Un anno dopo il terremoto in Giappone

Un anno dopo il terremoto e conseguente tsunami in Giappone è più facile tirare le somme sull’accaduto. L’11 Marzo 2011 il più grande terremoto che il Giappone abbia mai dovuto subire ha messo in ginocchio l’intero paese. Sappiamo che il territorio nipponico non è certo nuovo ai terremoti, che anzi accadono quasi giornalmente. È però veramente raro che l’intensità raggiunga i livelli delle scosse dello scorso anno. Per vederlo coi propri occhi è sufficiente osservare questo video che riporta tutti i terremoti in Giappone durante il 2011 (attorno al secondo minuto potete chiaramente vedere la dismisura delle scosse avvenute a Marzo):

È facile immaginare le difficoltà che il paese ha affrontato in questo anno. In questo articolo del National Geographics possiamo avere un’idea della magnitudine dello tsunami e osservare il successo della ricostruzione successiva. Ma le conseguenze di questa tragedia sono così profonde che sarà necessario ancora molto tempo per un totale recupero.

Come ricordiamo, la conseguenza di maggior impatto psicologico nel resto del mondo è stato l’incidente alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, che ha avuto luogo in seguito all’impatto con l’onda dello tsunami. L’evento è stato sicuramente di grande impatto, tanto che l’occidente si è spaventato maggiormente per quello che è successo alla centrale che per il terremoto e lo tsunami che lo hanno causato. Come ricordate, io sono sempre stata alquanto critica da questo punto di vista: ad oggi sono più di 15mila le vittime dirette del terremoto (che superano i 20mila considerando i dispersi), mentre l’incidente alla centrale non ha causato nessuna vittima. La discussione su questo punto è sicuramente molto accesa, ma non riesco veramente a prendere sul serio i giornalisti che scrivono articoli come questo, in cui si confondono le vittime dello tsunami con quelle dell’incidente nucleare (manipolando quindi l’opinione pubblica). Ciò non di meno, è importante considerare gli effetti a lungo termine di entrambi questi eventi. Recentemente è apparso un interessante e molto ben fatto articolo sul sito di Nature, pubblicato anche sula rivista di divulgazione scientifica Scientific American (tradotto in italiano come Le Scienze – anche se l’articolo in Italiano non è lo stesso, ma è altrettanto interessante). A questo punto potrei chiudere il mio post, perché quello che voglio dire è scritto molto meglio di quanto posso fare io sul sito di Nature. Vi invito quindi a leggere direttamente quell’articolo, che qui mi limito a commentare.

Come ricordiamo anche dal post di Simone, uno dei principali problemi che il Giappone ha dovuto affrontare a seguito del terremoto e incidente nucleare è il problema energetico. Qui trovate un interessante articolo sull’argomento, in un blog nato attorno al referendum sul nucleare avvenuto in Italia lo scorso anno. Fondamentalmente oltre alla centrale di Fukushima 52 delle 54 centrali nucleari attive in Giappone sono state spente. Poiché il Giappone è un paese privo di risorse naturali, quali petrolio e gas, e le fonti di energia alternativa sono al momento ancora non ben sviluppate e decisamente insufficienti per fornire abbastanza energia alla terza potenza industrializzata del mondo, il paese si è trovato in una situazione veramente tragica. Inizialmente l’energia era razionata a ore, permettendo alle aziende di lavorare solo qualche ora al giorno, e in seguito il Giappone ha dovuto aumentare enormemente l’importazione di gas e petrolio dall’estero, rendendosi per la prima volta dipendente per il 70% da paesi stranieri. Ovviamente un piano di risparmio energetico molto severo è stato messo in atto, ma è anche chiaro che la situazione non è sostenibile in questa forma nel lungo termine. Il Giappone, come molti altri stati nel mondo, si è spaventato enormemente per l’incidente di Fukushima, e sta attualmente sperando di poter sostituire l’energia nucleare con qualche altra forma di energia. Per il momento questo non sembra essere possibile, ma forse in momenti di crisi si prendono delle decisioni che in altri momenti non si ha il coraggio di prendere, e qualche cosa cambierà. Certo, attualmente il futuro energetico del Giappone, senza nucleare, non sembra alquanto roseo.

