Google perde ogni giorno di più l’aureola di “not evil” che si era costruita negli anni, proponendosi come alternativa fresca e pulita ai grossi colossi del mondo dell’informatica.
Questa volta è coinvolta una descrizione su Google Earth di una località in Israele, la città di Kiryat Yam, scritta da un palestinese che ne racconta la storia, sostenendo che fosse in origine un antico villaggio palestinese, distrutto da Israele durante la guerra del 1948, dichiarata dagli stati arabi ad Israele, all’indomani della sua nascita sotto l’egida dell’ONU.
Le autorità israeliane hanno chiesto la rimozione del commento, in quanto quel paese sarebbe stato costruito non sopra le rovine di un villaggio distrutto, ma in luogo prima non abitato. Due posizioni opposte, come spesso capita da quelle parti, che hanno ricevuto da Google una risposta precisa.
La società di Mountain View ha infatti abbracciato appieno il principio di libertà di parola ed espressione, stabilendo che obiettivo di dar voce ai contenuti degli utenti è quello di sentire tutti i punti di vista, che meritano eguale attenzione e considerazione. Per questi motivi il commento non verrà rimosso.
Io non desidero entrare nel merito della questione, anche perché non ho elementi sufficienti per dire con certezza chi ha torto e chi ha ragione, ma ho elementi più che sufficienti per dire che Google è ipocrita.
In Cina, infatti, Google ha accettato di buon grado censure e delazioni ai danni dei cittadini, tappando loro la bocca e impedendo loro di informarsi liberamente. Google ha quindi deciso di “vendere” i propri ideali ad una dittatura perché la contropartita era golosa: l’accesso ad un paese di oltre un miliardo di persone. Nel caso di Israele, invece, la contropartita pare essere molto meno interessante, quindi Google si fa paladina di giustizia e libertà di parola.
Non amo affatto simili atteggiamenti che dimostrano molta poca coerenza e grande attenzione a valori ben diversi da quelli proclamati e ostentati in pubblico. Preferirei osservare maggiore responsabilità, anche quando le cifre in gioco sono alte e gli interessi forti. Per quanto sappia benissimo che quando si lavora qualche compromesso va per forza accettato, so anche che non è né eticamente né moralmente accettabile superare una certa soglia che, in questo caso, mi pare superata da un pezzo.
beh Francesco…tu hai ragione, ma si sa cosa è piu politically correct di questi tempi, quindi non ci stupiamo!! eppoi fin quando ci sarà il “razzismo buono” di chi non accetta che Israele sia ospite d’onore in una fiera del libro e il “razzismo cattivo” di chi pubblica un “indice” di professori ebrei, non andremo da nessuna parte con le discussioni!!! il razzismo è razzismo…sia da parte di pazzi schizzofrenici dalla testa rasata che da gentili intellettuali con la barba incolta e maglioncino di lana…
Infine Cina = soldi, molti soldi…
No comment… Quando ci sono di mezzo i soldi (tanti, tanti soldi) la libertà di parola può andare a farsi friggere, altrimenti no. Non voglio disquisire nemmeno io su chi abbia ragione e chi no, ma con questo episodio direi che Google ha perso un po’ di punti col sottoscritto.
il mondo gira intorno al cash nn mi pare una novità…non si può tanto accusare google x nulla…dove può cerca di esser politicamente corretta…in altre sedi come la cine nn si può permettere di perdere contratti che fruttano molto cash per via di ideali che cmq verrebbero calpestati…se anche google avesse agito ”come avrebbe dovuto agire” in cina nn sarebbe cambiato nullla…rimangono cmq tutte le altre multinazionali a sfrutare il popolo cinese…nike e company producano ancora e le olimpiadi cmq si fanno…nn facciamo del falso buonismo e guradiamo in diretta faccia la realtà…google si sta comportando come meglio può…:_)