Pagare e ricevere denaro è un’esigenza che l’uomo ha fin dalla notte dei tempi, e nei millenni abbiamo assistito a tutta una serie di metodi differenti per soddisfare questo bisogno. Siamo partiti dal baratto, abbiamo attraversato la fase delle monete di vari metalli (oro, argento, bronzo, rame…) fino a giungere all’invenzione della banconota, e poi ancora dell’assegno e per finire al denaro fatto di bits. Se escludiamo gli ultimi decenni, abbiamo sempre avuto a che fare con metodi di pagamento basati sullo scambio materiale di “oggetti” di vario tipo, via via sempre più complessi anche in risposta al crescente numero di contraffattori.
Negli ultimi anni però il denaro è divenuto digitale, grazie anche alla diffusione dei personal computer, dell’online banking e dei servizi come E-Bay et simila. Abbiamo così perso il contatto fisico con il denaro, anche se nella nostra società la banconota e tutte le sue declinazioni (assegni, carte di credito, bancomat..) rimane ancora il metodo di pagamento più utilizzato, nonostante l’esponenziale crescita che sta avendo lo shopping online.
L’evoluzione è però tracciata: nei prossimi decenni assisteremo alla nascita di negozi e supermercati per la vendita al dettaglio sempre più tecnologici, e sarà prassi comune fare i propri acquisti di ogni genere online. Il denaro “sonante” sarà destinato a scomparire, perché ogni singolo dollaro euro o yen sarà digitale, più ancora di quanto una grossa fetta della ricchezza non lo sia già oggi.
In fondo, salvo quelli che abbiamo dentro il materasso, tutti i nostri soldi sono solamente numeri immateriali che danno credito alla nostre carte od alle nostre disposizioni bancarie, e quindi perfettamente personificabili da stringhe di bits. Inoltre il denaro è “costoso” nel senso della sua produzione, gestione e distribuzione, ed è certamente falsificabile con molta più facilità di quanto si possa immaginare nonostante i complicati meccanismi di difesa in atto. Passare dal nichelino al bit quindi, ridurrà di moltissimo i costi di gestione del denaro, e permetterà di applicare livelli di sicurezza diversi e si spera migliori di quelli applicati alla “carta”.
Apro e chiudo una parentesi lasciando a voi le considerazioni: se tutto il denaro fosse digitale, i governi avrebbero uno strumento infallibile per sconfiggere l’evasione fiscale, in quanto ogni singolo pagamento dovrebbe necessariamente passare per dispositivi connessi al sistema bancario di turno e sarebbe difficile (per la gente comune, meno forse per i più “potenti”) eseguire e ricevere pagamenti senza essere tracciato in qualche modo, e quindi evadere le tasse.
Se quindi questo è il trend, è necessario far evolvere gli strumenti di pagamento, per renderli più facili e veloci di quanto già non lo siano le carte di credito od i bancomat, ma soprattutto dovranno essere integrati in dispositivi di uso comune, come il cellulare, in quanto tutto ci serve tranne che un trabiccolo in più da portarci dietro! Non sarà più necessario fare code alla cassa o ritirare lo scontrino, ma ci basterà avere il nostro cellulare in tasca, riempire il carrello della spesa ed uscire dalla porta senza far nulla: il denaro scompare, è tutto automatico, comodo ed adeguato ai ritmi sempre più infernali ai quali siamo sottoposti.
Fantascienza? No, e come potete leggere più approfonditamente qui, basta entrare da Starbucks con un iPhone ed il gioco è fatto. Certo è che la “perdita” materiale del soldo come lo conosciamo oggi potrebbe lasciarci un senso di incompiutezza, quasi di disarmante preoccupazione per le problematiche di sicurezza: finché ho qualcosa tra le mani è “mio” e lo sento sicuro, se invece i miei soldi sono diventati un campo elettromagnetico che viaggia nell’etere non vi nascondo l’esistenza di qualche legittima preoccupazione. Ma tant’è che il futuro segue direzioni che nel presente possono sembrare senza senso, e penso che il futuro sarà proprio così come descritto.
E’ il caso allora di capire la tecnologia, di comprenderne i meccanismi fisici ed infine occuparci della sicurezza, il tutto con l’intento di scoprire se questo sarà un trend positivo oppure no, e soprattutto capire i rischi ai quali andremo incontro in modo da avere un’idea sul “se” potremmo fidarci di tali sistemi oppure no. Nei prossimi articoli affronteremo tutte queste tematiche, in modo che tutti possiate avere le basi fondamentali per farvi una vostra opinione, non basate solo sul sentito dire o sulle sensazioni ma piuttosto sul rigore scientifico.
