Cellule staminali, una speranza per l’uomo

Questo post è stato scritto in collaborazione con Sandra Perticarari, biologa immunologa di Trieste.

È dai tempi del romanzo di Mary Shelley “Frankenstein”che l’uomo ha sempre desiderato di poter disporre di “pezzi di ricambio” per aggiustare ciò che il tempo la malattia o gli incidenti danneggiano del nostro corpo.

Fin da allora l’idea è allettante, ma allo stesso tempo discutibile, nel senso che molti hanno paura che così facendo si vada contro natura, con rischi morali ed etici.

La scienza in questo senso ci ha aiutato, visto che oggi sappiamo che è il nostro corpo stesso a contenere gli strumenti per rigenerare tessuti ammalati o danneggiati, senza bisogno di orrorifiche applicazioni di dubbia tecnologia stile Frankenstein.

Le cellule con queste capacità sono chiamate staminali sono state isolate non solo da pre-embrioni, ma anche da tessuti adulti, da cordone ombelicale e da altre sorgenti non embrionali, e sorprendentemente hanno dimostrato la capacità di trasformarsi in tessuti e tipi cellulari capaci di riparare tessuti danneggiati.

Il termine “cellula staminale ” è utilizzato per indicare una cellula “progenitrice” multi potente in grado di generare molti altri tipi di cellule, nei primi stadi della vita e durante l’accrescimento. Nell’organismo adulto ne esiste una piccola quantità sempre a disposizione, un po’ in tutti i tessuti, ma in misura maggiore nel midollo, per rimpiazzare le cellule nei tessuti danneggiati, e per il normale ricambio cellulare ove previsto, come nel sangue.

Le cellule staminali si distinguono da gli altri tipi cellulari per due caratteristiche importanti:

1) sono cellule non-specializzate con la capacità di rigenerarsi da sole mediante divisione cellulare anche dopo lunghi periodi di inattività, 2) in particolari condizioni, fisiologiche o sperimentali possono diventare cellule di tessuti o organi specifici con funzioni specializzate, come cellule muscolari, del sangue, della pelle, dell’osso.

Sono importanti per riparare i danni durante il corso della vita, in alcuni organi come intestino o midollo osseo si riproducono regolarmente per rimpiazzare le cellule usurate o danneggiate, in altri come muscolo, pancreas o cervello tuttavia si riproducono solo in particolari condizioni, per cui la perdita massiccia di cellule in quei tessuti non può essere ripristinata.

Da anni gli scienziati hanno scoperto che nel midollo o nel sangue del cordone ombelicale alla nascita, ci sono staminali, anche se in numero molto basso (si trovano in una frequenza di 1:100.000 rispetto al totale delle cellule presenti nel midollo) e sono isolabili e conservabili. Esse sono dette anche “staminali adulte” mentre le cellule staminali embrionali si trovano solo nell’embrione.

La differenza fondamentale fra staminali adulte e embrionali consiste nella maggiore pluripotenzialità della cellula embrionale, essa può essere moltiplicata in vitro (cioè in laboratorio) senza perdere la sua forma indifferenziata, quella adulta invece si differenzia prima, e quando è differenziata non è più in grado di moltiplicarsi.

Ciò in termini pratici significa che per poterne fare un uso clinico le cellule staminali adulte devono essere di partenza in buon numero, e preferibilmente prelevate dallo stesso tessuto che si vuole riparare, cosa piuttosto difficile da attuare.

Qual è a oggi lo stato dell’arte sull’impiego in medicina delle cellule staminali adulte? Per le ragioni sopra esposte il campo di maggior utilizzo è quello ematologico. In virtù della relativa facilità di prelievo, espansione e conservazione delle staminali dal midollo osseo, queste possono essere utilizzate nelle malattie del sangue, nei trapianti di midollo, e per rigenerare le cellule midollari danneggiate da radio o chemio terapie.

Un impiego analogo è effettuato con le staminali derivate da cordone ombelicale, che hanno il vantaggio di non indurre “rigetti” se trasfuse in altri ospiti, ma lo svantaggio di essere in numero molto basso e quindi utilizzabili quasi esclusivamente in ambito pediatrico.

La ricerca attualmente è molto attiva nel cercare soluzioni per espandere e cioè moltiplicare il numero di staminali provenienti da midollo o da cordone ombelicale o quelle in numero molto esiguo prelevabili da altri tessuti (cornea, osso, cuore, pancreas) senza che esse perdano la loro miracolosa capacità di riprodursi senza differenziarsi, e possano poi essere trasfuse negli organi dove invece potranno specializzarsi e sostituire le cellule danneggiate.

Questo permetterebbe di curare malattie come infarto cardiaco, diabete o danni neurologici . Ovviamente l’uso di cellule embrionali potrebbe accelerare il corso di queste ricerche. In Italia la ricerca sulle staminali embrionali è proibita per ragioni etiche.

Aldilà della convinzione e della posizione morale di ciascuno, bisogna chiarire che l’embrione di cui si parla è il prodotto di sola e unica fertilizzazione in vitro, arrestata dopo 4 -5 giorni dall’avvenuta fusione dei gameti, alla fase di “blastocisti” cioè di poche cellule aggregate che sono in grado di sviluppare un embrione. Si tratta, in parole povere, di un aggregato di cellule che ben poco ha a che vedere con l’embrione che ci immaginiamo munito di manine e piedini.

Lo studio delle cellule staminali può portare a risultati di estremo interesse anche per la comprensione del nostro corpo. Recentemente, per esempio, si è molto sentito parlare della coppia di ricercatori che ha scoperto la proteina che rende le cellule staminali atte alla proliferazione neurologica.

I ricercatori Iavarone e Lasorella hanno scoperto come la proteina Hawe1 abbia il ruolo di controllore di tutte le altre proteine nelle cellule staminali cerebrali. Ha infatti il ruolo di eliminare tutte le proteine responsabili della produzione di neuroni da parte delle cellule staminali, dopo che lo sviluppo neuronale è completo. La mancanza di questa proteina provoca uno sviluppo incontrollato di neuroni, e quindi il tumore.

Anche se non c’entra strettamente con l’argomento del post, non è bello notare come putroppo troppo spesso si sentano storie di ricercatori italiani che hanno dovuto lasciare l’Italia perché maltrattati e ignorati che vengono improvvisamente elogiati come il miglior prodotto d’italianità solo quando fanno grandi scoperte o vincono premi nobel.

Lo studio svolto alla Columbia University da questa coppia di ricercatori rappresenta un passo avanti di fondamentale importanza per comprendere la natura e il funzionamento del tumore cerebrale, uno dei tumori più pericolosi che ci siano.

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