Tranquilli: non ho ancora perso la ragione (almeno per ora). La domanda prende spunto da una vecchia discussione nel forum di hardware upgrade dove, parlando della situazione lavorativa dei programmatori, un utente fece una battuta sull’argomento che suonava più o meno così:
I programmatori, come le donne di facili costumi, traggono godimento dall’esercizio della loro attività. Quindi perché dovrebbero essere pagati?
Ci divertiamo, insomma, per cui la retribuzione sarebbe superflua. A parte l’insignificante dettaglio che anche i programmatori dovrebbero mangiare (lo fanno persino i filosofi, che all’attività del pensare alternano i pasti), siamo sicuri che la situazione sia così rosea come la si dipinge?
L’idea del programmatore appagato dal proprio lavoro è alquanto idealizzata o, meglio ancora, romanzata, nonché spesso circondata da quell’aurea di nerdaggine che tende a relegare quest’attività a gente grassa e brufolosa, dotata di fondi di bottiglia, e perennemente tappata in casa a vegetare davanti alla tastiera.
Non proprio il massimo della vita, insomma, ma… si è felici! Perché programmare è bello! E’ pura goduria! Essendo un’attività particolarmente creativa, può risultare anche divertente e portare gratificazione (spesso autogratificazione e autoesaltazione).
Ricordiamo quando, alle prime armi, impugnavamo la tastiera e smanettavamo cercando di piegare il metallo al nostro volere, con la spensieratezza di chi poteva permettersi anche 13 ore filate a esercitare i polpastrelli con gli occhi incollati alla TV (quando i monitor erano merce rara e molto costosa), con la mamma a gridare in continuazione “è pronto!” e noi a rispondere sempre “un secondo, finisco una cosa, e arrivo!”
Ma nella naturale evoluzione e crescita di un essere umano prima o poi tocca rompere il cordone ombelicale (virtuale) e cercare o inventarci un’attività che ci possa rendere economicamente autosufficienti. Si smette di programmare per pura passione, per il piacere di farlo, e si passa a farlo per necessità.
Capita, quindi, di avere a che fare con lo sviluppo di software che proprio non ci piace, ma lo si comincia a capire già dalla scuola che non sempre possiamo fare tutto ciò che vorremmo. Costretti a seguire una pallosissima lezione sui segmenti dell’8086, quando con la testa vaneggiamo sui favolosi chip custom dell’Amiga.
Di peggio può capitare soltanto all’università, dove parlando con un professore che ha stima di noi confessiamo disinvoltamente di non voler mai avere a che fare coi database, perché li riteniamo roba assolutamente non interessante. Salvo scoprire che il suddetto presiede la cattedra di “Elaborazione dell’informazione non numerica”… materia obbligatoria del corso di laurea!
Ironia della sorte, da anni lavoro coi database, e la cosa non mi fa affatto schifo (a parte con MySQL, ma questa è un’altra storia). Idem per il web: “io sviluppare applicazioni web? Mai!” Ebbene, ne ho già realizzate, e in questi giorni sono alle prese con un nuovo progetto. E potrei continuare con altri esempi. Mai dire mai, insomma! Anche perché le opinioni su certi settori dell’informatica possono anche mutare, e ciò che prima disprezzavamo può addirittura rivelarsi piacevole…
Il programmatore, però, rimane pur sempre un lavoratore, uno che viene pagato per sviluppare codice che interessa all’azienda (e non a noi, che magari vorremo fare ben altro!) per la quale lavora, e a cui bisogna dar conto (mi sembra il minimo). Inoltre non passa il tempo da lupo solitario, ma spesso è richiesta interazione e collaborazione con altri colleghi.
Qui possono nascere altri problemi, per i più svariati motivi. Tanto per fare qualche esempio, può succedere di discutere in merito alle soluzioni da adottare per un particolare progetto, ma il nostro responsabile prenderà poi una strada diversa (sic!). Di avere accesi diverbi con altri colleghi che capiscono di astrazione e sviluppo del software quanto noi di bricolage, oppure coi sistemisti che vedono come fumo negli occhi le nostre analisi e soluzioni ai problemi che a volte saltano fuori. O, peggio ancora, veniamo accusati di ostruzionismo; come se ogni giorno ci svegliassimo e, soprattutto, venissimo pagati per mettere i bastoni fra le ruote agli altri. Ecc. ecc. ecc.
Magari non capitano tutte assieme (se si è particolarmente sfortunati, modello Fantozzi, sì), ma shit happens, come dicono gli inglesi. Perché ognuno è dotato di un background culturale, esperienze, capacità e approccio diversi alle varie situazioni con cui abbiamo a che fare.
Conciliare le idee di tutti non è affatto semplice, specialmente per chi ha l’ingrato compito di gestire l’insieme, ma è innegabile che la diversità crea attriti che possono provocare ricadute a livello personale sia nel lavoro che fuori (fino al punto di perdere serenità; e sonno, per chi è particolarmente sensibile).
Lavorare in certe condizioni può essere talmente frustrante da portare a scelte radicali o disperate. A volte veramente balzane. Ad esempio, in un periodo di crisi, un programmatore ha deciso di smettere di scrivere codice ed è andato a fare… il magazziniere!
Ciò detto, riusciamo almeno a portare il pane a casa. La situazione, in ogni caso, non è delle migliori nel nostro ambito lavorativo. Abbiamo speso anni per la nostra formazione, magari bivaccando un po’ troppo all’università, e una volta fuori e col pezzo di carta in mano (per quanto possa valere) ci sentiamo i padroni del mondo.
Ma il mondo la pensa diversamente, si passano mesi a spedire curriculum senza ricevere nessuna risposta, e quando arriva spesso si apre una porticina chiamata stage aziendale… tante volte non retribuito.
Pratica comune anche a settori diversi dall’informatica, per carità. Una sorta di schiavitù moderna, di cui i disperati nuovi servi della gleba devono far parte per aspirare al tanto agognato posto fisso (sempre che abbia senso con la mutevolezza del mercato).
Quando finalmente arriva, andando a leggere fra le righe della prima busta paga ci accorgiamo di essere… metalmeccanici. E neppure col miglior contratto (non c’è la quattordicesima, ad esempio). L’informatico è, in buona sostanza, diventato l’operaio sottopagato e sfruttato del nuovo millennio, causa eccessivo divario fra domanda e offerta.
Un quadro decisamente diverso e desolante rispetto al boom degli anni ’80, dove si favoleggiava di programmatori che andavano in giro con la Ferrari, realizzando videogiochi (chi non ha mai desiderato di crearne uno?).
Tornando al tema dell’articolo, direi quindi di sì: ce n’è abbastanza per potere affermare che lo stipendio che guadagniamo non è certo superfluo, visto che programmare di per sé non garantisce automaticamente soddisfazione, non sempre veniamo impiegati in quel che vorremmo, la retribuzione non è quella auspicata, possiamo avere problemi nell’ambiente di lavoro, o ancora non venire adeguatamente valorizzati.
Con ciò non voglio assolutamente generalizzare e affermare che la nostra attività ci porterà necessariamente a situazioni del genere, ma certamente è difficile che si riveli l’Eldorado sognato. Chi continua ad avere una visione romantica di questa professione è bene che torni coi piedi per terra e tenga presente che, per “bello” che possa essere, sviluppare codice è comunque un lavoro, da portare avanti con dignità e professionalità. Come per tutti.
Ottimo articolo.. rispecchio in pieno il tuo pensiero.
Quoto anche io: lavoro stressante, spesso poco gratificante e farcito da richieste spesso assurde fatte da clienti incapaci (di intendere e volere).
Anche se, ad essere obiettivi, c’e’ decisamente di peggio !
Centrato in pieno!!
Bell’articolo, complimenti!
Ogni tanto penso di andare a fare il postino: lavorerei dalle 8 alle 14, 6 giorni su 7, poi il pomeriggio mi dedicherei ai miei esperimenti informatici! E perché no, magari arrotonderei anche lo stipendio del postino!
:)
allora nemmeno i calciatori dovrebbero essere pagati.
concordo appieno anche io..
SEI UN GRANDE!!!!!!! mi inchino! hai tutta la mia stima di cocopro!! :P
Programmare è bello? Sicuramente
E’ una cosa che sanno fare tutti? No, ci vuole impegno ed anni di esperienza e studi continui, purtroppo in italia e nelle grosse aziende di consulenza si tende a pensare il contrario, assumendo gente senza la benchè minima intenzione di fare selezione ma solo per buttare ragazzi schiavizzati a cercare di realizzare qualcosa che deve solo funzionare, indipendentemente da come viene realizzata. Sono stato assunto alla prima esperienza insieme a gente che non sapeva nemmeno cosa fosse un while, prendo gli stessi soldi di gente che ha la laurea in scienze di internet (con tutto il rispetto possibile per quella laurea) lavoro 12 ore al giorno su progetti fatti con i piedi, in cui non solo non sto imparando nulla ma sto disimparando, vista la veramente scarsa qualità dell’opera e le mansioni che sto svolgendo (abbinato al fatto che col poco tempo libero non riesco + a studiare, a fare ricerche, a confrontarmi con problematiche complesse che aiutano a mantenere la mente agile, ma soprattutto a sviluppare: si, sto perdendo la capacità di sviluppare, tutte le mie conoscenze e gli studi fatti nel corso di sudati anni e nel mio tempo libero si stanno perdendo nei meandri di queste 1000 righe di codice nell’Onload di una pagina aspx che sto guardando in questo momento). La cosa + grave è che sto perdendo la passione: non mi piace +, quando torno a casa nemmeno accendo + il pc, mi è passata anche la voglia di leggere gli stupendi libri che ho acquistato sperando che ravvivassero il mio interesse verso qualcosa che un tempo amavo fare. Mi piace quello che sto facendo? No non mi piace, lo odio, mi fa odiare quello che un tempo mi dava sensazioni bellissime, quel creare qualcosa dal nulla che mi divertiva un mondo, quello per cui pieno di speranze ho buttato anni della mia vita per prendere una laurea in ingegneria col massimo dei voti con cui posso pulirci a terra (per non dire di peggio) visto quello che conta.
Piccolo sfogo di un ex programmatore per passione al suo primo anno di lavoro.
al suo secondo anno di lavoro, per la precisione.
articolo perfetto! concordo in tutto.
@The3D: ti capisco perfettamente, poi quando ho letto delle migliaia di righe di codice sull’OnLoad mi sono proprio trovato nei tuoi panni.
Però non disperare, piuttosto cerca di migliorare le cose scritte con i piedi, vedila come una missione, io dopo sette anni di lavoro ci sto provando a volte con successo a volte un po’ meno, ma almeno ci provo.
ciao!
E pensa che io non mi sento neppure un programmatore e intanto passo le giornate con un editor di testo e un compilatore!
hai ragione, il web a noi “vecchi” sembrava una roba strana e per certi versi da tonti, poi però si capisce che in fondo pone sfide interessanti
personalmente ho avuto un rapporto abbastanza corto col web, ma tanto è servito per farmi capire che in fondo non era tutta grafica e musichette e che c’è molto di interessante e stimolante in quel mondo
ok lavorare con i robot è meglio, lo ammetto :D
@pabloski: lavorare con i robot? In quale azienda in italia si può fare questo genere di attività?
La realta’ e’ decisamente piu’ semplice.
