Avaaz, sarebbe questa la democrazia 2.0?

“Avaaz è la comunità che si crea intorno a una campagna che porta la politica dei cittadini nel processo decisionale in tutto il mondo.”

È con questa mission piuttosto indecifrabile, che si identifica una ONG americana che fa attivismo riguardo a tematiche ambientali, politiche, legate ai diritti umani.

In pratica si tratta di una rete che raccoglie una ricca mailing list di “attivisti” – fra poco spiegherò il perché delle virgolette – sollecitati, spesso da celebrità aderenti al progetto, su tematiche scottanti.

Personalmente sono iscritto ad Avaaz da poco più di un anno, quando mi “attivai” per salvare la vita a Sakineh Ashtiani, accusata di adulterio e poi di aver assassinato il marito in condizioni di diritto perlomeno incerte.

Da allora ricevo con regolarità mail in cui mi si chiede volta per volta di “agire” per salvare i cani randagi, le foreste amazzoniche, la libertà della rete, il mondo per come l’abbiamo conosciuto (cause queste che Avaaz ricava da sondaggi sulla stessa comunità utente). Mail che contengono un link che consente di firmare la petizione del caso, cui segue un’altra mail di conferma in cui si ringrazia di aver “agito”. Eventualmente, nel caso in cui la causa per cui ci si è attivati abbia assunto un esito positivo, i solleciti attivisti di Avaaz non esitano a inviare una mail grondante di soddisfazione: “abbiamo vinto!”.

Dopo alcuni click quasi inconsapevoli a sostegno di varie cause, ho iniziato a nutrire qualche dubbio sulla validità dell’iniziativa. Qual è il reale peso che simili petizioni hanno sulle questioni che affrontano? In che modo queste pile di adesioni – non certo autenticate – finiscono per pesare sulle stanze dei bottoni? In che modo il governo della Bolivia è stato influenzato da una “consegna spettacolare” delle suddette adesioni? C’è proporzionalità fra i risultati e i proclami di vittoria?

Sia chiaro, ho a cuore l’attivismo in tutte le sue forme, ma siamo sicuri che questo sia vero attivismo? O non è più simile ai tanti tormentoni più o meno disinformati, che su Facebook si creano in opposizione alle cause più svariate, cause pronte ad essere dimenticate dopo un click?

Personalmente inizia a disturbarmi l’idea che queste organizzazioni fanno passare sotto l’uscio: che si possano risolvere i problemi del mondo con un click. Che non ci sia bisogno nemmeno di alzarsi dalla sedia, di autenticare una firma, men che meno di scendere in piazza al freddo, per influire sulle decisioni delle alte sfere. Un problema reso ancor più fastidioso dal fatto che spesso queste cause – forse proprio perché user-generated – veicolano dosi cospicue di disinformazione (qui ArsTechnica chiarisce alcune distorsioni su ACTA). Disinformazione che finisce  anch’essa oscurata, condonata, dall’intrinseca nobiltà della causa e dalla semplicità del gesto.

Mi si dirà: aderire è poco, ma meglio poco che niente. Rispondo: meglio niente in cambio di niente, che niente pensando di aver fatto qualcosa.

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