La tecnologia che sta alla base di tutto è comunemente chiamata RFID, acronimo di “Radio Frequency IDentification”, di cui sicuramente avrete già sentito parlare, e che affolla già parecchi dispositivi: dai tesserini per i tornelli, ai sistemi di anti-taccheggio, al telepass, per finire nel campo della logistica informatizzata. Gli attori principali di questi processi sono essenzialmente due: i Tag ed i Reader. I tag sono dispositivi molto semplici e molto compatti, tant’è che possono essere stampati ed applicati su un capo di abbigliamento, e si dividono in due macro categorie: attivi o passivi.
I più comunemente diffusi sono i tag passivi, che sono niente altro che dei transponder a radiofrequenza costituiti da un circuito stampato sul quale trovano spazio una logica di controllo, un antenna ed una piccola area di memoria, che quando “stimolati” per induzione sono in grado di restituire un segnale radio contenente informazioni contenute nella memoria, prendendo l’energia necessaria al funzionamento del circuito dalle onde radio emesse dal reader. Il reader infatti è un dispositivo più complesso, in quanto consiste a tutti gli effetti di una ricetrasmittente in grado di inviare e ricevere segnali radio su una determinata frequenza.
Punto chiave della tecnologia RFID è il fatto di essere contactless, ossia i dispositivi parlano tra di loro senza contatto fisico: quando c’è un reader attivo, esso irradia lo spazio circostante con un segnale radio su una determinata frequenza e se c’è un tag nelle vicinanze, in grado di “vibrare” per risonanza a quella stessa frequenza, questo è in grado demodulando opportunamente l’onda per mezzo della sua antenna, di rispondere inviando un segnale che tradotto in bits ha un significato per il ricevitore (generalmente un id univoco dal quale è possibile risalire ad un certo numero di informazioni di vario tipo, oppure come nel caso dell’anti-taccheggio viene inviato solo un flag per segnalare la presenza o meno del tag nell’area del reader davanti all’uscita).
I tag passivi hanno una portata molto piccola, che varia in funzione della frequenza di lavoro e che generalmente è circoscritta in un intorno di spazio che va da pochi centimetri ad un massimo che non supera un paio di metri, questo perché l’energia che essi ricavano “dall’etere” è appena sufficiente ad alimentare la piccola logica di controllo.
Inoltre come detto essi non possiedono un vero trasmettitore, ma solo un’antenna che rimodula un segnale in ingresso, quindi è lecito aspettarsi distanze operative così basse che però di norma sono più che sufficienti per gli scopi previsti. Come detto però, esistono anche i tag attivi, i quali sostanzialmente possiedono, in più rispetto a quelli passivi, una batteria ed un trasmettitore vero e proprio, il che consente di avere distanze di lavoro che arrivano anche fino a 200 metri!
Esistono anche tag ibridi, che possono essere semi-passivi o semi-attivi. I primi hanno una batteria che generalmente alimenta alcuni sensori per scopi vari, ma in fase di trasmissione sono a tutti gli effetti dei tag passivi. Gli altri invece possiedono una batteria che alimenta un trasmettitore, ma per aumentarne la vita operativa esso è spento e si attiva, sempre per induzione, solamente quando c’è un reader nei paraggi per poi spegnersi di nuovo.
Sempre in funzione della frequenza, abbiamo differenti capacità di trasmissione, intesi come transfer rate al secondo, e nei tag più utilizzati (13,56 Mhz) siamo nell’ordine delle decine/centinaia di kbit/s. Può sembrare una valore molto piccolo, ma non dimentichiamo che ciò che il tag deve trasmettere è solamente un codice alfanumerico univoco dal quale poi il reader, appoggiandosi su servizi web e database, trae tutta una serie virtualmente infinita di informazioni.
In base all’uso necessario, esistono però tag in grado di veicolare un numero di bits molto superiore (salendo di frequenza), ma si tratta di applicazioni per ora più di nicchia. E’ molto importante anche il ruolo della memoria integrata nel tag: di solito essa è solo readonly ed è di pochi bits, giusto quel che serve a contenere un codice di qualche decina di caratteri, ma esistono applicazioni in cui abbiamo necessità di memorie read/write (nel caso delle tecnologie di pagamento vedremo che è così) che possono arrivare anche ad ordini di grandezza del megabyte e con transfer rate decisamente superiori.