Il programmatore e’ un creativo il cui lavoro e’ risolvere problemi realizzando software.
Nel momento in cui si perde di vista questo, si diventa normali muratori del byte e si smette di provare entusiasmo per il proprio lavoro.
Scrivere codice, di per se’, non serve ad una cippa. Chiunque tra l’altro e’ in grado di scrivere software, si tratta solo di dare “ordini” ad un PC. E’ la forma mentis del risolvere l’enigma, che dovrebbe essere la soddisfazione del lavoro. Con lo spirito giusto, anche il lavoro sui DB e’ entusiasmante. Scrivere una query impossibile, che tira fuori dati complicatissimi, ed ottimizzarla perche’ venga eseguita in pochi millisecondi…
Nemmeno da ragazzini si scriveva codice a caso: si cercava di risolvere problemi che ci creavamo ad hoc, si tentata di creare qualcosa, si tentava di competere con i limiti del PC.
certo che devo essere pagato ostiaaaaaa!! e anche tanto muhahuaauhauha!!
@Drizzt
D’accordissimo … il problema però è che spessissimo il “come” risolvere il problema te lo viene a dire (e lo pretende pure!) magari qualcuno che solo perché c’ha tanti soldi al posto del cervello pretende ci mettere bocca dove non dovrebbe!
Mi sono rivisto in pieno nel trafiletto sui database! Ho fatto Perito Informatico e come tesina per la maturità, BISOGNAVA portare un database. Io odiavo (e tutt’ora non mi appassionano più di tanto.. Con questo non voglio dire che “valgano di meno”..solo non mi piacciono! Ma potrei cambiare idea..chissà!) i database, in piena botta da OpenGL (più facili da imparare, all’epoca, delle DX7). Così io e un mio amico abbiamo realizzato un motore grafico per modelli md2 (quake2, ndr). Ma senza database, è stata valutata zero.. Ma allora era così..programmavo per puro piacere, tant’è che facevo i compiti di tutti gratuitamente..mi piaceva! Anche ora lo faccio (studio Ingegneria informatica, e cerco di fare tutti gli esami di programmazione che posso..anche quelli facoltativi o i cui crediti non contano per la laurea). Però è indubbio che anche i programmatori devono mangiare. Programmare videogame (quello che vorrei riuscire a fare) è discretamente pesante. Poi arriva il bimbetto, lo scarica da internet e su Yahoo Answers chiede come avere il seriale (e se gli dici che va comprato, vieni segnalato e Yahoo penalizza te, perchè sei “cattivo”.. :S ) e addio introiti. Idem per altri programmi. Purtroppo tendiamo a mangiare anche noi. Che stolti. Allora, come dice Giancarlo, neanche i calciatori e tutti gli altri atleti, non andrebbero pagati (non pagarli no, ma dargli uno stipendio normale, quello sì..per correre dietro a un ca..volo di pallone, prendono 5ml€/anno..forse è UN FILO esagerato). D’altronde “si divertono”. Anche i deejay, si divertono. Ah..anche gli ingegneri meccanici, spesso si divertono a ricercare soluzioni innovative. I presentatori (c’è chi ride sempre..perchè pagarlo?). Facciamo così..paghiamo solo gli operai delle catene di montaggio, la cui creatività è valutata zero, così come il loro divertimento. Gli altri, chi più chi meno, si divertono tutti.
E’ il motivo per cui ritengo l’open source un’utopia: se nessun programmatore venisse pagato, chi intraprenderebbe quest’attività? lo faresti solo per Hobby. Ma chi lo fa per hobby, non sempre è iperaggiornato, e il suo lavoro risulterebbe molto spesso, dozzinale. Per cui, i progetti opensource, scenderebbero di qualità. Così, la maggior parte della gente che ci lavora, guadagna dalla pubblicità/donazioni (quindi vengono pagati), oppure dal lavoro principale (che di solito è fare il programmatore per un’azienda che ti paga). Molti miei compagni sono fautori dell’open source, ma quando gli proponi di lavorare gratis..storcono il naso. Eppure è strano..”si divertono”..perchè dovrebbero ottenere dei soldi?
sono un programmatore… ho detto tutto!!
Bè il comento su mysql è un pò off-topic e anche un po gratuito.
Spero tu abbia sempre accesso a oracle quando lavori sui db!
In fondo c’è tanta roba peggio di mysql e si paga pure.
P.S.:di pagine di sucks ne esistono per ogni linguaggio/rdbms/app-server/ecc
“E’ pura goduria! Essendo un’attività particolarmente creativa, può risultare anche divertente e portare gratificazione (spesso autogratificazione e autoesaltazione).”
Con tanto di autopugnettamento grazie a internet
“L’informatico è, in buona sostanza, diventato l’operaio sottopagato e sfruttato del nuovo millennio, causa eccessivo divario fra domanda e offerta.”
Non solo l’informatico ma un vasto catalogo di specialisti di vario genere finiscono così grazie ad un sistema scolastico incapace di preparare come si deve quanto eccessivamente generoso nel concedere pezzi di carta.
Per un datore di lavoro è gioco forza equiparare i due esperti anche se uno s’è fatto il mazzo in un prestigioso politecnico mentre l’altro ha raccattato il pezzo di scottex nell’università della bambagia.
Il problema in Italia e che il tecnico (tra cui ci sono anche i programmatori) è considerato meno di zero.
Per i nostri amati dirigenti se si risparmiano 200 euro nello stipendio di un programmatore allora sono 200 euro guadagnati.
Se si spendono 1000 euro in un corso di aggiornamento o su nuove tecnologie allora sono 1000 euro buttati.
Poi pero mi tocca lavorare su un applicativo scritto con i piedi da persone alle prime armi che hanno fatto del maledetto copia incolla la loro firma.
Su un pc vecchio di 5 anni che ci mette 8 minuti a partire e dove mi tocca utilizzare eclipse vecchio di tre release perchè l’ultima è troppo pesante.
Tutto questo mentre vedo passare il commerciale so tutto io con il suo nuovo portatile fiammante di cui utilizza ,se gli va bene , il 5% della cpu che si lamenta perche’ ci mettiamo troppe ore per fare le modifiche richieste.
Tu vaglielo a spiegare che i soldi risikati negli stipendi dei tecnici hanno causato danni non quantificabili in perdita di tempo.
Infatti alla fine si vede con questa mentalità quanto software esporta l’Italia all’estero.
Praticamente niente.
Non ho capito quella su mysql.
Per certe cose è una scheggia e va benissimo ma che versione usi ?
Assieme a quella del programmatore (che ho svolto per 8 anni) suggerisco un’altra professione, quella del responsabile assicurazione qualità del software (che sto svolgendo adesso). Da programmatore, ti capita di lavorare con codice scritto coi piedi. Da RAQ ti rendi conto del perché viene fuori codice scritto coi piedi, il che, volendo, è ancora peggio.
Ciao
Filippo
….Perchè NON TUTTI i programmatori sono NERD.
Per diventare programmatore ( mi chiamo cosi, diciamo novello ) ho studiato, mi sono laureato (e non te la regalano eh) e mi sono impegnato .
Preferirei uscire e girare per l’italia che stare 8 ore a programmare in ufficio, o uscire con la mia ragazza, o guardarmi una bella partita di calcio , o andare a Pescare ai laghetti in tranquillità, o dormire!!!!
Ti da delle soddisfazioni quando riesci a vedere che hai sviluppato un qualcosa di BELLO, FUNZIONANTE E UTILE e chi non ci capisce niente ti guarda con quell’aria MA COME HAI FATTO? E’ ARABO…
…ma arrivare a dire “Goduria”….sono altre le cose che ti fanno “felice” nella vita….. l’amore della tua ragazza, l’abbraccio della tua sorellina, la grigliata con gli amici, vedere Del Piero battere una punizione (…eheheh dovevo dirla) , gli sforzi dei tuoi genitori per darti quello che hai ecc ecc…
.
NON DI CERTO programmare, seppure bello, a me piace da morire il lavoro che faccio, ma se mi permettete, pagaaareeee
X ANDREA:
Io non sono in una azienda informatica..ma faccio parte del reparto sistmei informativi e sono l’unico programmatore .
appena arrivato qua mi han messo davanti ad access2000 davanti a moduli INGUARDABILI!!!
e io : “so programmare in c#, asp.net , posso farli molto meglio”
Oppure gente che inviava 2000 mail A MANOOOOOOOO …
Ora tutti che mi chiedono di fare quello e quell’altro perchè gli dimezza il lavoro e una cosa che facevano in una settimana la fanno in 10 minuti.
Il capo dei capi è arrivato a dire al nostro ufficio (Smettetela di mettere e fare cose nuove, finchè funzionano lasciate quelle vecchie) ALLUCINANTE!!!!!
Vogliamo parlare anche della famigerata e ambitissima posizione del “consulente infomatico”?!? Io mi sono laureato perchè un tecnico appassionato, programmavo e mi dilettavo alla grande con i miei amati sistemi operativi. Vista la mia preparazione le aziende mi hanno offerto blasonati posti di consulenza…ora passo la mia giornata utilizzando solo la famigerata suite office, la paga è la stessa del programmatore, la passione è svanita e la noia avanza, ma pure io devo mangiare. Anch’io odio questo lavoro!
x The3D –> nel mio primo stage, 8 mesi di stage senza scrivere del codice , solo guardarlo….guardarlo…e scrivere qualcosa in powershell (AIUTO).
Stavo per andare a fare tutt’altro (stampe digitali) come lavoro, talmente mi ero rotto i maroni e cercavo nuovi stimoli.
Ora invece sto benissimo, faccio quello che mi piace e soprattutto la gente mi chiede, ma chi crea SONO IO. …E’ il Creare , Inventare e trovare il modo di risolvere il problema LO STIMOLO!
Direi……. Tutta colpa nostra!
Se fossimo stati più diligenti a mascherare e a non divulgare ciò che oggi un ragazzino di 14 anni puo’ fare con macromedia, forse ci troveremmo come i medici. Proprio loro pronti a sparare parolone e scrivere ricette “professionali” che dicono: “prenditi l’aspirina che ti passa!”.
Comunque la mia non solo ironia o critica sarebbe ottimo evitare di divulgare l'”informazione” a tutti i livelli. Del resto e’ il nostro mestiere fare una bella interfaccia grafica per mascherare migliaia di linee di codice, come il SO. Quindi perche spiegare a tutti anche al nostro datore di lavoro come si fanno le cose a basso livello. Quindi lo scambio nei forum di soluzioni va bene ma non va bene a livello pubblico.
