Deposito Nazionale per i rifiuti nucleari: non solo un’eredità del passato

Scusandomi per l’assenza di pubblicazioni nella scorsa settimana, per il post odierno della rubrica Energia e Futuro andremo a parlare di un argomento che, non solo recentemente, ha scosso gli animi degli Italiani, ovvero l’annosa questione del Deposito Nazionale per lo stoccaggio dei Rifiuti Nucleari.

L’argomento “Nucleare” non è nuovo tra queste pagine, ne hanno parlato alcuni autori ed anche io ne ho parlato, nel Marzo 2011, in occasione dell’incidente accaduto a Fukushima ed immediatamente in seguito attraverso una analisi di un possibile scenario energetico da “dopo Fukushima”.

Il tema odierno però pur trattando di Nucleare, ha poco in comune con l’eventuale futura installazione di impianti termonucleari, bensì riguarda esclusivamente qualcosa legata al “passato” dell’energia nucleare in Italia, ed al passato e presente dell’uso di materiale nucleare per altri scopi, essenzialmente medici ed industriali.

ITALIA & NUCLEARE – NON SOLO ENERGIA PER UNA STORIA CHE INIZIA LONTANO NEL TEMPO

Come credo sia noto ai più, la storia dell’energia nucleare in Italia inizia da lontano, e più precisamente verso la fine degli anni ’50 con la costruzione del primo reattore termonucleare Italiano a Latina, sebbene si potrebbe dire che TUTTA la storia dell’energia dall’atomo inizi in Italia e ben prima di quella data, grazie alle scoperte di Enrico Fermi e dei suoi collaboratori.

Di questa storia e del nucleare ne riparleremo approfonditamente in futuri post, mentre oggi vorrei concentrare l’attenzione su quanto seguì alle prime dismissioni dovute al noto (o meglio, ai noti, trattandosi di tre quesiti) referendum  del 1987, dal cui esito si ebbe una rapida chiusura di tutte le attività elettronucleari nazionali, e che resero abbastanza urgente l’affrontare la questione del “dove conservare in materiale radioattivo” ad esse legato.

Se il residuo della pur breve parentesi elettronucleare Italiana costituiva un problema da affrontare, ad esso andava ad aggiungersi il residuo di tutte quelle attività che si basavano (e si basano tutt’ora) sull’uso di isotopi radioattivi, infatti se quello della produzione elettrica è il campo di impiego più noto e dibattuto dell’Atomo, non meno importanti sono le applicazioni che di esso vengono quotidianamente fatte nell’industria siderurgica, e molteplici ed importanti sono inoltre le applicazioni mediche, nelle quali vengono usati alcuni isotopi radioattivi sia per attività diagnostiche che per attività di cura, attività ricadenti nella cosiddetta Medicina Nucleare.

 IL SITO UNICO DI STOCCAGGIO

La prematura attività di dismissione  degli impianti elettronucleari in Italia, unitamente alla necessità di farsi carico dei rifiuti “ordinari” legati alle attività industriali e mediche, ha reso necessario affrontare (con un certo anticipo rispetto a molti altri paesi) il problema sul come trattare il residuo di tali attività, e la soluzione finora utilizzata è consistita (e consiste ancora) nello stoccaggio “temporaneo” di tali materiali negli stessi impianti nucleari, fatte salve le ingenti quantità di materiale irraggiato inviate all’estero per il riprocessamento, e che torneranno a breve nel nostro territorio.

Poiché tale soluzione non rappresenta un approccio ottimale sia sul fronte dei costi che della sicurezza e gestione, la soluzione “permanente” individuata è stata in passato analoga a quella di tutti i paesi che hanno già iniziato ad affrontare il problema, ovvero attraverso la realizzazione di un sito di stoccaggio sotterraneo avente caratteristiche idonee alla conservazione di tale materiale per periodi adeguatamente lunghi.

Sulle caratteristiche del sito, sui tempi di stoccaggio e sulle problematiche ad esso legate molto è stato detto (e polemizzato) soprattutto negli anni recenti, in particolare a seguito degli annunci sia durante la XIV Legislatura che della XVI Legislatura, delle intenzioni di rilancio delle attività nucleari attraverso la realizzazione di diversi nuovi impianti sul territorio nazionale, poi abbandonate a seguito dell’incidente di Fukushima e del referendum ad esso seguito.

Ancora più recentemente però, l’argomento è tornato di attualità in quanto l’attività della SOGIN, ovvero dell’azienda di Stato delegata ad affrontare il problema, è proseguita fino a definire le caratteristiche tecniche dettagliate che dovrebbero guidare alla scelta di un sito per il deposito unico nazionale (non più sotterraneo) adeguato a contenere l’intero quantitativo di rifiuti nucleari ad oggi presenti nel paese.

