiungo) le applicazioni rimarranno sempre secondarie ai siti.
    Stiamo a vedere che succede.

  • # 9
    Giovanni*
     scrive: 

    Se posso dire la mia penso ci sia da fare un distinguo tra il “treno” perso per dalla carta stampata e quello dell’ editoria.
    Se da un lato il settore editoria ha un futuro molto simile a quello della musica (con un discorso a parte per lo scenario italiano che definire desolante e’ poco) dove un contenuto “singolo” viene venduto ad un prezzo “ragionevole” e trova il suo perche’ come mercato sostenibile, il settore giornalistico invece e’ decisamente messo male in quanto a prospettive future riguardo la qualita’ dei contenuti.

    Quello che Apple fece dieci anni fa’ con itunes non fu altro che prendere il metodo piu’ usato e renderlo legale. Certo si puo’ stare a discutere sul fattoche un mp3 ha una qualita’ peggiore del corrispettivo su cd (alla casalinga di voghera poco importa comunque), si puo’ parlare del fatto che scegliere solo singoli brani estrapolandoli dal “concetto” album e’ la morte di chi fa’ musica in un dato modo, centrifugando tutto in un’ unica playlist dove il random e lo “skip to next song” la fanno da padrone. Gia’ oggi faccio fatica a spiegare a mia nipote di 13 anni cosa sono quei vinili e quei cd che tengo esposti nel salone e il perche’ continuo a comprarne ogni tanto (sia chiaro, solo quando escono nuovi album dei pearl jam :P). Ma in fondo questa era l’unica strada per evitare che il sistema di distribuzione mondiale della musica fallisse, accontentiamoci.

    Lo stesso puo’ funzionare per i libri, sempre se in italia si renderanno conto che vendere l’edizione digitale di un libro quasi al prezzo di quella cartacea e’ una stupidaggine.

    Se volessimo applicare lo stesso modus operandi alla carta stampata dovremmo prendere in considerazione solo “l’aggregatore di news” e fare in modo che diventi davvero remunerativo.
    Questo a scapito evidente della “qualita’”, notizie prese da ogni testata, schierata o non schierata, generalista o per smanettoni. Un blob incosistente di pagine scritte, dai contenuti scarni e “low cost” (ai miei tempi si diceva scritti coi piedi)…

    Ah spe, esiste gia’

    http://news.google.it/nwshp?hl=it&tab=wn

    Se questo e’ il futuro della carta stampata siam messi male -_-‘
    D’altronde guardo quello che e’ accaduto ad Hwupgrade, dove le news un tempo erano di meno, scritte meglio, dove non si aveva la sensazione di stare a leggere un paio di righe scritte da chissa’ chi su un’ altra testata e dove spesso i commenti erano pagine e pagine interessanti. Mi pare proprio che almeno la sezione news di Hwu sia diventato un “aggregatore”, gli articoli lunghi sono ancora interessanti (a parte sezione tipo gamemag che reputo proprio di basso livello) ma generalmente hwu e’ “morto” ai miei occhi.

  • # 10
    sireangelus
     scrive: 

    ma sentite.. avete mai letto odissea 2010? dove il dottor floyd parla di un’attrezzo che in un’istante riportava i giornali di tutto il mondo aggiornati ogni 15 minuti? non vi sembra di ricordare l’ipad, anche senza il modello di business?

  • # 11
    Bruno
     scrive: 

    Scusate, capisco il discorso, ma per Flipboard la soluzione è semplice: basta pubblicare feed RSS incompleti, e così chi vuole leggersi la notizia/post è costretto ad andare sul sito originale.

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