Che ne dite di fare un ordine degli Informatici per cominciare?
c
Se fai un ordine degli informatici tutti quelli che non sanno fare un c…. come fanno a guadagnare con l’IT ?!?
magari trenta anni fa era così, oggi escono dai dipartimenti di informatica RAGAZZE che non gliene puo’ fregare di meno della loro materia, l’ha studiata solo per farsi una posizione.
e sono bravissime nel loro lavoro..
ottimo articolo cesare, mi sono riconosciuto appieno nel tuo racconto:
programmo da più di 20 anni , gli ultimi 10 per lavoro e devo dire che la passione è sicuramente diminuita … ci sono stati momenti in cui sono arrivato ad ODIARE questo lavoro: avere a che fare con ragazzini saccenti appena usciti dall’università , oppure commerciali che promettono la luna al prezzo di una pipa di tabacco, o ancora con sistemisti che ti costringono a fare i salti mortali perchè nn vogliono aprire una fottuta porta … l’elenco potrebbe essere molto lungo , e sono sicuro che molti di noi sono incappati in queste situazioni.
e a me va cmq bene visto che ho la partita iva, e quindi il tempo per approfondire, aggiornarmi e sviluppare per passione riesco a ricavarmelo.
saluti,
giullo
@Cristofaro
Scusami ma mi sembra una posizione alquanto dubbia…se un lavoro sono capaci di farlo tutti (ed in fondo io penso sia effettivamente così…) è giusto che non venga strapagato : contare sull’oscurantismo vorrebbe dire cercare di diventare una casta come i notai o i farmacisti…E, scusami, ma io un ordine cel’ho già: quello degli Ingegneri Informatici.
Per il resto: io penso che un programmatore debba essere ben pagato se è in grado di risolvere i problemi in maniera dinamica ed efficiente. Se si finisce in una realtà non produttiva o non dinamica, bisogna andarsene.
Da ingegnere informatico mai avuto un giorno di ferie forzato, di disoccupazione: il primo contratto è stato a progetto, gli altri a tempo indeterminato. Molti miei amici hanno iniziato direttamente a tempo indeterminato perché hanno voluto aspettare qualche settimana in più per cercare il lavoro giusto.
quando “facevo il mestiere” negli anni ’80, l’immaginario di amici e parenti era che “facevo i giochini col computer”… l’immaginario nella società italiana credo non sia cambiato molto…adesso credo si sia “quelli che stanno attaccati ad internet” confondendo ovviamente il ruolo e squalificando ciò che si è e ciò che si fa.
la mancanza di “cultura informatica” , aimè, passa anche dal sentire sociale…ed in italia, ovviamente, manca.
poi ho cambiato mestiere…. (lavoro in ospedale)
@deck80
Quanti dei progetti su cui hai lavorato hanno richiesto la firma obbligatoria di ingegnere iscritto all’albo?! E pensare che per l’edilizia tale firma è obbligatoria…
Percè un farmacista, professionista laureato, deve andare in giro con la macchina da 80000 euro e io ing., professionista laureato, faccio fatica a mettere via i soldi dell’affitto?
Per quanto riguarda il tempo indeterminato vogliamo parlare dei miglioni di esuberi nell’IT che sono avvenuti nel corso di tutto l’anno e di cui nessuno a parlato? Ma noi non siamo mica gli operai della Fiat…
Quoto simo. C’è ovviamente un’errore di fondo in tutto questo, è come se facessi fare una casa ad un manovale al secondo giorno di esperienza, non mi pare una cosa tanto sensata non trovi?
Per il resto, io cmq non sono del tutto d’accordo con l’argomento proposto: secondo me qualsiasi lavoro routinario porta inevitabilmente alla noia, credo che anche i pornoattori alla fine si rompano le @@ (in senso metaforico ovviamente :D). Quando si lavora pagare è sempre giusto.
@deck80
Io non sono per niente daccordo, non lo possono fare tutti. Ed e’ questo il problema, si pensa che tutti possono essere in grado di programmare o gestire progetti, perche’ nell’immaginario di questa societa’ chi ha a che fare con i computer e’ fondamentalmente uno smanettone. Invece ci sono fior fiore di professionisti, chi con il pezzo di carta di una laurea in ingegneria o fisica/matematica o scienza dell’informazione. Non si puo’ credere che basti leggere un paio di manuali e si e’ pronti. C’e’ una forma mentis che non tutti hanno, per cui non tutti possono farlo. Il problema vero e’ che noi siamo equiparati a degli operai, e la cosa si rispecchia pienamente nei contratti che abbiamo. La bolla della new economy dell’80-90 fino al 2000, e l’universita’ a porte girevoli a rovinato una figura professionale, che se brava ma molto remunerata. Tutti purtroppo si sono buttati sull’informatica che c’era molta richiesta. Ora tutti i posti sono occupati, per quelli bravi non c’e’ spazio e la paga non elevata, data l’offerta di programmatori a disposizione. E’ diventato un mercato quasi di schiavi, sottopagati, mentre dovrebbe essere il contrario visto che gli stessi programmatori scrivono codice per sistemi critici quali la gestione del traffico aereo, sistemi di prenotazione e cosi’ via. Non e’ possibile che persone che partecipano a progetti di questo tipo e che hanno studiato o che comunque si sono fatti il mazzo vengono sfruttati.
Scusate lo sfogo ma quest’articolo ha risvegliato in me idee da tempo assopite.
A mio avviso il problema del software è che se anche è scritto con i piedi, l’importante è che funzioni.
Io sono il primo a cercare di scrivere software che tenga conto di criteri di design, ma se un programma funziona non frega niente a nessuno di come è scritto.
Ho lavorato come programmatore su pagine web….ma poi ho deciso di tornare alla mia vecchia mansione di sistemista Linux/Windows….vi assicuro che nonostante anche come sistemista mi scervello parecchio….è sempre meglio di fare il programmatore.
Quoto Michele Fabbri.
Questo che lui illustra è uno dei problemi più sentiti dal punto di vista della qualità di un prodotto software (qualità in un senso più tecnico del termine, non quella soggettivamente percepita dall’utente finale, per il quale è del tutto irrilevante come il codice sia strutturato).
Ci sono una serie di elementi, non direttamente legati alla funzionalità di un software, ma che ne determinano i costi di sviluppo e di manutenzione. Non è da tutti saper redigere, condividere ed applicare dei requisiti di design che contribuiscano alla manutenibilità e alla testabilità del codice (coding style, documentazione del codice soprattutto). La sensibilità verso questo approccio non è di tutti, ci vogliono una certa cultura, esperienza e forma mentis. Sono tutti skill che dovrebbero ricevere l’adeguata retribuzione, ma ad oggi non è così, in molte aziende vale la regola che “Toh! Si compila! Dai dai rilascialo!” e quindi le capacità di produrre codice non solo funzionante, ma anche leggibile e manutenibile non sono per nulla incentivate, essendo addirittura a volte viste come perdita di tempo.
Ciao
Filippo
Esattamente come dice Filippo1974, nella mia azienda più volte è stata espressa la volontà di non assumere laureati in scienze dell’informazione perchè perderebbero tempo a scrivere codice perfetto. sigh :(
Fondamentalmente c’e’ una cosa da capire. Le realtà medio/piccole informatiche italiane (che poi sono quelle che fanno i lavori per quelle gigantesche) sono gestite da persone che non hanno nella maggior parte dei casi idea di cosa sia “l’informatica”. Ragionano, giustamente, in termini di quantità di fatturato. I programmatori sono solo il mezzo per raggiungere lo scopo, non conta la skill, conta l’allocazione di risorse per il fatturato. Mettiamoci poi che la maggior parte dei “clienti” sono talmente ignoranti (nel senso proprio del termine) che non si rendono conto di cosa gli venga prodotto. COn il risultato che software che si regge coi lacci di cacca viene strapagato e spesso nemmeno entra in produzione!
La soluzione a questo dilemma è semplice: mettetevi in proprio. Sviluppate soluzioni preconfezionate e vendetele online. Se siete bravi avrete molta più soddisfazione e anche guadagni più consistenti.
Ricordate che viviamo in italia, uno dei paesi più sottosviluppati del globo. Essere assunto da qualsiasi azienda è equivale a uccidere la propria creatività. Non fatevi incatenare a una polverosa scrivania. :)
Io mi sto cercando un part time. voglio tornare a lavorare su cose che mi piacciono, a provare a costruire qualcosa da 0, a creare applicazioni che possano essere diffuse sul web e che mi permettano di lavorare come dico io. Il part time lo userei per sostentamento, almeno i primi tempi. Voglio fare un tentativo, se poi non sarò in grado di realizzare le mie idee o non avranno il risultato sperato, tornerò al triste mondo della consulenza. Secondo voi faccio male?
Non posso che concordare. Oggi scrivere codice “da manuale” viene visto come una perdita di tempo, o addirittura un ostacolo.
Ovviamente considerazioni del genere arrivano da gente a cui “basta che funzioni”, ed è tutto a posto. Gente che non ha la minima idea di cosa significhi design di un’applicazione e le relative implicazioni.
D’altra parte, e come sempre ripeto, è troppo facile passare dalla zappa alla tastiera. Basta scrivere una macro di Excel, una form di Access, o fare il classico progettino di sistemi in C o in Java (capita in qualche corso universitario), e si acquisisce automaticamente la qualifica di “programmatori”.
Inutile dire che a guardare poi il codice prodotto viene la nausa dallo schifo a cui si assiste. E le crisi al solo pensiero che dobbiamo metterci mano per aggiungere qualche funzionalità.
Già, perché i modelli di sviluppo sono due: “butto giù il codice basta che poi funzioni” o, per bene che ti possa andare, il classico waterfall.
E i bug s’impennano…
incredibilmente manu ha già risposto mentre stavo postando :D
@ Pantera
Capisco il tuo messaggio, ma bisogna che le aziende informatiche capiscano che esistono anche per loro i cosiddetti “costi della non qualità”, non è roba solo del manifatturiero.
Quando sviluppi un software, non lo testi appropriatamente perché tanto è una perdita di tempo e farai in modo che sia il cliente a fare suo malgrado da tester, poi il cliente trova le falle, si fa la sua lista della spesa, te la consegna e tu ci metti dieci volte tanto a trovare il fix per quelle falle perché il codice è illeggibile / male strutturato ecc.ecc… Tutto ciò non va forse ad impattare sul fatturato? (il tempo-uomo necessario a trovare il fix non è forse un costo? E se poi il fix non è efficace e/o genera nuovi bug, non si introducono nuovi costi?)
Voler ragionare solo in ottica fatturato non esclude automaticamente la necessità di avere in casa determinate competenze, anzi, la rende ancora più forte (bugfix più rapidi -> meno costi, maggior soddisfazione del cliente -> reputazione migliore -> passaparola -> più clienti -> più fatturato).
Ciao
Filippo
@Valentino & Andrea: il link a MySQL che ho inserito non è casuale. Rispecchia (nella seconda parte) l’ultimo problema che abbiamo avuto. L’ultimo di una lunga serie.
Onestamente non so se ci sia di peggio, ma dopo anni di esperienza posso tranquillamente affermare che MySQL non è un RDBMS, ma un patchwork che fa acqua da tutte le parti, con bug incredibili anche a dirsi, e con funzionalità come Stored Procedure e Trigger inseriti soltanto di recente con la versione 5.0 (e chi lavora professionalmente sa cosa significhi NON avere a disposizione strumenti come questi).
Di Oracle mi fa schifo la sintassi del PL/SQL (già all’università non mi piaceva, ma qui è semplicemente una questione di gusti), ma almeno è un signor RDBMS. Certo, è a pagamento, ma preferirei pagare piuttosto che avere a che fare con le idiosincrasie di MySQL…
P.S. Le versioni che usiamo sono principalmente la 4.1, e per i progetti più recenti la 5.1.
viviamo nel mondo in cui tutto ciò che ha a che vedere coi computer, in qualsiasi film, situazione, articolo, è descritto come fantasioso e mirabolante, capace di tutto, e con estrema semplicità per giunta. E chi si fa nella realtà il culo per ottenere molto meno delle boiate televisive non è certo un GENIO DI COMPUTER, ma uno dotato di buona volontà, a cui interessa STUDIARE, STUDIARE, STUDIARE, e APPLICARSI, APPLICARSI, APPLICARSI. Nè più nè meno della differenza che c’è tra un carpentiere che lega i tondini col fil di ferro e il fabbro che produce cancelli monumentali.
