Gli schermi “scrollabili” di un vecchio Amiga 1000 salvano Red Hat e Novell

La notizia fa un po’ sorridere un amighista di lunga data come me, perché riporta alla mente tanti bei momenti, ma anche pensieri e idee che ho elaborato diversi anni fa.

Intanto affrontiamo l’argomento oggetto del titolo dell’articolo, cioè una causa che era stata intentata da IP Innovation (sussidiaria di Acacia, ben nota corporazione  e non nuova a episodi di questo tipo) nei confronti di Red Hat e Novell per violazione di un brevetto, che mi permetterà di affrontare alcuni concetti dell’Amiga e di AmigaOS in particolare.

Niente di particolare, comunque: si tratta di ordinaria amministrazione, poiché siamo abituati a leggere notizie come questa con cadenza piuttosto frequente e regolare, solitamente citate come azione di cosiddetti patent troll.

La novità sta nel fatto che Red Hat ha chiesto aiuto per trovare quella che sia chiama “prior art”, ossia un precedente che invaliderebbe il brevetto oggetto del contendere e, quindi, le permetterebbe di salvarsi. Siti come Groklaw, specializzati in materia, non hanno perso tempo e in poco tempo un frequentatore aveva già indicato il nome dell’Amiga allo scopo.

In effetti andando a leggere il brevetto, il cui titolo è tutto un programma (“User interface with multiple workspaces for sharing display system objects“) un amighista che si rispetti non può che pensare ai mitici schermi “scrollabili” (“draggable screens“) con cui questa meravigliosa macchina ci ha deliziati.

Dal video è possibile vedere come alcune applicazioni aprano delle finestre sul Workbench (il “desktop” di AmigaOS), mentre lanciandone altre appare uno schermo del tutto indipendente, che può benissimo avere risoluzione, profondità (cioè numero di colori visualizzabili contemporaneamente) e tavolozza dei colori diversi / propri, oltre a grafica ed eventuali finestre e controlli (gadget o widget) dedicati.

In pratica è come avere un’area privata a disposizione. Chi ha dimestichezza coi desktop virtuali sa già cosa intendo, ma con l’Amiga il concetto è più flessibile, in quanto, oltre ad avere caratteristiche proprie ed eventualmente uniche (rispetto agli altri), ogni schermo (ma anche schermi: un programma ne poteva aprire più d’uno!) e gli eventuali oggetti in esso contenuti è direttamente controllato/controllabile dall’applicazione che l’ha creato.

In realtà questi schermi non erano necessariamente privati. Quello aperto dal Workbench era, infatti, pubblico: qualunque applicazione lanciata poteva aprirvi tranquillamente finestre, come tra l’altro si fa normalmente con gli altri sistemi operativi.

A partire dalla versione 2.0 AmigaOS consentì di poter aprire schermi pubblici arbitrariamente. Mentre in precedenza uno schermo aperto da un’applicazione era sostanzialmente di dominio della stessa, con la nuova versione del s.o. era possibile dichiararlo come “pubblico” e, quindi, dare la possibilità ad altri programmi di aprirvi delle finestre e interagirci.

Nulla che non fosse già possibile con appositi hack (l’Amiga per lungo tempo è stato per definizione un sistema “aperto”: le applicazioni potevano anche “invadere” le aree/pertinenze di altri processi, comprese quelle dello stesso s.o.), ma avere il supporto direttamente a livello di s.o. è sicuramente molto più comodo e “standardizzato”.

Passare da uno schermo all’altro era piuttosto semplice. Infatti in alto a destra nella barra del suo titolo erano presenti due gadget che consentivano di spostare lo schermo “indietro” (facendo apparire il prossimo) oppure di mandare in primo piano quello del Workbench. Le stesse funzionalità erano richiamabili premendo i tasti Amiga destro ed M o N rispettivamente.

Ma la peculiarità degli schermi dell’Amiga era quella di poter essere “scrollati”, come dicevo prima e come si vede a partire dalla posizione 7:22 del video. In pratica si poteva “afferrare” la barra del titolo dello schermo e tirarla giù, lasciando intravedere lo schermo (o gli schermi, applicando nuovamente la stessa operazione agli altri) sottostante, passando dall’uno all’altro col mouse e lavorando tranquillamente in quello in cui si trovava il puntatore.

Tutto ciò veniva realizzato tramite il Copper, un coprocessore dedicato presente nel chipset dell’Amiga , col quale era possibile attendere che il pennello elettronico fosse arrivato a una determinata posizione, per poi cambiare i registri dell’hardware riprogrammando ciò che doveva essere visualizzato.

L’unico vincolo era determinato dalla modalità interlacciata, che se abilitata per uno schermo, era “ereditata” anche dagli altri aperti e con esso visibili in quel momento. In pratica la grafica di tutti gli schermi “sfarfallava” (come si soleva dire in gergo): anche di quelli che non erano stati aperti in questa modalità. Questo perché il segnale video televisivo poteva essere tutto interlacciato oppure no, senza “ibridi”.

Risulta evidente, a questo punto, che il brevetto di IP Innovation sia tutt’altro che “innovativo”, in quanto a dicembre del ’90 (ossia quando è stato depositato) milioni di persone avevano già avuto la possibilità di godersi questa tecnologia.

Succede così che un vecchio Amiga 1000 è stato rimesso in piedi da uno dei lettori che ha risposto alla “chiamata” di Groklaw, portandolo dinanzi alla corte e dimostrando, per l’appunto, l’esistenza di un precedente che ha permesso di invalidare il brevetto e far vincere la causa a Red Hat e Novell.

L’Amiga, lo sa bene chi c’è passato, ha rappresentato una fucina di innovazioni. E’ possibile, pertanto, che possa servire per smontare altri casi del genere, ma c’è un pensiero che coltivo da tanti anni: cosa sarebbe successo se Commodore, o una delle aziende che l’ha poi acquisita, avesse fatto valere i diritti per i suoi brevetti?

Giusto per portare un esempio concreto, un altro dei gioielli tecnologici di Amiga è stato l’AutoConfig, cioè la capacità di autoconfigurazione delle risorse presenti nelle schede di espansione, senza quindi richiedere la modifica dei famigerati jumper.

Un altro nome con cui la conosciamo è l’arci noto plug and play, concetto questo che ritroviamo nell’altrettanto noto bus PCI (e nei suoi successori).

E se Commodore avesse fatto causa a Intel e/o Microsoft per l’AutoConfig / PnP? Staremmo ancora qui a parlare di un’azienda fantasma, oppure la sua fine sarebbe stata accelerata, schiacciata da colossi di quel calibro?

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