Gamate: il Game Boy tarocco made in Taiwan

Durante il percorso intrapreso ormai tredici mesi fa abbiamo imparato che l’industria dei videogiochi, prima del consolidamento dei tre grandi competitor attuali (Microsoft, Nintendo e Sony) è stato un settore estremamente effervescente e ricco di sfaccettature.
E questa è la ragione principale dell’estremo fermento tra i collezionisti sia nei mercatini fisici di tutto il mondo sia nelle bacheche o siti di e-commerce.
Fino adesso, al di là delle console e giochi che hanno fatto in qualche modo storia, abbiamo analizzato l’interesse verso i prototipi e verso i flop, entrambi legati dalla difficoltà per l’acquirente nel reperirli sul mercato e quindi la possibilità non così remota che il prezzo di compravendita salga a cifre piuttosto importanti.

Un terzo tassello che arricchisce questo quadro è dato dalla presenza di piattaforme a basso costo, sviluppate e modellate copiando i nomi altisonanti dell’industry come il Mega Drive.
Avevo pensato di dedicare un solo pezzo alla discussione del fenomeno dei cloni ma mi sono reso conto essere estremamente variegato, anche solo nella distinzione dei prodotti licenziati e quelli sprovvisti dell’autorizzazione e accordo con la casa madre.
Senza contare che il discorso non si esaurisce affatto con le console (l’hardware quindi), ma sfocia ovviamente nella parte software con casi piuttosto interessanti come i giochi taiwanesi proprio della macchina Sega a 16 bit, in grado di raggiungere e superare i 100 Euro a cartuccia.

Quale modo migliore quindi di parlare subito di un prodotto concreto, a qualcuno certamente familiare?
Ecco a voi il Gamate, la console che provò a ripercorrere le orme del Game Boy.

Gamate

Cominciamo a delineare, as usual, il contesto storico in cui ci troviamo.

Siamo agli inizi degli anni ’80 ed il mercato del sud-est asiatico comincia ad interessarsi al settore dei videogiochi. Il processo di acquisizione del know-how detenuto dall’Occidente e dal “vicino” Giappone era già cominciato tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, quindi le capacità nell’ambito dell’elettronica già erano in possesso di diverse industrie soprattutto nell’area di Singapore, Taiwan e Corea, anche perché il costo contenuto della manodopera aveva spinto i grandi nomi ad investire in quelle zone.
Bit Corporation, fondata nel 1983, decise di focalizzare il suo core business proprio nell’ambito videoludico, proponendosi sia come software publisher sia come produttore della parte hardware.
Prima costruì un clone dell’Atari 2600 (l’Amigo), poi una console combo in grado di leggere sia le cartucce del Colecovision sia del SG-1000, la prima console sviluppata dalla Sega; ma il primo vero successo venne con uno dei tanti fac-simile del Nintendo FamiCom (o NES per chi ha più familiarità con la versione Mattel).
Ad oggi però le fonti sono ancora piuttosto controverse sulla sede principale.
Buona parte dei siti che si occupano di retrogaming e citano Bit Corp sostengono provenga proprio dalla zona di Taiwan; a sostegno della tesi ci sarebbe anche la traduzione letterale del nome il quale significherebbe “Pu Ze”, una curiosa assonanza alla parola “puzzy“, decisamente appropriata al mondo dei videogiochi.
Altri affermano al contrario sia originaria della Corea del Sud.

E’ altresì possibile, come sostiene Hawanja (il fondatore di Ultimate Console Database) prendendo spunto da una mail di un collezionista, che la società menzionata avesse in realtà acquisito i diritti di pubblicazione da terzi per poter vendere la tecnologia in mercati esteri non raggiungibili altrimenti.
Un altro degli aspetti i quali rendono difficoltoso catalogare il tarocco è che la paternità di una piattaforma può essere co-divisa. I componenti all’epoca erano più o meno sempre quelli (per la CPU si girava intorno a due-tre modelli di grido, come lo Zilog Z80 o il Motorola 68000) e quindi capitava non di rado che aziende concorrenti nello stesso ramo fabbricassero ciascuno un proprio clone, rendendo di fatto quasi impossibile, soprattutto per noi occidentali, stabilire chi fosse arrivato prima ed in un’eventuale distribuzione su mercato europeo quale fosse la matrice di provenienza.
Ma nel nostro caso, pur ignorando l’origine, è facilmente riconoscibile il marchio italiano che importò il Gamate
nel BelPaese.
Gig, uno dei grandi nomi dell’industria di giocattoli italiani, decise di intraprendere questa nuova avventura, sulla scia dei giochi Game&Watch molto popolare in quegli anni (inizio ’90)e inventati da Gunpei Yokoi, il papà proprio del Game Boy.
Vediamo le sue caratteristiche tecniche:

  • CPU: NCR 81489 a 8 bit
  • RAM: 16KB
  • Video: schermo LCD monocromatico con risoluzione 128*96
  • Audio: mono, stereo con le cuffie
  • Supporto: cartuccia con una capacità di massimo 2KB
  • Autonomia: 5h dichiarata (4 pile AA)

In Taiwan ma soprattutto su suolo europeo ebbe un discreto successo, sulla scia della tipologia di videogiochi a basso costo venduti in quegli anni, mentre in Giappone o negli Stati Uniti, dove la tecnologia, rapportata al costo della vita, incideva meno non ebbe una gran sorte, divenendo però un pezzo tutto sommato non così disprezzabile per gli appassionati dei modelli non ufficiali.
Anche i Paesi in via di sviluppo come l’America Latina, in particolare il Brasile (Stato che citeremo ancora in futuro grazie soprattutto alla TecToy), videro l’importazione del Gamate e la pubblicazione complessiva di oltre 50 titoli (imitazioni o giochi sviluppati ex novo).

Fear The Clones dunque, come scrisse qualche sito in occasione dell’uscita del film di Star Wars, perché questo è solo un prodotto di una lunga seria.

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