Non c’è niente da fare, ancora forse il 95% della gente non ha neanche idea di cosa sia la programmazione, ed i registi di questi film e spettacoli li pagano anche…..la gente impara da quelli.
meglio morto che frocio o programmatore a queste condizioni di vita…
Sono d’accordo con chi ha detto che la professione del programmatore dovrebbe essere più retribuita e più considerata e che dovrebbero essere impiegati seri professionisti e non ragazzini smanettoni.
Non sono d’accordo con chi invece investe la laurea di un ruolo quasi sacro. Da laureato mi devo inchinare davanti a certi diplomati e non parlo di saper utilizzare qualche particolare strumento ma parlo proprio di forma mentis.
Conosco ingegneri informatici che hanno gravi problemi a scrivere una funzione ricorsiva o a utilizzare un ciclo for.
Non parliamo poi dei docenti universitari…..Gente che non ha mai scritto una riga di codice in vita sua, laureati in matematica che dopo aver letto un libro sul c 20 anni fa si mettono a pontificare e sfornando legioni di asini.
@ javaboy
Non credo che qui nessuno volesse, perlomeno intenzionalmente, associare la capacità e l’esperienza necessariamente ad una laurea. Il filo conduttore del discorso è la differenza tra chi sa (o sostiene di sapere) scrivere codice, e chi sa (e non può sostenerlo, lo vedi) scrivere del BUON codice. L’università questo non te lo insegna (almeno a me nessuno ha mai parlato di pratiche di stesura del codice o di documentazione del medesimo, né tantomeno princìpi di unit/component testing: il test è un progetto al pari del software da testare, ma questo in pochi lo sanno/fanno).
Il sugo del discorso è che un BUON programmatore è il risultato di un prezioso mix di attitudine allo studio, all’apprendimento continuo, sensibilità personale ed esperienza. Non necessariamente questo mix viene da una laurea, il problema è che le aziende non sanno di averne un grande bisogno e, paradossalmente, come abbiamo visto anche da altri interventi, a volte disincentivano o addirittura rifiutano questo tipo di approccio.
Ciao
Filippo
L’università dovrebbe iniziare ad essere un luogo in cui si va per imparare, non un diplomificio in cui dopo qualche anno passato a scaldare i banchi di una aula si ottiene un pezzo di carta da spendere sul mondo del lavoro.
Io proporrei di bandire dal mercato Linux (torvalds non si era ancora laurato quando lo ha progettato) e tutti i giochi della id (carmack non si è mai laurato).
Allo stesso modo vieterei il linguaggio c ( dennis ritchie non è laurato) e unix.
Proporrei di sostituire questi prodotti con software progettato da alti professionisti come certi ingegneri informatici di mia conoscenza. Loro si che hanno la forma mentis….
@Filippo1974
Concordo con quanto hai detto. Il punto è che spesso vedo diplomati (capacissimi a 360 gradi) che spesso temendo di essere mal considerati in quanto non laureati tendono a documentarsi e a studiare per conto loro, ad approfondire etc. mentre vedo laureati che non conoscono i più elementari design patterns (o qualsiasi altra cosa più o meno essenziale) e si sentono autorizzati a perseverare nella loro ignoranza solo perchè hanno il titolo.
Un software è frutto di un lavoro?
Sì.
Il lavoro richiesto da un committente va pagato?
Sì.
Fine del discorso.
Un servizio richiesto da un professionista lo si paga e profumatamente in qualsiasi ambito (avvocati, ingegneri, notai ecc.), non capisco per quale motivo spesso ci si debba autoflagellare per riuscire a vendere un’applicazione web enterprise con gestione del magazzino, fatturazione ecc. a somme RIDICOLE.
Dei miei amici di recente hanno fatto un lavoro del genere (d’accordo appoggiandosi a Joomla ma le ore di lavoro spese sono quelle e sono tante) e bene che vada porteranno a casa (fatturati) 500 Euro a testa.
Oh un idraulico per una diavolo di guarnizione chiede 50 Euro eh.
E a nero spesso.
I problemi sono 3:
– la dequalificazione professionale della categoria
– l’avvento degli sviluppatori improvvisati e l’incapacità di comunicare con il cliente che “fare un sito” non significa mettere su due pagine e che con 100 Euro te la cavi perché il ragazzino sa fare altrettanto; un lavoro professionale è un lavoro professionale con determinati requisiti. Punto
– la non coesione della categoria: se tutti si impuntassero formando un fronte comune con delle linee guida senza per forza svendersi di fronte al tarlo della competitività allora i clienti si adeguerebbero (perché poi diciamocelo i webservices per dirne una sono il presente ed il futuro)
D’altra parte gli Informatici non hanno manco un loro albo, han dovuto chiedere la marchetta ad Ingegneria perché sennò non l’avremmo mai avuto.
L’assirdo rispecchia pienamente la situazione in generale ed è avvilente, lasciatemelo dire.
Perché con tutto il rispetto per i lavori di fatica (senza i quali non andremmo da nessuna parte), il mazzo di uno sviluppatore/sistemista/analista quel che l’è con anni di studio per prendersi un pezzo di carta (igienica?), specializzazioni, corsi di formazione (perché poi mai come in altri settori tenersi al passo è fondamentale) ecc. non è neanche lontanamente paragonabile.
Eppure, di grazia, si portano a casa 1000 Euro.
Certo è che se di fronte al cliente e al datore di lavoro si china sempre la testa le cose andranno avanti in questo modo.
Il punto è che la svolta deve essere sistemica altrimenti non serve a nulla.
Servirebbe una presa di coscienza della categoria di lavoratori in toto.
Questa almeno è la mia opinione
[…] Il lavoro del programmatore, tra passione e stress: conviene sviluppare software? Oggi, sul blog “Appunti Digitali”, è stato pubblicato un articolo particolarmente interessante (e che mi riguarda da vicino… vedi sotto!), che riflette sui pro e contro della figura dello sviluppatore di software: “E’ giusto pagare un programmatore?“. […]
@Jacopo
A me gli albi hanno sempre fatto inorridire. Che facciamo creiamo una nuova casta? Così fra qualche anno per creare un sito web dovrò avere parenti nel ramo? L’università è già abbastanza squallida, vedi persone senza un minimo di interesse che pensano solo ad ottenere il foglio di carta.
Le caste non servono, la cura rischierebbe di essere peggiore del male. Quel che è necessario è far capire la differenza fra un prodotto di qualità e una schifezza improvvisata. Che poi il prodotto di qualità sia creato da un PHD iscritto a dieci albi o da un semplice diplomato non mi interessa.
Io sto pensando di cambiare mestiere. Qualcuno di voi lo ha fatto?
Per quelli che parlavano di studiare/documentarsi: sarebbe bello, ma come fai? Oggi sono tornato alle 8.45, ho avuto a malapena il tempo di fare una doccia e di cucinarmi, ho guardato mezz’ora la tv…e sono le 11.20. Domattina sveglia alle 7.45, cosa dovrei fare? Studiare durante la notte? Studiare cosa poi? Design patterns, principi di design, metodologie agili, cos’altro? Sai cosa ci faccio con quella roba, quando domattina tornerò a debuggare il succitato onload da 1000 righe di codice? Meglio investire in un’ora di sonno in +. E’ per questo che ho detto che sono peggiorato: mi rendo conto che per risolvere un problema che un tempo risolvevo in 10 minuti, ora mi richiede 2 ore. Sono sempre + convinto: mi trovo un part time e mi metto a studiare e sviluppare applicazioni per conto mio. Poi se non riesco pazienza, vorrà dire che il bieco mondo della consulenza è ciò che mi spetta e quello che immaginavo di fare solo pochi anni fa era pura utopia.
Piccolo e celere parere: non esiste lavoro che non debba essere pagato e tutelato dalla giurisdizione.
Aggiunta: l’entità del quanto deve essere pagato, dipende per l’appunto dal punto in cui si raggiunge l’equilibrio tra domanda ed offerta, oppure aspetto non secondario, quanto e cosa porta nelle casse sociali un dipendente.
In ogni caso il lavoro deve sempre essere pagato. Mio semplice e modestissimo avviso
Ciau
Ottimo articolo, in cui mi rispecchio, compresa la visione delle cose negli anni ’80.
Credo che una con-causa non trascurabile di tutta questa situazione sia l’atteggiamento del cliente. Quest’ultimo andrebbe educato per la sua parte: purtroppo, come già qualcuno aveva fatto notare, alcuni clienti, al pari di alcune aziende, non conoscono il mondo dell’informatica, pur pretendendo di portarsela in casa con il sogno di una magica semplificazione immediata dei loro problemi.
Un computer è l’essere più stupido di questa Terra, ha solo il vantaggio di essere uno stupido molto, molto veloce. Quando qualcuno va in concessionario a vedere un’auto per comprarla, non è che va lì, la guarda, si fa imbambolare dal commerciale e la porta a casa: quando vado in concessionaria vedo sempre che i potenziali clienti, a prescindere dall’appartenenza culturale e dall’età, fanno un po’ tutti la stessa trafila: provano ad entrare nell’auto, sentono che rumore fa la portiera quando si chiude, guardano il bagagliaio, e se possibile fanno un test drive. Insomma, applicano delle pratiche per la valutazione preventiva del prodotto. In informatica, purtroppo, questa è ancora l’eccezione: il cliente si fa spesso e volentieri abbindolare dalla GUI splendente ed animata e ad essa associa il concetto di qualità del prodotto (dove lavoro io, una delle massime priorità nello sviluppo dei prodotti è, appunto, la GUI bella: questo ha tra l’altro la conseguenza di rendere il prodotto impossibile da testare con piattaforme di automazione test, ma questa è un’altra storia). Insomma, quello che voglio dire è che ignoranza chiama ignoranza: finché l’anello finale dell’ecosistema non sentirà davvero l’esigenza di fare una selezione seria e critica dei prodotti che gli vengono offerti, sarà difficile che le aziende, se non quelle rette da una dirigenza “illuminata”, intraprendano spontaneamente un percorso di ricerca e qualificazione delle competenze più elevate.
Ciao
Filippo
Da Laureato ho avuto a che fare con Diplomati a cui io come unica cosa avrei potuto allacciargli le scarpe o portargli il caffè.
Gente veramente preparata e Brava….il problema che in un colloquio dire “Laureato” ha il suo effetto…..
@ Luca
Molti diplomati, rispetto a molti laureati, hanno il vantaggio di avere il senso pratico, che un laureato tende talvolta a perdere, annegato nei meandri delle elucubrazioni accademiche :) In altre parole, un diplomato tende a trovare più agevolmente una soluzione semplice ai problemi, mentre il laureato a volte si complica inutilmente la vita in cerca della soluzione “elegante”.
