Proiettiamoci per un attimo nella più volte ipotizzata condizione in cui il nostro cervello sia direttamente interfacciato con Google. In teoria lo spazio della nostra conoscenza si estenderebbe a dismisura: ogni nozione sarebbe a portata di mano, come se appartenesse nativamente alla nostra memoria. Ma cosa esattamente conosceremmo e come? In effetti potremmo dire di conoscere nello stesso senso in cui abbiamo conosciuto finora?
Temo di no. Procedo quindi a lanciarmi in una serie di considerazioni che derivano da riflessioni di lungo corso, buone conversazioni e letture. Non intendo dunque attribuire alle mie parole un valore minimamente scientifico, quanto piuttosto stimolare una riflessione.
Nel corso della vita il ruolo della memoria non è relegato al semplice immagazzinamento di informazioni: al contrario ogni nozione presente nella nostra memoria è avvinta in una rete di relazioni con altre nozioni, coerenti o non – conoscere il significato di una parola riuscendo a richiamarne l’etimo o piuttosto ricordare, assieme al significato di una parola, la circostanza in cui abbiamo scoperto cosa significasse. In altre parole la nostra memoria immagazzina informazioni in maniera organica, replicando i processi di apprendimento e di deduzione che hanno ancorato una nuova nozione alla massa di quelle già esistenti.
Di converso esiste da sempre un modo di apprendere nozionistico, appiccicaticcio, da esame universitario preparato il giorno prima. Un approccio non organico, in cui le informazioni entrano ed escono velocemente dalla memoria proprio perché non “trattenute” da una rete di informazioni circostanti. In un’epoca in cui la comunicazione ha preso il sopravvento su qualsivoglia competenza retrostante, questo modello di (non) apprendimento è ben illustrato da certi politici freschi di nomina che, in TV, sembrano recitare un mantra imparato a memoria piuttosto che lavorare di sintesi su un blocco di argomentazioni organiche, di cui evidentemente non dispongono.
Insomma, come il pittore astratto lavora di sintesi su solide basi di figurativo, così anche lo scienziato fa divulgazione scientifica condensando e adattando le proprie nozioni per renderle potabili ad un pubblico non competente. Al contrario l’ignorante è colui che reputa di poter diventare Mondrian o Kandinskij scarabocchiando la tela, ovvero brandeggiando poche parole chiave apprese all’ultimo momento, che in nessun caso sa ricondurre ad un’unità dotata di senso.
Un mio valido docente era solito raccontare all’aula che chi parla in pubblico deve mostrare solo la punta dell’iceberg – un “sintomo” della presenza di una massa subacquea molto più grande, localizzabile ma non circoscrivibile dalla superficie – della propria conoscenza. Seguendo il filo della metafora, riprendiamo dunque il tema accennato all’inizio: che genere di “conoscenza” risulterebbe da una disponibilità immediata di qualunque nozione come quella consentita da un interfacciamento cervello-Internet?
Più che un iceberg, somiglierebbe forse una sagoma di cartone a forma di iceberg, che galleggia su una miriade di frammenti sconnessi e in costante movimento. Quale miglior icona per rappresentare un cervello divenuto luogo non più di comprensione e riflessione, ma di transito, per informazioni che non è più neppure in grado di trattenere?
cervello interfacciato alla rete? lo scenario sarebbe questo http://en.wikipedia.org/wiki/Ghost_in_the_Shell
in ogni caso il problema non è la disponibilità di grandi quantità di informazioni, ma la stupidità di chi non vuole usare i neuroni per elaborarle
100 anni fa ragionavano e riflettevano tutti? ovviamente no, gli idioti sono sempre esistiti e in gran numero, solo che oggi rimbecilliscono con l’iphone tra le mani e le suonerie di bella topolona
@alex
Mi hai rubato la citazione!! Maledetto!! :-)
Comunque, per chiunque sia interessato alle evoluzioni possibili
dell’eventualità di un cervello collegato alla rete, consiglio (sulla scia di alex) i manga:
– Ghost in the shell
– Ghost in the shell 2: Manmachine Interface
Una delle più grandi opere mai scritte.
Tornando all’articolo, grazie alla tecnologia ci stiamo avvicinando ad un tipo di conoscienza (e coscienza) collettiva, resa disponibile rapidamente dalla rete.
E’ sempre più difficile distinugere l’esperienza individuale da quella pubblica per via dell’immediata condivisione che ne facciamo con gli altri.
Stiamo diventando sempre più come dei Tachikoma (non che mi dispiaccia!)
“Proiettiamoci per un attimo nella più volte ipotizzata condizione in cui il nostro cervello sia direttamente interfacciato con Google.”
Diventeremmo degli ottimi soldatini: a quel punto chi fosse in grado di controllare cosa google indicizza o meno diventerebbe padrone del mondo.
Già adesso la verità storica è un mero esercizio di stile sottomesso ai capricci del vincitore/padrone di turno: ci manca solo che uno non possa più essere libero di avere dei propri pensieri autonomi
Che genere di “conoscenza” risulterebbe da una disponibilità immediata di qualunque nozione come quella consentita da un interfacciamento cervello-Internet?
Che figata, allora si che saresti un tipo “smart” con ampie possibilità di carriera…
penso che sarebbe l’equivalente di leggere un libro di cucina di un famoso chef sperando di replicare il capolavoro, o un libro di neurochirurgia non avendo mai preso un bisturi in mano..
per fortuna penso che servirebbe a poco; d’altronde se leggo il portale di fisica nucleare di Wikipedia non è che divento automaticamente fisico nucleare :)
A mio avviso il problema non sussiste. Già ora in una certa maniera il mio pensiero é commesso a Google, vi scrivo da uno smartphone e nella mia compagnia sono preso in giro perché quando esce una disputa su qualche questione sono sempre lí a guardare sul web la risposta. In un domani in cui direttamente il cervello sarà connesso esso stesso dedicherà delle porzioni di corteccia alla gestione delle connessioni esterne. Questo già avviene nei soggetti che utilizzano per lungo tempo uno strumento ad esempio gli §chermitori. Si é riscontrato che in essi alcune porzioni della neo corteccia si attivano solo quando impugnano la spada. In futuro la plasticità del nostro cervello rimodellera le connessioni in funzione di questo ente esterno.
@ 6
Il piccolissimo problema è che nel momento in cui deleghi a Google la funzione di decodificare i significati, dai in outsourcing il tuo senso critico e diventi estremamente manipolabile.
Conoscere vs. Sapere.
We are the Borg. Resistance is futile. You will be Assimilated.
Per sintetizzare invece di
“Tutto fumo e niente arrosto” (l’apparenza inganna)
potremmo dire
“Non c’è fumo senza arrosto” (non c’è percezione del valore senza il valore)
L’information overload è nemico della conoscenza.
Ottimo articolo, breve ma carico di spunti interessanti.
piccolo refuso ad inizio articolo “estendebbe”
ma che ti sei fumato lol ?
– Conosco il kung-fu
– Dimostralo!