Bloodwych, nel dungeon in split-screen

bloodwych_01Fra castelli con torri svettanti oltre le nuvole, draghi, maghi malvagi, città prese d’assalto, quest disperate, spade magiche, scudi borchiati o voluminosi libri d’incantesimi, ogni adolescente negli anni ’80 ha salvato il mondo almeno una dozzina di volte.

Avendo molto tempo libero, poca voglia di studiare e un fiammante Amiga in camera, come d’altronde avrebbe potuto sottrarsi ai propri doveri nei confronti del genere umano?

L’avete già capito: in questa nuova puntata della rubrica dedicata al culto retroinformatico torneremo ad occuparci di videogiochi, in particolare del genere fantasy, per la precisione di un bel RPG in tempo reale del 1989.

Non Dungeon Master (che tra l’altro è dell’87), capostipite del genere di cui abbiamo già parlato mesi fa, ma di un gioco che ne raccoglie l’eredità, portando in dote alcune novità che lo rendono godibilissimo anche da chi si sia già fatto le ossa affettando i potentissimi draghi nel capolavoro della FTL.

bloodwych_04Innanzitutto la modalità a due in split screen orizzontale, che consente un’esplorazione indipendente del dungeon, in cui è gustosissimo collaborare accerchiando i malcapitati mostri, ma anche scambiarsi ceffoni, possibilmente a tradimento, per poi lanciarsi in chilometriche fughe.

Bloodwych debutta su Amiga ed ST nel lontano 1989: come in Dungeon Master bisogna percorrere in lungo e in largo un enorme dungeon su più livelli (42 più gli extra levels rilasciati in seguito) nonché disseminato di mostri e varie trappole, per trovare quattro cristalli con cui intrappolare il malvagio Lord Entropy – cugino di 2° grado di quel Lord Chaos che abbiamo debellato qualche anno prima su DM.

Per consegnare il malvagio Entropy al suo meritato destino, dovremo avvalerci – un po’ come in DM – di quattro eroi, scelti fra gli ultimi 16 rimasti nella città di Trazere, presso cui sorgono le temute torri del mago. Tornerà inoltre utile l’equipaggiamento che troveremo disseminato lungo cammino, indispensabile per bastonare o tostare a colpi di fireball la folta schiera di concittadini convertiti dal malvagio mago in terribili mostri a guardia del dungeon.

Le classi di personaggi sono 4 e includono il classico guerriero coriaceo e ignorante, il mago, l’avventuriero – tipica classe all-around – e infine l’arciere, utile elemento di seconda fila a fianco del mago.

Formato il party, non resta che mettersi in cammino ma, e qui iniziano ad emergere gustosissime differenze rispetto a DM, lungo la strada la strategia spaccotutto stile “kiss my axe” non ci porterà lontano: in Bloodwych i personaggi, oltre a picchiarsi, possono comunicare, e la diplomazia gioca un ruolo fondamentale nel successo della missione.

Che si tratti di “allisciare” un mercante per avere una spada a prezzo scontato, o piuttosto di convincere un NPC a stare al largo, è sempre necessario valutare l’uso della ragione prima di passare alle mani.

C’è di più: la comunicazione vale anche all’interno del gruppo: il personaggio che scegliamo per primo è infatti il leader del party, e a lui tocca d’impartire direttive, o meglio di “educare” i compagni, i quali sono dotati di una propria intelligenza e possono agire autonomamente in varie situazioni.

Se dunque loderemo troppo il nostro amico barbaro, non potremo stupirci se durante una estenuante trattativa, deciderà che s’è fatto tardi e dunque passerà a filo d’ascia il mercante. Di converso, mordendo troppo il freno sul versante repressivo, produrremo l’effetto di bloccare l’iniziativa dei compagni, rinunciando quindi al loro valido apporto “spontaneo”.

Un apporto che invece si rivela estremamente utile quando, per esempio, si reputi di separare il gruppo – altra novità rispetto a DM – per esempio per tenere gli spellcaster a distanza ed entrare in corpo a corpo solo con i guerrieri. È lì che l’intelligenza artificiale entra in gioco, e che dunque un party “ben educato” rivela tutta la sua forza.

Peccato che anche in modalità singolo giocatore, il gioco si svolga su metà schermo: una resa più accurata dei personaggi avrebbe contribuito ad incrementarne l’atmosfera – stranamente silenzioso rispetto a titoli simili – e a renderlo più immersivo.

È straordinario d’altro canto che si sia riusciti a realizzare un RPG di cui ci viene voglia di riparlare a 21 anni di distanza dal rilascio, con la metà dei pixel del suo glorioso predecessore!

Nonostante questa piccola pecca, Bloodwych rimane un gioco da ricordare e, soprattutto, da rigiocare, armati come sempre di emulatore. Per chi avesse già completato la versione originale – impresa tutt’altro che semplice – vale senz’altro la pena di gettare un occhio ai livelli estesi o al remake del 1994 pubblicato dalla Psygnosis, Hexx: Heresy of the Wizard.

Per chi invece non lo avesse mai provato non ci sono scuse: anche perché, almeno nel mondo videoludico, non è mai troppo tardi per salvare il pianeta dalla catastrofe.

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