Detto questo c’è comunque da dire che forse in sede di colloquio la parola “laureato” può avere un qualche effetto, ma non è così per altri titoli di studio, che all’estero invece a loro volta avrebbero il loro peso. Io ho un master, ma con tutti i colloqui che ho fatto fin qui, sono arrivato a sentirmi dire “ah sì? Ha un master? Ah già, non avevo nemmeno letto”. Ho proseguito il colloquio per decenza, ma la tentazione era quella di alzarmi e andarmene all’istante.
La morale è che credo che anche sul fronte della valutazione del titolo di studio più appropriato per determinate mansioni ci sia un po’ di confusione, il che sicuramente non aiuta.
Ciao
Filippo
@ javaboy
Credimi, ho cambiato mestiere più e più volte (sviluppatore, team manager, e ora quality assurance manager). Però sono sempre rimasto nell’ambito del software e dell’informatica, avendo quindi occasione di cogliere un’ignoranza e un pressapochismo di fondo che sono generalizzati e non specifici di un’Azienda. A (parziale) discolpa delle Aziende, c’è da dire che la disciplina dell’informatica è ancora relativamente giovane, e credo che si stia attraversando un periodo di transizione nel quale si sta un po’ alla volta spegnendo l'”eldorado” del computer come mezzo per la risoluzione di tutti i problemi (il computer non risolve un problema, lo sposta) ma ancora non si è giunti alla completa consapevolezza che la professionalità necessaria per ottenere da una macchina elettronica il risultato voluto in tutti i suoi aspetti (non solo funzionalità, ma anche correttezza, ergonomia, manutenibilità ecc.ecc.) non è certo inferiore ad altre ben più blasonate (medici, legali ecc.)
Ciao
Filippo
in italia sono tutti sottopagati…
..parlo da ingegnere informatico:
in pratica società detenute da persone ignoranti ma amminigliate prendono gli appalti, li danno in sub-appalto ad altre società detenute da professionisti anziani che ormai materialmente non fanno il lavoro e sono dediti alla mera burocrazia aziendale che demandano l’intero lavoro ai programmatori descritti che vengono spesso chiamati i “problem-solving” (ho visto questo termini in alcuni annunci di lavoro, è richiesta una capacità di problem-solving!) e questi poveretti vengono trattati al minimo sindacale…
è sempre la solita storia…
Il problema è che i programmatori crescono con i film di fantascienza ed immaginano un mondo fatto di robot, navi spaziali, intelligenza artificiale, realtà virtuale per poi scontrarsi con la dura realtà italiana dove il massimo della scienza applicata sono i database e le applicazioni web.
@Filippo1974
Il tuo discorso sulla qualità non fa una piega, e sono totalmente d’accordo in linea di principio. Il problema è che 90% dei “clienti” non hanno minimamente gli strumenti, sia intellettuali, sia infrastrutturali ma soprattutto molto spesso sono legati da una logica di clientelismo verso il fornitore. Il risultato è che ricevono prodotti/servizi scadenti a costi esorbitanti. Mettiamoci anche l’altro lado della medaglia: i fornitori. Spesso pur di mantenere una commessa anche da quattro spicci sono disposti a fare di tutto e a vendere di tutto (e i commerciali di queste azienducole sono per la maggiore i responsabili di questa filosofia), con il risultato che i tecnici, gli sviluppatori e anche i pm si ritrovano a dover fare salti mortali per produrre in tempo senza sforare di troppo con i costi. Risultato: codice cacca, servizi cacca, sfavamento dei team, depressione e perdita di interesse nel proprio lavoro. E’ normal che poi quando stacchi e ti metti sulla tua tastiera a casa hai il vomito e perdi interesse! Come vedi lo schermo ti viene da pensare alla merda che devi sopportare durante la giornata lavorativa!
Credo che quando si arrivi a questo punto (fortunatamente non è ancora il mio caso, ma osservo i miei colleghi e amici che sono in questo circolo vizioso affondare lentamente) l’unica, se ci sono le possibilità, e’ cambiare impiego. Altrimenti la vedo dura uscirne.
@ Pantera
Infatti: l’atteggiamento del cliente è complice di questa situazione. Sono d’accordo e anzi avevo proprio accennato questa questione qualche post fa (# 62).
D’altra parte come uscirne? Qualcuno dovrà fare il primo passo… è solo questione di tempo, o serve dell’altro?
Ciao
Filippo
Ricerca auto-organizzata!
Nei mesi che si aspetta di trovare il lavoro ideale (mi mancano 3 esami alla laurea magistrale e credo ancora nella possibilità del lavoro appagante!) ci si alto-organizza con i colleghi ancora “a spasso” per approfondire i problemi interessanti/stimolanti!
Meglio che stare a casa a non far nulla, si coopera! E magari nel giro di un paio di mesi si accumulano conoscenze che possono servire a trovare un buon lavoro, o nella più rosea quanto improbabile ipotesi ci si inventa un lavoro sulle conoscenze sviluppate……
(continuo a sognare..)
In tutto questo c’è da considerare anche il ruolo della pirateria che impedisce di guadagnare vendendo software visto che solo uno su mille lo paga. A volte non si riesce nemmeno a rientrare dall’investimento.
Il mercato del software commerciale è ormai appannaggio di grosse aziende affermate (come Microsoft, Adobe, Oracle) che producono software che sono degli standard de facto (Windows, Photoshop, Oracle) e che tramite contratti business con le grosse aziende e la vendita ai fornitori OEM riescono a guadagnare nonostante nessuno tra i clienti consumer paghi.
Per gli altri è possibile guadagnare solo vendendo software su commissione ai propri clienti oppure in rari casi vendendo direttamente il servizio.
Ma se fosse possibile eliminare la pirateria si aprirebbero molte strade per i programmatori, sarebbe veramente possbile creare le proprie applicazioni, venderle online sul proprio sito ed essere sicuri di venire pagati per ogni utente che usa il software, mentre adesso uno solo la compra poi mette il seriale sul P2P e addio ai guadagni.
Se la gente pagasse per davero tutti i software che usa e non come adesso dove hanno i PC pieni di programmi mai pagati allora inizierebbero a valutare meglio la qualità dei software che comprano, a fare analisi, confronti e selezioni, si formerebbe la cultura della qualità del software e allora la professione del programmatore verrebbe riqualificata e i migliori emergerebbero mentre gli incompetenti che affollatono il settore dell’IT resterebebro tagliati fuori.
Se la IBM avesse inserito fin dal principio nello standard del Personal Computer strumenti di trusted computing e si fosse diffuso ugualmente oggi la situazione sarebbe molto miglior per i programmatori.
@ cruzer:
perdonami, ma non sono sicuro di aver capito la connessione tra pirateria e scarsa considerazione della professione di informatico.
Credo che siano in effetti due aspetti distinti del vasto mare di problematiche che affliggono il mondo dell’informatica.
Da un lato c’è il problema di cui si sta discutendo qui, ovvero quello della tendenza generalizzata ad utilizzare gli informatici come manovalanza, trascurando il valore aggiunto che l’esperienza e le capacità di molti di questi potrebbero dare all’organizzazione.
Altro discorso (delicato per le aziende, ancora di più per chi decide di lavorare in proprio) è quello della difficoltà di proteggere il commercio di un prodotto intangibile qual’è un software (stesso problema di tutti i prodotti non fisici, in primis quelli multimediali – musica, film ecc.)
Forse, se un legame c’è, potrebbe essere che dato che è diffusa la tendenza a procurarsi questi prodotti per vie illegali, le aziende spingono sul contenimento dei costi per cercare di abbassare la soglia di accessibilità al software per vie legali, ma questa politica va ad impattare sugli investimenti per la ricerca, la formazione e la qualità: quindi assunzione di persone con meno skill ed esperienza, stipendi più bassi, trascuratezza degli aspetti più qualificanti (ricerca, formazione e qualità, appunto).
Era questo che intendevi?
Ciao
Filippo
@ filippo
No, anche se quello che dici è vero, intendevo un’altra cosa.
Adesso se avessi un’idea per un software non investirei mai decine di migliaia di euro e anni di lavoro necessari per crearlo a meno di avere come cliente qualche grosso azienda o dei fornitori OEM che sono sicuro che paghino, perche altrimenti se dovessi venderlo online direttamente alla gente oppure mettendo i CD nei negozi sono sicuro che non rientrerei mai dall’investimento in quanto solo una piccolissima parte dei potenziali clienti avrebbe l’onestà di comprarlo, la maggior parte lo scaricherebbe dal P2P con tanto di seriale e crack fatta da qualche bastardo.
Eppure di possibilita di business cosi ce ne sarebebro tante, ma non si possono sfruttare per colpa della pirateria. Si tratta di un mercato in cui non si puo investire perche non è abbastanza protetto, e che toglie possibilita ai programmatori.
Non posso guadagnarmi da vivere creando progrmmi per conto mio e vendendoli online, che potendolo fare sarebbe una bellissima cosa, e devo ripiegare ripiegare su settori piu protetti in cui i è sicuri che si viene pagati, come quello del software su misura per aziende e professionisti, che pero è molto piu piccolo e di nicchia.
x javaboy
saranno anche delle caste ma almeno consentono di porre un confine netto tra chi è professionista e chi non lo è e quindi taglierebbero fuori i vari scriptkid e wannabedev che sono tra le varie cause della rovina della categoria.
Ovviamente un laureato non è sinonimo di garanzia di un lavoro ben fatto (questo in nessun ambito) ed il portfolio e la conoscenza della persona sono fattori fondamentali ma almeno di primo acchitto farebbero selezione.
E’ facile dire “bisogna educare il cliente”, ma il problema è che come è stato scritto in precedenza un customer non ha (e non avrà mai) le competenze necessarie e la sensibilità per discernere sul cosa occorra ed il come debba essere realizzato.
Nell’analisi dei requisiti da gli input necessari affinché venga svolta la progettazione ma la cosa si ferma lì (o almeno dovrebbe, mentre poi il cliente vuole sempre mettere il becco in questioni tecniche che non lo riguardano).
Per cui nel mentre in cui si cerca (invano) di educare il cliente, gli sviluppatori continuano e continueranno a venir pagati mediamente meno/come un (dignitosissimo) operaio.
Se a voi sta bene così…
x Jacopo Cocchi:
Io ho parlato di “educare il cliente” perché, facile, difficile o impossibile che sia, è una delle due leve che portano le aziende ad elevare la propria attenzione per i fattori qualificanti dei propri dipendenti. L’altra leva sono gli obblighi normativi.
Nel settore metalmeccanico dell’automotive ci sono dei precisi obblighi in termini di certificazioni di qualità: se non le consegui non puoi lavorare nel settore. In informatica questo non c’è (o non c’è ancora), anzi, a tutt’oggi accettiamo forme contrattuali che recitano “The software is provided AS IS”. Tu compreresti un’automobile che, al momento del ritiro, ti viene fornita “AS IS” (se ha ammaccature, difetti, se non parte o se perde i pezzi per strada… affari tuoi)? Non credo. Allora, fintantoché (se) anche nel software verrà creato un contesto normativo un minimo più stringente, l’unica altra entità che può spingere le aziende verso una visione più professionale del ruolo dell’informatico può essere solo il cliente, IMHO.
Quindi mi riallaccio al mio post # 69: può avvenire questo? E’ solo questione di tempo? O ci vuole altro?
“saranno anche delle caste ma almeno consentono di porre un confine netto tra chi è professionista e chi non lo è e quindi taglierebbero fuori i vari scriptkid e wannabedev che sono tra le varie cause della rovina della categoria.
