

In realtà le cose non sono andate proprio così, ma c’è invece un problema che esisteva allora e che cresce costantemente: la temperatura di esercizio dei microprocessori. Nonostante la miniaturizzazione dei transistor, l’aumento delle frequenza ha ultimamente portato il concetto di raffreddamento a liquido anche nel mondo dei pc casalinghi, specialmente quelli ultraperformanti dei giocatori più incalliti.
Quella che all’inizio era un’idea un po’ balzana, ancorché sensata, è al giorno d’oggi una realtà per un numero sempre maggiore di persone, ma anch’essa non è esente da difetti; il principale problema di questa tecnologia è che il liquido più economico e comune – l’acqua – bolle a una temperatura non impossibile da raggiungere all’interno di un computer. La formazione di vapore è in grado di generare una “pellicola” che degrada le prestazioni del sistema, e quindi abbassa il potere di raffreddamento.
Ari Gletzer ha trovato un modo di rallentare questo processo, come scrive NewsScientist: sostanzialmente inserendo uno speaker sulla faccia opposta di un ipotetico cubo pieno di liquido (l’altra faccia sarebbe a contatto con la superficie da raffreddare) e proiettando un suono a circa 1 kilohertz, si riuscirebbe ad abbattere la temperatura di quasi il 150% in più rispetto a un sistema tradizionale a liquido. E per giunta i risultati migliori si otterrebbero nel piccolo spazio, cioè con pochi millimetri di liquido tra lo speaker e il processore, una vera manna per i costruttori di sistemi di raffreddamento per PC.
La notizia buona è che questa tecnologia può servire anche per altri scopi, ad esempio nel raffreddamento di componenti aerospaziali. La cattiva è che l’orecchio umano percepisce suoni tra i 20 e i 20.000 Hz, quindi l’ipotetico suono risultante si sommerebbe a quello della ventola dell’alimentatore.
In un modo o nell’altro i miei amici avevano ragione…