D’altro canto, come è sottolineato nell’aticolo su Nature, il terrore nei confronti del nucleare non è particolarmente giustificato dall’incidente di Fukushima. Come avevamo già accennato in questo post, anche sull’articolo citato è spiegato come l’incidente di Fukushima non avesse niente a che vedere con Chernobyl, dove l’emissione di radiazione è stata esplosiva e su vasta scala. A Fukushima la perdita di materiale radioattivo è stata lenta e circosritta: l’area di evacuazione è di 30 km a nord e 20 km a sud della centrale, e queste cifre sono state scelte abbondando sulla sicurezza (cosa che, ovviamente, non fa mai male). Anche i tecnici che si sono occupati della gestione della centrale durante le prime settimane dopo l’incidente, e che quindi sono coloro che hanno subito la dose di radiazione maggiore, non hanno superato i 500-600 mSv (qui per ricordarsi cosa sono i Sievert e qui per ricordarsi cosa vuol dire radioattività), infatti nessuno di loro ha avuto i sintomi di avvelenamento da radiazione, tipici dell’esposizione a dosi altissime (e spesso letali). Il governo giapponese ha anche cominciato un processo di screening sulla tiroide dei bambini residenti nella prefettura di Fukushima, che avverrà per i prossimi 20 anni. Dopo un anno non sono stati rilevati casi di avvelenamento da radiazione per ingestione di cibo o acqua radioattiva.

L’uomo ha paura delle emissioni radioattive perché sono qualcosa di invisibile, che può agire sul nostro corpo senza che noi ce ne rendiamo conto, e farci del male. Purtroppo, però, le radiazioni non sono l’unica cosa invisibile che può farci del male. Anzi, non sono nemmeno la cosa più invisibile (infatti il cibo può essere facilmente controllato con un semplice contatore geiger). Il Giappone intero, e soprattutto la prefettura di Fukushima – la più colpita dallo tsunami – ha un sacco di altri fantasmi da combattere, oltre alla radiazione. Sempre seguendo l’articolo apparsi sul sito di Nature, notiamo come molte altre conseguenze del terremoto mettono a rischio la salute degli abitanti. In primo luogo, la stessa carenza energetica. Sembra una cosa banale, ma per le persone anziane che devono essere ricoverate in ospedale, pazienti che hanno bisogno di ossigeno distribuito artificialmente, anche chi ha semplicemente bisogno costantemente di medicinali salvavita, essere al buio e senza energia può rappresentare un problema enorme. Gli ospedali hanno dovuto agire d’urgenza tanto quanto le centrali nucleari. E ancora oggi non tutto è tornato alla normalità. Molti anziani sono tagliati fuori dalla società fondamentalmente chiusi in casa e senza accesso a telefono o mezzi pubblici. Questo, oltre ad avere conseguenze sulla salute fisica delle persone, ha un incredibile impatto psicologico. Ad oggi, ciò che ha mietuto il maggior numero di vittime indirette (quindi non i 20mila dello tsunami) sono le conseguenze psicologiche di questa tragedia. Anziani tagliati fuori dal mondo, persone rimaste sole che hanno visto tutta la propria famiglia rimanere vittima dello tsunami, persone che non hanno accesso alla corrente elettrica, che hanno perso la propria casa, persone che, in un modo o nell’altro, hanno perso l’essenza della propria esistenza durante il terremoto, oggi fanno fatica a sopravvivere. Oltre all’aspetto psicologico, ci sono altre cose da temere: il terremoto non ha causato solo l’incidente alla centrale nucleare, ma molte altre industrie sono state gravemente danneggiate. Tra esse, industrie chimiche hanno disperso materiale altrettanto pericoloso delle radiazioni, e decisamente più difficile da rilevare. Effetti a lungo termine dovuti da questo tipo di avvelenamento non sono da sottovalutare.

Insomma, gli effetti del terremoto e dell’incidente di Fukushima non sono ancora dimenticati, ma anzi, sono attualmente una grande sfida per rendere di nuovo il Giappone un paese economicamente e socialmente competitivo. Per questo è importante non cadere nel tranello della semplficazione, concentrando la propria paura e il proprio odio solo verso un unico nemico, quando invece gli aspetti da considerare sono moltissimi.

Di certo continuo a pensare che abbiamo tantissime cose da imparare da questo tragico evento. La centrale di Fukushima era una centrale vecchia, che ha subito il danno di un evento di dimensioni epiche e, come tale, rarissimo. Alcune cose sono andate meglio di quello che si sarebbe potuto aspettare, mentre altre sono andate peggio. Per esempio è chiaro che ci deve essere un sistema energetico alternativo quando la centrale rimane senza fonti di corrente, e che le batterie di sostegno che avevano a Fukushima non erano sufficienti. I sistemi di sicurezza nelle centrali nucleari (come in qualsiasi altra cosa che coinvolge la salute della popolazione) non sono mai abbastanza ed è necessario prevedere ogni tipo di evento, anche il più raro. Il governo giapponese ha messo in atto un piano di evacuazione molto rapido ed efficace, e questo genere di attività sono estremamente importanti, non solo nel caso di incidenti nucleari.

Insomma, pensando alle 20 mila vittime dello scorso anno, spero che le loro morti non siano vane, e che l’uomo impari che la paura va controllata e, anzi, sfruttata per migliorare il nostro futuro.

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