Ovviamente un laureato non è sinonimo di garanzia di un lavoro ben fatto (questo in nessun ambito) ed il portfolio e la conoscenza della persona sono fattori fondamentali ma almeno di primo acchitto farebbero selezione.”
Ma secondo me il problema non è tanto la laurea, il problema è la mancata selezione. Io sono dell’idea che anche alla prima esperienza si può fare un minimo di selezione, non è che se uno è laureato allora lo butti dentro perchè tanto qualcosa la tira su lo stesso…anche perchè mi pare che loro le competenze le richiedano quando rispondi ad un annuncio, e allora a cosa serve richiedere competenze se poi quelli che hanno fatto il colloquio insieme a me alle domande “cos’è l’ereditarietà/polimorfismo?” risposta: “non lo so”, “cosa indica in java la parola chiave implements?” risposta: non lo so, esito finale: “ok assunto”. Cosa lo assumi a fare uno che non sa nemmeno di cosa si sta parlando?
x Filippo
gli obblighi normativi ci sono già.
Quando vendi un software o un servizio stipuli un contratto tra le due parti contraenti per cui non c’è nulla da inventare di nuovo (poi soprattutto per un certo tipo di budget ci sono tutta una serie di clausole ad hoc che spesso vengono inserite per tutelarsi ulteriormente).
Per quanto riguarda la certificazione idem.
C’è già, ad esempio Microsoft internamente usa dei sistemi per garantire la qualità del software (alias quality assurance) quantificata in diversi modi come possono essere gli error/per line.
Finché non si sta sotto certa soglia il software non viene rilasciato.
Lo stesso avviene nello sviluppo di sistemi mission critical.
Stiamo parlando di progetti ad alto livello/budget/rendimento.
Tu mi puoi dire “ok ma manca un riferimento generale/sistemico” e siamo d’accordo ed io ti rispondo “e come fai a metterlo in piedi?”
x The3D
vabbè stai parlando di una situazione ipotetica.
Se il lavoro è per un posto di non so software engineer o di sviluppatore che dovrà usare come metodologia l’OOP dubito fortemente venga assunto a meno che l’azienda non si faccia carico della sua formazione, cosa che può benissimo essere, visto che un laureato non è che sappia granché ma è dotato di determinati strumenti (analisi, apertura mentale bla bla bla) che lo faciliteranno nella risoluzione dei problemi che gli si presenteranno nel lavoro.
Di selezione se ne fa anche troppa visto e considerato che il datore di lavoro chiede rigorosamente esperienza (e chi esce dall’Università se qualcuno non lo prende da 0 l’esperienza con chi la fa? Con Gesù Bambino?) mentre le Università ridotte spesso ad esamifici, per alcuni corsi, poi nemmeno così fondamentali, fanno passare il 10% degli iscritti.
Posso pensare che l’altro 90% sia sempre composto da imbecilli o gente che non studia?
Andiamo su…
Il problema è sempre lo stesso, il fatto che mondo del lavoro ed istituzioni accademiche siano quasi sempre due corpi estranei l’uno rispetto all’altro.
Nel mondo anglosassone l’impresa ed il privato investono ed aiutano nel processo formativo lo studente; qui, tolti qualche esempi sparsi, è visto quasi come un sacrilegio (eredità di stampo classico che ci porteremo dietro chissà per quanto) ed il pragmatismo viene sacrificato in nome del formalismo.
Hanno fatto la riforma 3+2 perché volevano mutuare il funzionamento dei sistemi scolastici usati nel resto d’Europa (lamentandosi del fatto che i giovani escono dalle Università + tardi rispetto ai nostri colleghi) e poi invece di creare delle vere specializzazioni, in molti corsi cosa è stato fatto…quel che non c’era nel corso triennale è stato buttato nella specialistica. Geniale.
Per Giurisprudenza i 4 anni non andavano bene.
Facciamo un 3+2 così poi formiamo un gruppo di laureati triennali da buttare da qualche parte (magari con un albo ad hoc…l’avete visto voi?) e gli facciamo fare un anno di praticantato in meno perché tanto il primo lo svolgerà nell’ultimo anno di corso.
Il risultato è stato un anno complessivo di studio in +, laureati al triennio inesistenti perché fondamentalmente non c’è lavoro per loro (neanche nelle PA) ed almeno 12 esami in più da fare rispetto al corso quadriennale di prima.
Ora ditemi voi se è sensato.
Anche un gruppo di scimmie avrebbe saputo organizzarsi meglio.
Non sto parlando di una situazione ipotetica, sto parlando di quello che è successo durante il pomeriggio di colloqui a cui ho assistito. C’è stato uno che come prima parola ha detto “io non so programmare” – ok, assunto lo stesso. In teoria è come dici tu, in quanto siamo stati assunti con un apprendistato professionalizzante. In pratica è del tutto diverso, siamo stati buttati tutti su progetti in scadenza in cui sono da fare 12 ore al giorno o di maintenance in cui nn impari una cippa. Io me la sono sbrigata bene (anche se come ho detto prima odio quello che sto facendo) gran parte degli altri oltre a non aver imparato una cippa dopo un anno e passa sono ancora + in confusione di prima. Ora io mi chiedo: non è anche un valore per l’azienda formare/scegliere dei professionisti seri che sanno come lavorare invece di buttare una massa di quasi incompetenti dentro al lavoro sperando che se la sbrighino da soli?
Siamo una categoria non compresa e di questi tempi siamo noi a far funzionare il mondo.
Per i clienti sono “quello che vuole soldi per stare a perder tempo davanti al pc” e per gli amici sono Dio in terra, l’idolo superammirato perchè sono l’unico che sa fare queste cose tra di loro e pur di verdermi all’opera mi pagherebbero cifre astronomiche (solo per levare un virus mi sono trovato in mano 20€, per 10 minuti di lavoro… chiedi tu al cliente 30€ per un’ora)
x Jacopo
“Per quanto riguarda la certificazione idem”
Se ti riferisci al CMMI, almeno nel mio ambito non è previsto da nessuna normativa che sia obbligatorio aver conseguito alcun livello di certificazione secondo questo standard. Per quanto riguarda le varie ISO 12207 (software lifecycle), 9126 (software quality model) e compagnia cantante, non è nemmeno prevista (perlomeno in Italia) una certificazione secondo questi standard. E infine, la famosa ISO 9001 non fa granché testo in quanto non è specifica per un particolare ambito: esiste una formulazione della 9001 specifica per il settore software, la ISO 90003, ma si tratta di una linea guida per l’applicazione della 9001 e non di uno standard. Inoltre, la relativa facilità con cui si passa la certificazione della 9001 mi mette dei forti dubbi sul reale impatto che questa certificazione possa avere nella cultura di un’Azienda.
Restano quindi, come principale mezzo per formalizzare degli obiettivi di qualità di un prodotto software, le clausole contrattuali che citavi tu, ma si tratta di accordi e condizioni di fornitura specifiche caso per caso, e la cui esaustività e significatività sono ovviamente influenzate dalla conoscenza ed esperienza delle parti che si accordano. Quindi, ancora una volta, ricadiamo nella condizione che il Cliente sappia cosa vuole e come chiederlo.
Per quanto concerne le tecniche di Quality Assurance, esiste una miriade di metriche di qualità che possono essere applicate ad un prodotto per cercare (e sottolineo cercare) di quantificare la sua conformità agli obiettivi di qualità. Ma la scelta delle metriche giuste e la corretta interpretazione delle medesime, ancora una volta richiede esperienza, sensibilità ed organizzazione. Non viene fuori un prodotto di qualità solo perché hai messo in piedi una serie di indici di prestazione: tutto il processo di realizzazione del prodotto (e bada bene: prodotto software non è solo l’eseguibile che finisce in mano al cliente: è anche la manualistica, la documentazione, il codice sorgente, e le procedure di test) deve essere pensato per raggiungere degli obiettivi di qualità. Tutto questo, per essere messo in piedi in modo compiuto, prevede delle competenze, delle esperienze e delle capacità delle persone coinvolte che ad oggi non sono per niente valorizzate come meritano.
Ciao
Filippo
Il fatto è che nella stragrande maggioranza dei casi oggi non è programmare ma semplicemente eseguire gl’ordini,di chi paga.Ed il danno più grande è che chi programma oggi non sà come programmare ovvero non fanno funzionare il programma nella loro testa e quindi il più delle volte t’arrivano delle aplication programmate con i piedi. La delusione è che io amavo l’informatica ora di meno perchè non c’è più entusiamo in essa tutti copiano e pochi creano.
Per curiosità,in che città lavorate? Torino
Reale Mutua assicurazioni?
I clienti chi sono (del campo assicurativo e bancario?
la colpa è delle miriade di aziendine che sono comandate da idioti: a loro interessa solo il risultato, pensano che programmare sia come usare office. sono dei fig.di putt. che ti considerano come un impiegato amministrativo.
allora programmatori boicottiamo sti coglioni: andiamo via da ste aziendine merdose e cambiamo aria , che si programmino da soli loro che non sanno neanche installare i driver delle stampanti!! andiamo da chi ci valorizza (anche con gli €€€€€ adeguati!!)
al post nr80, ma ti sembra tanto 30 euro all’ora?? suvvia…
guarda che le tariffe sono di 50-60 euro !! parlo di lordi sempre cmq.
x The3D
ok è un colloquio che hai visto tu. Perdonami però non è che un caso mi fornisce un quadro generale, non è che il colloquio che hai visto tu è la norma.
Dipende.
Non si può fare di un’erba un fascio, dipende da chi ti forma, dall’azienda, dal soggetto che dev’essere formato.
Il discorso però dell’essere buttati lì è sacrosanto e ricade nella frattura sistema accademico-mondo del lavoro di cui parlavo prima.
Fintantoché non lavoreranno assieme per la creazione di un percorso formativo coerente per lo studente che venga accompagnato nel passaggio dallo studio al lavoro (che non hanno almeno da noi nulla a che vedere l’uno con l’altro), saremo sempre qui a parlare delle stesse cose.
E lo saremo visto i tempi con cui le cose cambiano (spesso male) in Italia.
Purtroppo sembrano ragionamenti populistici e magari lo sono in parte però la realtà è quella.
Non si tratta di piangersi addosso perché ciascuno cerca di fare credo e spero il proprio meglio però a livello generale e sistemico è una situazione desolante.
Non a caso le aree d’eccellenza in realtà sono macchie di leopardo sparse in giro per l’Italia senza nessuna particolare “dorsale” connettiva.
Poli o + spesso ancora precise facoltà di alcuni atenei che magari si organizzano, fanno convegni e hanno contatti diretti con atenei esteri.
Bellissimo articolo. Io frequento ancora l’università e leggendo i vostri commenti, come quelli di altri miei conoscenti, rabbrividisco. Porca miseria, un programmatore che diventa matto per scrivere codice viene messo sullo stesso livello di un operaio che lavora vicino ad una catena di montaggio. No gente, a questo punto dopo la laurea farò altro. Per me, come credo per tanti di voi, gia’ è difficile stare con il culo sulla sedia tutta la giornata , figuriamoci poi se venissi retribuito male.
