Smartphone: un mercato che non si presta a banalizzazioni

È un mondo colorato e curioso quello degli smartphone di nuova generazione, un mercato esplosivo che allo stesso tempo suggerisce e contraddice alcune analogie col boom del PC degli anni ’80 e ’90.

Nokia, la prima “Microsoft del mondo smartphone”, con un sistema operativo “aperto”, ha a lungo detenuto e tuttora detiene una quota di mercato maggioritaria nella telefonia mobile. La nuova segmentazione del mercato mobile, che vede gli smartphone top di gamma passare da un pubblico di nicchia all’attenzione del pubblico consumer, vede tuttavia Nokia in una situazione sfavorevole, agganciata a grossi volumi di vendita su prodotti di basso prezzo (ASP, ovvero prezzo medio di vendita, di € 65), come confermato dalle informazioni trimestrali relative al Q3. D’altro canto l’operazione Symbian open source per attrarre nuovi OEM può dirsi archiviata con un fallimento e la necessità di cambiare rotta e passo è più che mai impellente per il colosso finlandese.

Apple, cui va il merito (almeno per le sue casse) di aver innescato l’onda della “consumerizzazione dello smartphone di fascia alta”, oggi controlla una quota di mercato significativa (particolarmente se confrontata a quella cui ci ha abituato il Mac) con ASP molto elevati (oltre i $ 600), ed è portatrice di un rinnovato focus sull’integrazione verticale, che oggi comprende anche l’intero ecosistema dei software applicativi di terze parti.

Sul mercato degli smartphone avanzati anche Google ha speso notevoli sforzi con la piattaforma Android, che secondo alcuni rappresenta “il Windows del mondo smartphone”, con relative profezie di sventura per tutti gli altri. Chi mi legge sa che dissento da questa posizione, come ho scritto qui, e, tant’è, il primo problema di Android oggi è proprio la frammentazione. Un parco hardware estremamente differenziato, numerose personalizzazioni dell’interfaccia, la prospettiva di molti app store differenziati, un percorso di aggiornamento del sistema operativo mediato dai produttori e, soprattutto, dagli operatori TLC. Cionondimeno Android rimane ad oggi la piattaforma di riferimento per la scuola di pensiero “aperta” – le decine di produttori che lo adottano è un dato estremamente chiaro in questo senso – ed il competitor n° 1 per iPhone, almeno in termini di unità vendute.

Il newcomer nella battaglia per la conquista del nuovo mercato smartphone è Microsoft – come cambiano i tempi! – con Windows Phone 7, anch’essa protagonista del vecchio mercato smartphone con Windows Mobile. Un OS che a sua volta soffriva di un forte problema di frammentazione: nell’interfaccia, nella varietà delle configurazione HW su cui girava, nella compatibilità a macchia di leopardo col parco applicazioni. È interessante notare come l’esperienza di WinMo abbia condotto Microsoft a Windows Phone 7, un OS che mette l’accento sulla coerenza e semplicità dell’interfaccia, che in quanto a dotazioni e funzionalità rappresenta l’inverso del feature creep (niente multitasking tanto per dirne una), ma che, coerentemente con questi presupposti promette – è notizia di oggi – di offrire un approccio al patching e all’aggiornamento del tutto indipendente dal controllo degli operatori telefonici, stile iPhone per intenderci.

In un mercato già estremamente competitivo, con la maggior parte dei grandi OEM già presidiati da Android, la strada per WP7 è tuttavia tutt’altro che spianata. Le sue stesse scelte progettuali, che cercano di mediare fra la flessibilità e l’apertura di Android e l’accento sulla semplicità e il controllo della user experience di scuola Apple, è il segno delle contraddizioni che ancora dominano il mercato. Un mercato in cui oltre a non essere ancora emerso un leader assoluto, non è neppure emersa una strada maestra per quel che riguarda i modelli di business.

PS Qualche insistente sostenitore dell’analogia smartphone-PC, argomenterà che nel mercato PC ci sono voluti 15 anni (dal lancio del PC IBM a Windows ’95) per l’incoronazione di MS. Nel caso del PC tuttavia, molto prima di Windows 95 era chiaro quale fosse la strategia vincente per la distribuzione di software: il budling con l’HW, come una Apple giunta a un passo dal fallimento ricorda benissimo. Ai tempi della lotta per la corona del mercato PC oltretutto, non esisteva uno strato unificante come il Web cui fare riferimento per andare oltre l’incompatibilità fra le diverse piattaformw HW; in altre parole l’urgenza di arrivare ad una piattaforma standard de facto per attivare tutte le sinergie dell’informatizzazione era molto più sentita che oggi. Aggiungiamo anche dei ritmi di evoluzione del tutto diversi, per cui 3 anni di oggi somigliano più ai 15 di un trentennio fa che non a quelli occorsi per passare dal PC/XT al PC/AT.

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