Google contro i dissidenti

google prigioneGoogle, paladina della libertà, ha ammesso lunedì scorso di aver aiutato la polizia indiana nella caccia a Rahul Krishnakumar Vaid, 22enne, impiegato nel settore IT e residente a Gurgaon, India.

Ma per quale motivo tutto questo accanimento nei confronti del giovane indiano? Semplicemente perché è accusato di aver postato frasi volgari contro un personaggio politico indiano.

L’editto indiano.

Ufficiali indiani, dichiarano che Vaid ha violato, per oscenità, le leggi nazionali dell’ “Information Technology Act” del 2000, avendo postato frasi volgari contro Sonia Gandhi, all’interno di una comunità virtuale di Orkut chiamata, nello specifico: “Io odio Sonia Gandhi”.

Un attivista del congresso indiano, Arnol Bhokare, lamentandosi delle frasi offensive presenti sul sito ha di fatto lanciato la crociata contro Vaid. La cyber-polizia della città di Pune, ha immediatamente contattato Google, proprietaria di Orkut, per ricevere assistenza nel riconoscimento del postatore ribelle, cosa che ha portato subito ad identificare il lestofante e a procedere al suo arresto.

Durante l’interrogatorio della polizia, sembra che il giovane abbia dichiarato di non sapere che si potesse andare in prigione per l’inserimento di alcuni post all’interno una community online; elemento avvalorato anche dal fatto che Vaid postava con il suo indirizzo email reale, indirizzo che contiene praticamente tutto il suo nome: Rahulvaidindia@gmail.com

Un cyber-criminale non troppo furbo.

Contrariamente a quanto è accaduto a Vaid, il leader e creatore di “Io odio Sonia Gandhi” non è stato arrestato, perché le leggi indiane permettono le espressioni di dissenso nei confronti del governo, quello che non permettono sono invece le espressioni che includono sacrilegio ed oscenità, motivo per il quale molto probabilmente il povero 22enne è stato messo al fresco.

Esprimere dissenso sì, ma con ordine e disciplina.

Google, da parte sua, dichiara di supportare da sempre la libertà di espressione dei suoi utenti e che però, in questo caso, si è trovata costretta a rivelare l’identità di Vaid perché l’azione presa rientrava all’interno della politica aziendale di accordi con le leggi locali e le persecuzioni penali.

Questa però pare un’abitudine, più che un’eccezione, perciò molte organizzazioni per la tutela dei diritti umani e il Congresso degli Stati Uniti stanno iniziando a prendersi nota di tutte le aziende americane che hanno aiutato e continuano ad aiutare governi stranieri nell’annientamento dei dissidenti locali. Famoso è il caso di Jerry Yang, CEO Yahoo, che testimoniò che la sua azienda aiutò il governo cinese nell’arresto di un giornalista scomodo.

Ma una azienda come Google, non dovrebbe proteggere i diritti propri utenti?

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