L’italia torna al nucleare dopo 20 anni?

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Nel 1987 oltre il 71% degli italiani disse no al nucleare, chiamati ad esprimersi tramite un referendum. Allora però, era trascorso circa un anno dai tragici fatti di Chernobyl, e l’onda emotiva travolse qualsiasi discussione razionale. Dunque fu solo una scelta dettata dalla compassione per le vittime dell’incidente russo, e dalla paura che si potesse verificare qualcosa di analogo qui in Italia, o fu anche un secco no ad una tecnologia e ai rischi che essa comporta?

Il Ministro dello Sviluppo Economico, Scajola ha annunciato centrali nucleari di ultima generazione entro cinque anni. Ma cosa vorrà dire di ultima generazione? Vorrei vedere che venissero installate centrali obsolete! Cosa di cui, peraltro, non ci sarebbe neanche tanto da stupirsi, visto che è quello che è successo spesso, a causa dei tempi della burocrazia, con gli ospedali, ad esempio, ma anche con i termovalorizzatori, per rimanere in tema di attualità.

Uno degli argomenti che più spesso ho sentito utilizzare da chi sostiene il nucleare, è che non ha senso rinunciare alle centrali per timore di incidenti, quando, avendo quelle francesi a poche centinaia di chilometri di distanza, una eventuale esplosione lì, avrebbe gli stessi effetti. E d’altro canto, anche centrali molto più lontane, qualora si producesse una nube tossica, ci esporrebbe a forti rischi a seconda della direzione del vento che la trasporta.
Dunque l’Italia, pur correndo gli stessi rischi delle altre nazioni, non ha i benefici economici, ed è costretta ad acquistare energia proprio da quei Paesi che la producono grazie al nucleare.

Vero, però bisogna stare attenti a non cadere nella sindrome di cenerentola. Bisogna guardarsi, cioé dal desiderio di partecipare a tutti costi al gran ballo e di ricorrere alla bacchetta magica per arrivarci con il vestito buono. Perché rischiamo di dover scappare via sul più bello, quando rischiamo che la carrozza diventi una zucca.

Fuor di metafora, dopo venti anni si può, forse anche si deve, data la situazione energetica mondiale, riprendere il fascicolo del nucleare e riesaminarlo approfonditamente. E’ opportuno verificare quali progressi ha compiuto la tecnologia in questo lasso di tempo. Ma allo stesso tempo, bisognerebbe tenere presente che ciò che ha fatto la fortuna energetica di alcune nazioni da venti anni a questa parte, non è detto che lo faccia anche per i prossimi venti anni. Quando si fa un progetto per il futuro bisogna sapere cosa c’è alle spalle, ma si deve anche essere capaci di guardare avanti ed oltre l’orizzonte.

L’Italia ha due modi possibili per “superare” la concorrenza, per evitare di continuare a rincorrere:

  1. puntare sul nucleare, ma farlo con una rilevanza e modernità tecnologica tale da essere all’avanguardia; partire dall’esperienza di chi ha gestito il nucleare per due decenni per non commettere gli stessi errori ed innovare rispetto allo status quo.
  2. analizzare la questione della produzione energetica ad ampio spettro e dirsi: nei passati venti anni non siamo saliti sul treno del nucleare, ma oggi qual è il treno che ci porterà avanti per almeno altri venti anni? Qual è la tecnologia del futuro? Sarà sempre il nucleare, o le rinnovabili, ad esempio? E se fosse un altro il cavallo su cui puntare?

In sincerità, quello che mi fa più paura in questo momento, è una certa, comprensibile, fragilità emotiva diffusa. L’idea che il nucleare possa smuovere l’Italia dal coma economico in cui versa è facile che impedisca di ragionare seriamente e con il dovuto grado di approfondimento sull’argomento, liberi da preconcetti. Spero che ciò non accada.

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Markingegno

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