La vita operativa di un tag è normalmente molto alta, specie per quelli passivi, in quanto sono a tutti gli effetti dei dispositivi che non consumano energia e che non si degradano quasi per nulla. C’è da dire però che spesso il tag ha una vita effettiva molto breve, in quanto molto spesso esso “muore” nel momento in cui ciò che deve marcare raggiunge l’utente finale, e difficilmente si parla di rigenerazione o rottamazione.
Questo potrebbe alimentare problemi di privacy, in quanto il tag anche se non più funzionale al processo di distribuzione è ancora attivo e potenzialmente chiunque potrebbe leggerne il contenuto. Fin tanto che però il contenuto è banalmente un codice che identifica un prodotto il rischio è limitato, ma che dire di un futuro quando negli RFID potranno esserci molte più informazioni? Certamente bisognerà pianificarne lo smaltimento in maniera più oculata tenendo conto delle possibili informazioni preziose in essi contenute.
Diamo invece ora uno sguardo ad un tecnologia più evoluta ma sempre basata sul principio dell’RFID che è e sarà alla base dei sistemi di pagamento ed interfacciamento di vario tipo tra più dispositivi, come ad esempio il nostro smartphone e la cassa del supermercato: gli NFC. I Near Field Communication sono dei dispositivi, solitamente embedded in altri apparecchi, che integrano le funzionalità di tag e reader nello stesso componente, permettendo a due apparati di dialogare ed interrogarsi vicendevolmente. La distanza operativa è solitamente di poche decine di centimetri (più per scelta che per capacità), e la frequenza maggiormente utilizzata è ancora quella dei 13,56 Mhz.
Tra i due o più dispositivi si instaura una vera e propria comunicazione peer to peer: se passiamo davanti ad una cassa NFC con il nostro iPhone infatti, quest’ultimo si comporta prima da reader per “svegliare la cassa”, e poi da tag per permettere alla cassa di interpretare il ruolo di reader ed accedere ai dati bancari depositati nella SIM o nel telefono stesso.
Gli NFC di per sé costituiscono quindi semplicemente un meccanismo per instaurare una comunicazione sicura tra due dispositivi senza bisogna di contatto o di pin/password da digitare, sono poi le informazioni presenti altrove (sul telefono lato utente, e sui server della banca dalla parte della cassa) a permettere l’esecuzione di un pagamento piuttosto che il ritiro di denaro da un bancomat di prossima generazione.
Chiaramente è assolutamente cruciale la sicurezza dei dati che transitano durante transazioni di questo tipo ed infatti sono state progettate varie tecniche di sicurezza e cifratura, al fine di combattere i più comuni tipi di attacco, e che analizzeremo approfonditamente nei prossimi articoli. Inoltre, c’è sempre l’annoso problema che, ad esempio, se perdessimo il cellulare saremmo esposti a frodi finanziarie molto pericolose: sarà importante quindi proteggere l’accesso stesso al dispositivo in modo adeguato, magari con sensori biometrici molto precisi o con le solite care vecchie password.
La tecnologia sembra quindi pronta a semplificarci la vita, permettendoci di gestire il nostro denaro in maniera più snella ed efficace (è un bene od un male?), e come abbiamo cominciato a vedere alcuni dispositivi sono già presenti negli smartphone di nuova generazione. Certamente ci sono da valutare molti rischi, ma credo che gli standard di sicurezza (come vedremo) siano sufficientemente validi a farci dormire sonni tranquilli. Resta solo da capire quanto invece siamo pronti noi utenti finali a farci coinvolgere da queste innovazioni, soprattutto quanto riteniamo affidabili questi sistemi e quanto ci renderà felici affidare tutti i nostri risparmi a bits che “svolazzano” nell’etere.
Nel prossimo articolo affronteremo tematiche prettamente tecniche, in quanto vedremo la fisica dietro la tecnologia, che sarà un passo fondamentale per capirne meglio il funzionamento, ed infine come avrete già intuito concluderemo parlando degli aspetti di sicurezza che di certo sono quelli che più abbiamo a cuore. Nel darvi appuntamento alla prossima puntata vi lascio con qualche quesito:
Vi piace questo trend? Riuscirete a fidarvi di queste tecnologie? Cose ne pensate del fatto che in futuro tutte le vostre operazioni finanziarie saranno elettroniche e quindi tracciabili?