La prima luce dell’Universo

Il Maggio scorso scrissi un post per raccontarvi il lancio del satellite Planck , partito per osservare la prima prima luce emessa dall’Universo durante la sua formazione. Sono molto contenta oggi di poter scrivere un altro post, in cui vi racconterò i primi risultati dell’esperimento. Nell’immagine a fianco potete già vedere la fascia dell’Universo (in falsi colori) che Planck ha osservato finora.

Questo post è una seconda puntata del precedente, per cui consiglio chi non sa che cosa è Planck di rinfrescarsi le idee rileggendo il post precedente, ma renderò questo post leggibile anche a chi non ha letto quello precedente.

Il satellite Planck è un telescopio che osserva il cielo nella frequenza delle microonde. Questa scelta è dovuta al fatto che 300mila anni dopo il Big Bang, quando l’Universo è per la prima volta diventato trasparente alla luce, sono stati emessi fotoni, ovvero onde elettromagnetiche, che oggi ci arrivano esattamente in questa banda. Questa radiazione elettromagnetica viene chiamata Fondo Cosmico a Microonde (CMB) e la sua osservazione è di grandissima importanza per rispondere a domande fondamentali quali l’evoluzione e l’origine dell’Universo, nonché la sua composizione.

Questa radiazione permea completamente l’Universo ed è stata teroizzata nel 1948 e scoperta successivamente grazie alle tecnologie Radar sviluppatosi durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa scoperta ha fruttato il nobel alla coppia Penzial e Wilson nel 1978 e successivamente, nel 2006, i due leader dell’esperimento COBE Mather e Smoot hanno ottenuto il nobel per aver scoperto, col loro esperimento, che la radiazione CMB segue lo spettro di un corpo nero (ad oggi è il corpo nero più perfetto che si conosca, con una temperatura di 2.73 gradi Kelvin)e che presenta delle anisotropie, ovvero delle zone in cui non è del tutto uniforme. Queste anisotropie sono all’origine della formazione dei raggruppamenti di materia e energia che hanno poi dato la luce a galassie, stelle e pianeti.

Ma ora veniamo al protagonista di questo post: Planck è un progetto dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, ed è la prima missione europea progettata per studiare il fondo cosmico a microonde, con una precisione ed innovazioni che nessun esperimento aveva raggiunto in precedenza.

Il satellite, per osservare tutto l’Universo che lo circonda, ruota attorno al proprio asse, generando così mappe dell’intero cielo alla lunghezza d’onda delle microonde, come potete vedere nella simulazione presentata nel video di youtube:

 

Planck contiene al suo interno due strumenti, ciscuno specializzato in una determinata banda di frequenze: lo strumento LFI (Low Frequency Instrument) osserva il cielo nella parte più bassa delle frequenze (30, 44 e 70 GHz) mentre lo strumento HFI (High Frequency Instrument) si occupa delle frequenze più alte (100, 143, 217, 353, 545 e 857 GHz ). È di particolare interesse sapere il destino dello strumento LFI, essendo di produzione e concezione principalmente italiana. È quindi un sollievo per la ricerca dello stivale sentire le parole di Reno Mandolesi,  dell’INAF-IASF Bologna, e responsabile dello strumento LFI:  «LFI, il low frequency instrument, si sta comportando in modo magnifico. Realizzato, per la parte italiana, principalmente dal gruppo di Bologna, insieme a quelli di Milano, Trieste, Roma e Padova, LFI sta producendo mappe che, già prese così come ci arrivano a Terra, senza alcuna correzione, sono scientificamente congruenti con i risultati raccolti dal satellite WMAP della NASA»

La storia di Planck non finirà con questo post, molto probabilmente, perché si prospettano almeno 15 mesi di vita per il satellite, che raccoglierà ininterrotamente dati per tutto questo tempo.

La novità di queste settimane è però la “prima luce” (ovverlo la first light survey, iniziata il 13 e completata il 27 Agosto. Si trata di una osservazione speciale, della durata di due settimane, durante la quale Planck ha osservato il cielo senza sosta, con lo scopo principale di verificare la stabilità degli strumenti e di calibrarli per ottenere la massima precisione possibile.  Questo processo ha prodotto nove mappe di  “strisce” di cielo, una per ciascuna delle nove frequenze di Planck. Ogni mappa rappresenta un anello di circa 15 gradi d’ampiezza che si estende lungo l’intero arco del cielo. I risultati delle osservazioni sono già a disposizione degli scienziati che, dopo una prima analisi, sono estremamente soddisfatti dell’eccellente qualità dei dati.

Ma Planck non è certo un satellite pigro, e non appena sono terminati i lavori della prima luce, si è dato il via alle osservazioni scientifiche vere e proprie.  La prima mappa dell’intero cielo sarà disponibile fra circa 6 mesi. Durante il suo ciclo di vita Planck riuscirà da fornire dati necessari per completare almeno due mappe dell’intero Universo. Purtroppo però la vita del fisico non è così facile e i dati dovranno essere sottoposti a una complessa analisi prima di poterli interpretare correttamente. Gli studi e l’analisi di tutti i ricercatori coinvolti nel progetto Planck, e sparsi per tutta Europa, dureranno per circa due anni. Si prevede che attorno alla fine del 2012 i dati potranno essere resi pubblici e potranno essere pubblicate le mappe ufficiali del cielo assieme ai principali risultati scientifici che questo esperimento ci permetterà di raggiungere.

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