

A questo proposito, è difficile trovare un titolo che meglio di Lemmings (1991) combini immediatezza e divertimento: un gioco che tante diottrie è costato a schiere di videogiocatori esposti alle radiazioni di vetusti CRT, di cui ci occuperemo in questa nuova puntata della rubrica dedicata al “rinascimento informatico”.
Parlare di Lemmings è semplice e complesso allo stesso tempo: la struttura del gioco consiste nell’aiutare schiere di ometti ad uscire da quadri dalle più varie forme, sempre più pieni di ostacoli, assegnando ad alcuni od ognuno di loro varie abilità speciali. Il tutto in un tempo limitato, con il minimo possibile di perdite.
Sembra facile eh? Non lo è affatto: mano a mano che si progredisce per i 120 livelli del titolo originale, per i nostri poveri lemmings la strada che porta verso il quadro successivo è sempre più irta di enigmi, trabocchetti e pericoli mortali.

I livelli di difficoltà disponibili sono 4 ed a ciascuno di loro corrisponde una serie di livelli di complessità crescente: limiti di tempo restrittivi o scenari estremamente intricati mettono il giocatore nell’obbligo di scervellarsi per giungere a posizioni apparentemente impossibili, o piuttosto di prendere delle decisioni fulminee, prima che il tempo si esaurisca o che alle malcapitate creaturine tocchi in sorte una morte violenta.
Il che finisce per generare una vera dipendenza fisica, un senso di sfida che si rinnova livello dopo livello, ma che coinvolge molto più di quello trasmesso da puzzle più “statici”.

L’immediato successo ne suggerì subito la conversione su moltissime piattaforme, mentre numerosi sequel non sempre all’altezza dell’originale furono realizzati negli anni successivi. Innumerevoli sono anche i porting “postumi”, fra i quali segnalo questa “conversione” in DHTML, fruibile da browser.
Ciò che a vent’anni di distanza è più difficile notare, è che Lemmings rappresentò un titolo controcorrente rispetto quella pletora di giochi, più o meno validi, che negli anni ’90 mettevano alla frusta l’hardware con una grafica spettacolare, bidimensionale o addirittura in 3D.
Va dunque riconosciuto alla Psygnosis – una software house il cui successo fu sempre legato a titoli graficamente impeccabili come Shadow of the Beast – il coraggio di puntare tutto sulla semplicità e l’immediatezza del gameplay, veri antidoti contro quel “consumismo informatico” a cui la dittatura dei requisiti di sistema ci ha ridotto negli ultimi anni.