RIFIUTI NUCLEARI – QUALCHE INFORMAZIONE

I rifiuti nucleari vengono suddivisi in tre categorie, ciascuna delle quali caratterizzata da un livello di radioattività e pericolosità be definito:

  • I Categoria (Bassa Attività): sono i rifiuti più abbondanti e la loro pericolosità è abbastanza contenuta, come ad esempio il materiale sanitario usato nella medicina nucleare, gli indumenti usa e getta forniti in una visita ad un impianto nucleare, diversi materiali del decommissioning degli impianti elettronucleari ecc, e costituiscono circa il 90% delle scorie prodotte ma contengono solo l’1% della radioattività
  • II Categoria (Media Attività): sono rifiuti caratterizzati da una certa pericolosità tale da richiedere una certa schermatura, e rappresentano circa il 7% del totale, sebbene contengano circa il 4% della radioattività, e tra di essi si trovano ad esempio dalle guaine degli elementi combustibili del reattore
  • III Categoria (Alta Attività): sono i più pericolosi a lungo termine sebbene anche i meno abbondanti (circa il 3% del totale, caratterizzati da circa il 95% della radioattività), e per essi si rendono necessari sistemi di schermatura molto più avanzati.

Se per i rifiuti di Bassa Attività le tempistiche di stoccaggio sono molto contenute, ovvero alcuni anni, passati i quali essi possono venire smaltiti tradizionalmente, ovviamente in maniera compatibile con le loro eventuali altre caratteristiche di pericolosità, per i rifiuti di Media ed Alta Attività si rende necessario un processo di trattamento che dapprima ne riduca il volume e successivamente ne permetta l’inglobamento in una matrice solida inerte, costituita generalmente da cemento o vetro in funzione della tipologia dei rifiuti.

I depositi per i rifiuti di Media Attività richiedono il rispetto di livelli di sicurezza ed opportune barriere ingegneristiche capaci di garantire uno stoccaggio per tempi dell’ordine del centinaio di anni, e soluzioni a tale problema sono state sviluppati in particolare con depositi superficiali in cemento armato nei quali il materiale, opportunamente trattato, viene successivamente racchiuso in ulteriori blocchi di cemento armato.

Tali depositi presentano la caratteristica di essere facilmente ispezionabili e gestibili, consentendo anche il ripristino di strutture di contenimento che dovessero eventualmente danneggiarsi negli anni.

I rifiuti di Alta Attività richiedono invece sistemi di stoccaggio in grado di resistere per periodi di tempi tra le migliaia ed il milione di anni, e pertanto le soluzioni individuate nel mondo ruotano principalmente intorno ai depositi sotterranei, all’interno dei quali i rifiuti dovrebbero venire confinati a seguito dell’aggiunta di ulteriori barriere ingegneristiche.

Sul fronte delle barriere ingegneristiche sono state sviluppate varie soluzioni, e le più avanzate dovrebbero garantire l’inattacabilità dei rifiuti dagli agenti esterni per un periodo virtualmente infinito.

IL DEPOSITO NAZIONALE DI SUPERFICIE

La soluzione studiata dalla SOGIN per l’Italia non prevede un deposito sotterraneo, bensì un deposito di superficie realizzato con tutte le specifiche di sicurezza richieste dalla IAEA – International Atomic Energy Agency ed in grado di accogliere i circa 90.000 metri cubi di rifiuti nucleari (75.000 di Bassa e Media Attività – 15.000 di Alta Attività).

Per i rifiuti di Bassa e Media attività è previsto lo stoccaggio definitivo, mentre per i rifiuti di Alta Attività questo deposito rappresenterebbe una soluzione temporanea, in attesa di individuare una soluzione permanente (che potrebbe però anche venire affrontata a livello transnazionale e prevedere un deposito unico europeo).

Di tali rifiuti il 40% è relativo alle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, ovvero attività che continueranno a generare rifiuti anche in futuro indipendentemente da qualsivoglia impianto elettronucleare nel territorio, mentre il restante 60% proviene dal decommissioning degli impianti elettronucleari nazionali:

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Percentuale tipologia rifiuti (Fonte: SOGIN)

CONSIDERAZIONI

Sebbene l’argomento nucleare sia tra i più sensibili da affrontare, esso rappresenta un argomento importante e necessario da trattare senza pareri preconcetti anche e soprattutto perché la questione oggi presentata rappresenta qualcosa appartenente al passato (decommissioning, medicina ed industria) ed al presente (medicina ed industria) e pertanto esso rappresenta una condizione necessaria non solo per la messa in sicurezza degli attuali rifiuti nucleari, ma anche per quelli che proverranno da tutte le attività irrinunciabili della medicina e dell’industria e pertanto aldilà delle ovvie e comprensibili discussioni “NIMBY” resta un problema da affrontare.

Vi rinnovo il consueto invito a continuare a seguirci su AppuntiDigitali, ovviamente sempre con la nostra rubrica Energia e Futuro, ma prima di chiudere desidero lasciare una nota a chiusura del post:

dato il tema e l’esperienza passata quando questo stesso argomento è stato affrontato,  invito i lettori a commentare senza polemiche e/o insulti verso chiunque, perché se da una parte questo è uno dei principi base della netiquette, dall’altra parte il tema dell’argomento è puramente tecnico-divulgativo su un tema comunque attuale, pertanto il tipico commento “li vorresti in casa tua – facciamolo nel tuo giardino – mettili sotto il tuo letto […]” è non solo fuori luogo ma OFF TOPIC e soggetto a moderazione

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