Devo trovarmi un lavoro diverso a questo punto….il problema è quale? Siccome i lavori sono sottopagati, difficilmente assumono a tempo indeterminato e magari richiedono conoscenze specifiche che un ragazzo appena laureato non ha.
x Filippo
non so in che settore lavori però ti ripeto per progetti mission critical le certificazioni si usano, così come (spesso non sempre) nelle PA dove vengono richiesti ulteriori canoni qualitativi perché magari si intrecciano con fondi provenienti dall’UE e quindi la trafila burocratica li impone.
Poi se tu mi dici che manca una sua applicazione a livello generale siamo d’accordo, manca l’equivalente di una 9001 per il software però è anche vero che è l’ambito stesso difficile da poter essere regolato e standardizzato.
Una parte meccanica la puoi testare e garantire per esempio per un determinato numero di ore di funzionamento (come avviene per gli HD), ma per il software come fai?
E’ comunque un sistema non deterministico, senza contare che, ritorniamo ad uno dei punti a cui avevo accennato prima, un’applicazione web te la può scrivere anche chi ha solo letto degli how-to dal web.
Costruire un motore credo sia un filino più complesso no? O qualsiasi componente meccanico/idraulico automotive.
Difficilmente il nipote del tuo vicino di casa a 15 anni risulta in grado di progettarlo, consegnarlo e vendertelo.
Quel che chiedi tu su larga scala e che sia cross-platform, indipendente dagli ambiti applicativi e budget di spesa io lo vedo realmente impraticabile.
Anche perché il mercato si è evoluto in una direzione diversa e quindi si tratterebbe di forzarlo a cambiare.
Lo possono fare gli enti preposti sovranazionali (ISO ecc.) ma solo se i grandi produttori appoggiano queste soluzioni e siccome poi ognuno tira acqua al proprio mulino (basti pensare solo al caso dei brevetti SW ed al casino non risolto a tutt’oggi), io propenderei per la non fattibilità.
Poi magari mi sbaglio. Magari.
Ho letto un commento sopra dove si diceva che alcune aziende non assumono espressamente laureati in scienze informatiche per timore che perdano tempo a scrivere codice perfetto…subito mi è venuto in mente il quadro professionale in cui si trovavano a lavorare i programmatori prima dell’ introduzione di materie come l’ Ingegneria del Software e di pratiche come la programmazione strutturata, all’ era dei GOTO, ecc…un vero inferno…ah, ma pensandoci non è molto diverso da oggi…Il vero problema non è il GOTO, è la mentalità; e quella – ahimè – non è possibile metterla al bando come i GOTO…
x Jacopo:
giusto per evitare fraintesi, in quello che scrivo non c’è la minima intenzione di bollare come errata la tua visione. Anzi, concordo con te che nella mia, semmai, c’è una certa componente di idealismo :-) Che vuoi farci, forse è una deformazione a cui è soggetto chi lavora nell’ambito della qualità perché crede nella possibilità di fare le cose meglio e non pensa (come tanti altri) che qualità voglia dire compilazione noiosa di tante scartoffie per dimostrare che stai facendo le cose in un certo modo ai certificatori ISO e non perché sei convinto veramente che serva.
Per il resto, tengo a sottolineare che mi limito a parlare della realtà italiana, non so come stiamo messi a certificazioni all’Estero. In ogni caso, lavoro nell’ambito della Pubblica Amministrazione, e a mia conoscenza quella che viene richiesta è la certificazione ISO 9001… da qualche tempo ho sentito che iniziano a chiedere anche la 27001 (sicurezza dei dati).
Costruire un motore rispetto ad un software non è, secondo me, né più né meno complesso. E’ una complessità diversa, non credo sia possibile fare un vero paragone. E’ invece vero che un motore, e più in generale un bene tangibile, è più immediato da testare. Un software, anche banale, ha un numero di possibili stati di funzionamento che cresce esponenzialmente con il numero di righe di codice, per cui anche per l’equivalente del Notepad di Windows è già statisticamente impossibile testare tutte le possibili condizioni di utilizzo. Il che, se vogliamo, rende ancora più affascinante (e bisognosa di professionalità) l’attività di verifica e validazione di un prodotto software: motivo in più per rivedere, se possibile al rialzo, le compentenze richieste per fare BENE il mestiere dell’informatico.
Ciao
Filippo
Io, guardando la cosa dal punto di vista di un utente/sistemista( più utente che sistemista, ma vabbé :D ) spero sinceramente che le IA vengano create molto presto, così faremo scrivere il codice a loro e non avremo più problemi di programmi scritti con i piedi. ^__^
Un articolo purtroppo di protesta, contro chissà cosa
e chissà chi, che ha scatenato l’ovvio coro di solidarietà
frutto delle medesime frustrazioni di categoria.
Sembra la copia di analoghi thread ricorrenti in tutte le
professioni, perchè in tutte le professioni e i mestieri, in un mercato concorrenziale come quello moderno, emerge solo chi ha il giusto mix di capacità, fortuna, perseverenza. Tutto il resto purtroppo è inutile spazzatura intellettuale: si deve accettare di essere meno bravi di altri , meno fortunati di altri , meno continui di altri… perchè gli altri devono accettare la stessa cosa di noi.
Solo dopo aver smesso di cercare all’esterno gli alibi per i nostri insuccessi, potremo ritrovare la gioia di costruire, consapevoli finalmente anche dei nostri limiti.
Tutti i programmatori sono scontenti ? NO. Perchè ? Perchè eccellere è dura. Altro che massimi sistemi.
Non si vince un campionato con un solo gol. E non
si costrusce una carriera con una sola buona partita,
e neppure protestando con il mondo perchè il mister
sta facendo scelte che non condividiamo.
Se la squadra non ci piace, forse siamo noi non adatti
alla squadra e non l’allenatore un deficiente.
Arrivederci.
Io, ingegnere informatico, dopo un contratto a tempo determinato di 9 mesi in una azienda di telecomunicazioni e un indeterminato (che ho fatto durare meno di 4 mesi) in una società di consulenze software, ho cambiato mestiere e, sfruttando il fatto di essere ingegnere prima che informatico, ora mi occupo di automazione per turbine a gas nelle centrali elettriche. Non scrivo una riga di codice da due anni e, con le trasferte nelle varie centrali, guadagno più del doppio di quello che prendevo come consulente informatico, più premi annuali per un paio di migliaia di euro.
Certo, lavoro su tecnologie di 20 anni fa ma… who cares??
Domanda: conosco tanti programmatori (essendolo anche io) che si lamentano dei propri stipendi ma non esitano ad usare software piratato.
Nel momento in cui tutti noi useremo solo software per cui abbiamo pagato il prezzo richiesto potremo lamentarci.
Fino ad allora saremo solo dei masochisti che sputano nel piatto in cui mangiano.
IMHO
E’ un bellissimo articolo. Io, grafico con il pallino della programmazione. Ho sempre amato diventare un ottimo programmatore ma credo che oltre agli studi, devi nascerci portato. Ad ognuno il suo mestiere. Conosco amici e conoscenti che potrebbero alzarsi soldi a palate ma non lo fanno, un pò per pigrizia un pò perchè (li capisco perfettamente) tutti offrono sempre le stesse cose, il solito sitarello, qualche altra cosuccia a progetto e così si sprecano grandi talenti, quando poi credo che la Vs. professione sia la più bella di tutte.
Ho letto da varie parti che all’estero la situazione per i programmatori è migliore, qualcuno che ha esperienza in merito puo confermare se è vero e quali sono i motivi principali di questa differenza?
Non capisco perche io che vivo in una zona ricca e sviluppata come il nord est devo andare all’estero per trovare condizioni di lavoro accettabili come programmatore mentre qua è pieno di gente che fa lavori molto piu facili e prende stipendi che io mi sogno.
Mio padre come camionista prende 80000€ all’anno ed è molto piu facile che fare il programmatore, lo so perche ho lavorato con lui varie volte, mentre prendere gli stessi soldi come programmatore è quasi impossibile.
A questo punto sto pensando seriamente di lasciare perdere l’informatica finita l’università e trovare qualcos’altro senza dover andare all’estero o chissà dove.
ne parlavo con un amico (programmatore) qualche giorno fa: in Italia, purtroppo, la maggior parte degli informatici (dunque, anche sistemisti come me) è considerata alla stregua di cacciavitari, ovvero individui dotati di una certa abilità pratica ma poco cervello…
insomma, quando va bene, meri smanettoni… credo che il motivo di scarse paghe (e di scarsa considerazione sociale) stia lì: e anche l’analogia con le prostitute ;)
@ Francesco TV
Non credo sia semplicemente una questione di Italia vs. Estero. E’ un fattore, secondo me, più legato all’esperienza e alla sensibilità imprenditoriale di chi governa le aziende. Ho avuto occasione di lavorare in ambienti multinazionali così come in piccole aziende (anch’io opero nel nord est). Nelle grandi aziende, specie appunto se multinazionali, è più probabile avere a che fare con persone che hanno potuto confrontarsi con realtà industriali variegate e quindi hanno maturato una sensibilità ed una professionalità più elevate, con la conseguenza che è più facile riuscire ad ottenere il giusto apprezzamento delle proprie competenze, così come è più stimolante acquisirne di nuove. Nelle piccole aziende, che invece difficilmente hanno a che fare con un ambito internazionale, spesso e volentieri c’è poca innovazione, ci si aggrappa alle abitudini e alle pratiche consolidate, e questo è ovviamente deleterio nei confronti della giusta valorizzazione di competenze “nuove” (come quelle legate appunto all’IT). Mi è capitato di lavorare qualche mese in una piccola azienda del vicentino, nella quale l’anagrafica dei clienti, così come tutto l’archivio dei contatti con i medesimi, erano gestiti con registri cartacei. Alla mia proposta di valutare un ammodernamento in senso informatico la risposta è stata “non c’è nessun bisogno di cambiare ciò che funziona.” Sono scappato a gambe levate per la disperazione.
Tutto questo per dire semplicemente che, alla luce della mia personale esperienza, non credo sia veramente necessario spostarsi all’estero, quanto piuttosto valutare lo spostamento verso i grandi centri urbani, dove si raccolgono le realtà industriali più importanti a livello non solo nazionale.
Ciao
Filippo
Perché non dovrebbero essere pagati, ci mancherebbe!
Però per fare il semplice programmatore credo che chiunque su internet possa imparare diversi linguaggi di programmazione che vanno dal c a python, all’html, poi dipende sempre da te se vuoi imparare (come il sottoscritto :) ),
non credo bisogna studiare fisica o matematica complessa.
Alcuni laureati in ingegneria che ho conosciuto sono molto presuntuosi e poi vai a vedere e programmano in php, e che ci vuole la laurea per imparare il php??
Nel mondo evoluto l’IT è un investimento che riduce i costi, in Italia l’IT è un costo che riduce gli investimenti.
Sono incappato per caso in questo articolo sul web, percio’ vorrei dirvi la mia reazione dopo aver letto il tutto:
:Q___________
il motivo e’ che ho la passione e sto attualmente studiando per avere un futuro come programmatore.
Forse sarebbe meglio farsi prete :§
Leggo e rileggo questo articolo e più mi rendo conto di quanto le parole scritte siano vere.
Mi sono appena laureato in informatica e mi trovo circondato di aziende che offrono contratti a progetto (mal pagati) o peggio stage non retribuiti a tempo indeterminato (dipende dalla corposità del progetto mi sono sentito rispondere), clienti occasionali che chiedono lo sconto sull’onorario come se il mio lavoro l’avesse potuto fare chiunque e…ciliegina sulla torta…datori di lavoro che non capiscono una mazza di informatica perchè sono laureati niente meno che in giurisprudenza e hanno la pretesa di venirti a dire come va realizzato un progetto: e se gli dici che non si può fare ti senti rispondere “arrangiati”.
A tutte queste persone/aziende dico di imparare a rispettare chi ha sudato, sofferto e pagato per raggiungere una determinata preparazione. Non tutti quelli che dicono di saper programmare hanno la forma mentis per farlo. E ne è sono prova i commenti precedenti al mio: si parla di righe e righe di codice scritte coi piedi. E deduco a questo punto che anche i principi cardine dell’ingegneria del software sono stati mandati a quel paese!
Addirittura in facoltà, durante un esame, mi sono sentito dare dello smanettone e perchè poi? Solo perchè IO sapevo dire vita, morte e miracoli dell’applicativo realizzato perchè IO sono stato in grado di prendere per mano il gruppo e portarlo ad ultimare il progetto.
Portato ai livelli di uno smanettone….mah!
Scusate lo sfogo, non so nel nord Italia, ma questa è la situazione che vive al sud un programmatore col tanto sudato pezzo di carta tra le mani.
Salve a tutti.
Vorrei chiedere qualche informazione all’autore del post n°93 (Neo-metalmeccanico). In cosa consiste l’occuparsi di automazione per le turbine a gas?
Potresti contattarmi via mail?
Se si scrivimi a questo indirizzo: arm981@gmail.com
Ti ringrazio.
Un saluto a tutti.
Esatto… non avrei potuto scrivere meglio le impressioni. Tieni conto che io stò affrontando proprio ora la crisi dato che è 5 anni che faccio questo lavoro.
Verissimo, meglio vendere pomodoro…
Purtroppo la gente ha una strana visione del programmatore, che poi oltre ciò c’è anche chi si finge programmatore, chi ti vuole imporre il suo pensiero ecc…
E’ un bel casino, ma sapete che vi dico, abbiate un po’ più di stima per voi stessi, possiamo prenderci il lusso di dire no!
ps possiamo sempre vendicarci con qualche backdoor o bug :B
[…] Oggi, sul blog “Appunti Digitali”, è stato pubblicato un articolo particolarmente interessante (e che mi riguarda da vicino… vedi sotto!), che riflette sui pro e contro della figura dello sviluppatore di software: “E’ giusto pagare un programmatore?“. […]
Anch’io sono un programmatore, ed in parte condivido le situazioni descritte, le vostre opinioni, e quelle dell’articolo.
Ma torniamo all’origine del problema, in apertura dell’articolo: la situazione è tale soprattutto perché alla base siamo spinti dal piacere personale per questa attività, che ci porta a farla magari sottopagati. Vi faccio un parallelo: sono anche guida subacquea. Per questa attività vengo pagato, ma pochissimo in rapporto alla formazione che ho dovuto sostenere, ai materiali che mi devo comprare, e all’aggiornamento continuo a cui mi devo sottoporre, ma lo faccio anche perché mi piace. Vi pare che un cliente dovrebbe pagare 150 euro per un’immersione (sarebbe il suo reale valore se ci dovessimo recuperare ampiamente i costi) invece delle attuali 35? Troverebbe qualcun altro che lo porta sott’acqua per 35. Ugualmente spesso sopravvalutiamo la nostra formazione e competenza in rapporto a quello che realmente chiede il mercato. Vi immaginate se la maggior parte dei minatori (per fare un esempio) fossero anche spinti dalla passione per quel lavoro? Non verrebbero quasi pagati.
Purtroppo la programmazione (un po’ tutto il settore IT) è un lavoro dove il divario fra investimento iniziale (e anche in corso d’opera) e il guadagno finale è enorme. La struttura di un sistema spesso è invisibile ai più, che possono solo giudicare il risultato finale. Per questo il paragone con medici e architetti non regge, non ne va della salute delle (altre) persone, e non si vedono palazzi belli o brutti (o peggio pericolanti e pericolosi).
L’errore insomma è quello di idealizzare la professione, mentre la legge del mercato è quella di rispondere a ciò che ci viene chiesto, nel modo più breve ed economico possibile.
Forse se vi fossero meno smanettoni/ragazzini che offrono sitini a prezzi stracciati saremmo perlomeno in grado di vederci più rispettati e più retribuiti!
Pienamente d’accordo con tutto! Dopo 11 anni di lavoro mi si verifica la stessa situazione di The3D: la passione se n’è andata ormai da parecchio tempo, sono di anno in anno sempre più stufo! Sono quasi al punto di finire a fare il magazziniere, esattamente come nell’episodio descritto da Cesare Di Mauro nell’articolo, o meglio, mi piacerebbe molto fare qualcos’altro, cambiare lavoro, non ne posso veramente più…
Pensate che nel pubblico impiego ho realizzato un’applicazione software il cui sviluppo sulla carta richiedava 8 anni.
Io ce ne ho messi 4 (oltre al normale carico di lavoro, piuttosto basso a dire il vero) ma quando sono andato a chiedere un premio per aver realizzato tanta maraviglia mi è stato detto che faccio solo il mio lavoro da parte di un dirigente. Secondo voi i fannulloni esistono o vengono “coltivati” ?
Esistono e… vengono promossi.
Programmare per passione???? Magari ! non ho trovato un solo programmatore italiano che abbia le palle di rischiare il suo tempo per entrare a far parte di un team di startup. Tutti vogliono soldi !!! I soldi derivano dalla passione !!! Non il contrario!!!!!!!!!!!!! COmunque per chi abbia lvoglia di collaborare ad un progetto startup che riguarda un’applicazione facebook… mi contatti giulio_tnt_goSalv@ymail.com
Bisogno di cibo a parte, resta il fatto che se anche fossi ricco, se dovessi programmare gratis in quanto mi piace farlo, lo farei su progetti che IO ritengo validi… e lo farei x ME…
Anche l’arte é godimento, ma Bernini, se anche fosse stato ricco, avrebbe scolpito le statue che desiderava… non quelle commissionategli, se non lo avessero pagato.
La scenta di unire hobby e lavoro comporta la rinuncia ad usare il tempo per i progetti che si desiderano… questa rinuncia ha un costo… il tempo ha un costo…
in breve, quello che si paga ad un programmatore non é tanto il programmare, ma il tempo concesso…
Grande! Hai centrato in pieno la questione rispecchiando perfettamente come ci si sente ad essere programmatori nel 2012.
E’ incredibile come man mano che si legge, sembra di ritrovarcisi in pieno in ogni singola riga!
Concordo in pieno, soprattutto per quanto concerne l’Italia: chi sceglie di fare il programmatore per fare soldi e carriera, sprofonderà in una frustrazione senza fine. Niente da aggiungere se non i seguenti suggerimenti:
1) Se volete continuare, usate il vostro know-how per edificare progetti profittevoli tramite la rete d’internet spostandovi su servizi offerti o applicativi utili che possono risultare d’interesse per una moltitudine di soggetti, sfruttando la legge dei grandi numeri offerta dal canale della rete.
2) Cambiate mestiere e sfruttate le vostre abilità verso mestieri di cui sistema economico e professionale riconosce grandi profitti con “relativa” applicazione (Medicina ad esempio….molti medici con studio privato fanno sempre le stesse cazzate e prendono oltre 600 euro al giorno…!)…il tutto con la dovuta umiltà intellettuale !
Per il resto è incontrovertibile che ci siamo resi conto che questo mestiere….NON PAGA.
Un abbraccio a tutti coloro che si sono spaccati le meningi e con caffè e sigarette hanno beccato gastriti davanti al pc facendo nottate su printf(); e affini !
Davide.
Consiglio a chiunque di non intraprendere un percorso di formazione e/o di lavoro nel settore informatico. Oggi Informatica = PROSTITUZIONE. Non potrete mai neanche sperare di guadagnare abbastanza soldi per mantervi una vita neanche con l’obiettivo di sopravvivenza, i colloqui di lavoro sono finti, le richieste tecnologiche sono superiori alle reali necessita così da abbassare il prezzo (lo stipendio) del candidato. I gentili selezionatori lavorano per avere più margine di guadagno tra lo stipendio dell’informatico e quello che l’azienda che lo richiede è disposta a spendere. Dovrebbero mettere gli sbarramenti come in medicina e farsi di creare un sistema per cui chi disgraziatamente abbia voglia di informatica si trovi nelle condizioni di potersi permettere di comprare una casa e mantenersi una vita. La verità è che oggi un operaio con la terza media vale di più di un informatico con una o più specializzazioni con o senza laurea con o senza esperienza all’estero. LASCIATE OGNI SPERANZA VOI INFORMATICI
Sono un programmatore laureato e molto ambizioso; ero affamato di vita e di sapere; divoravo gli esami universitari; non mi sono fermato davanti alle difficoltà; ho cambiato città e azienda ogni anno; programmavo per passione da anni prima di laurearmi, ed ero sempre una spanna avanti ai miei colleghi di studio prima e di lavoro dopo. Non ho mai fatto un contratto di formazione, al primo lavoro ne sapevo già piu di tutti i colleghi messi insieme.
Per questo non ci sto’ a leggere l’articolo e i vostri commenti, mediocri per mediocri. E’ troppo facile creare la categoria vittimista degli sfruttati ingiustamente; il mondo è di chi si diverte a lottare per averlo, punto.
Oggi ho 30 anni e supero i 10mila al mese per una banca italiana.
Ma non ci sto’ a leggere che la mia è fortuna genetica, io ho lottato per arrivare dove sono e continuo a lottare ogni giorno. Muoversi, cambiare, esperienze all’estero, tirarsela, essere convinti di poter fare la differenza, puntare in alto. Se non avete voglia vi ringrazio, perché lo stare in alto di quelli come me è solo relativo a quelli come voi
Ti sei risposto da solo: sei una mosca bianca.
La realtà è ben diversa, e non si può nemmeno immaginare che tutti possano realizzare quello che hai fatto tu: non foss’altro perché le aziende non possono offrire per tutti i programmatori le stesse posizioni e, soprattutto, le stesse retribuzioni.
Soprattutto non tutti vogliono cambiare ogni anno città e/o azienda, o magari andare a finire all’estero. C’è ha famiglia, ad esempio, o situazioni delicate, e non sempre è possibile fare quanto hai detto.
Per chi rimane la situazione può non essere idilliaca, e questo a prescindere dalle proprie capacità e ambizioni. Puoi essere bravo quanto vuoi, ma se non vivi in un buon ambiente puoi ritrovarti con tanti problemi; come quelli descritti nell’articolo o nei commenti.
Per il resto se ti comporti nella vita con la stessa superbia e altezzosità con le quali hai sdoganato il tuo veleno su tanta gente che non conosci, mi fai veramente pena…
Le donne di facili costumi vanno anche con chi non va loro a genio.
Anche i programmatori non sempre si occupano di cose a loro gradite.
Non era la Ferrari ma la Lotus esprit
Ho fatto vari lavori e tra tutti il programmatore è stato quello mentalmente più stressante, sottopagato, frustrante ma soprattutto con i colleghi più spocchiosi, prime donne primi della classe e paraculi