Go Go Ackman: uno strampalato platform dal creatore di DragonBall


Le collaborazioni, o contaminazioni a seconda dei punti di vista, tra diversi settori dell’industria dell’intrattenimento sono ormai all’ordine del giorno.
E’ sufficiente guardare il palinsesto dei film proiettati al cinema o in lavorazione per rendersene conto: Iron Man 2, i futuri Thor e The Green Lantern, il quarto Spiderman che arriverà, temo, tra un paio d’anni e via discorrendo.

Ma anche l’industry ha fornito sempre più spunti negli ultimi anni a cominciare dalla saga multimilionaria di Resident Evil, passando per Silent Hill, i meno roboanti Street Fighter (che sta per tornare sugli schermi, occhio) e Mortal Kombat.
D’altra parte nella penuria di script originali, gli sceneggiatori si sono accorti che qualcosa di buono era stato fatto anche nel “meno nobile” mondo dei videogiochi.
Il discorso vale però anche nell’altro senso.

A partire dalla fine degli anni ‘80 i personaggi più celebri delle strisce americane, Marvel e DC in particolare, si sono dati battaglia sulle console di terza e soprattutto quarta generazione.
Anche Hollywood ha dato il suo contributo con politiche di licensing per trasformare alcune icone cinematografiche in eroi del piccolo schermo ludico.
Solitamente questi tentativi sono meno fortunati perché si tende a far uscire il gioco in contemporanea con il film mentre lo sviluppo del software richiederebbe forse altre tempistiche.
Nonostante tutto chi ha giocato alla saga di Guerre Stellari su Super Nintendo non può che ricordarla come una felice, felicissima trasposizione delle avventure di Lucas.

Ma il mondo che in quegli anni si ispirava di più alle creazioni su carta era, ancora una volta, quello orientale.
Si fa fatica a tenere il conto di quanti titoli siano stati prodotti sulla base dei manga e anime pubblicati in Giappone. Ovviamente con un’ampia casistica, possiamo trovare la serie sfortunata (e la mente corre subito ad Hokuto No Ken, già ampiamente trattato nei suoi innumerevoli flop), sia la piacevole sorpresa.
Go! Go! Ackman suonerà probabilmente sconosciuto ai più, anche perché trattasi di materiale only-jap, eppure, giocandoci, risulta a tutti gli effetti una piacevole sorpresa.

Trattasi di un personaggio inventato dalla geniale mente di Akira Toriyama, l’uomo che, vi piaccia o meno, ha consegnato alla storia DragonBall, forse il primo vero fenomeno mondiale nato dalla penna di un disegnatore nipponico.
Dal 1993 al 1994 con cadenza irregolare vengono pubblicate su V-Jump le avventure di Ackman, un piccolo e simpatico demone ultracentenario che persegue il compito di raccogliere anime per il suo burbero datore di lavoro, ovvero Il Signore Oscuro.
Fin dalle prime immagini potete notare la stretta somiglianza proprio con uno dei protagonisti del manga delle sfere del drago: il taglio ed il colore di capelli riporta alla mente Trunks, seppur condito da un paio di orecchie prominenti ed uno sguardo un filino più demoniaco.

Nonostante la produzione un po’ di nicchia e la relativa lunghezza del fumetto, la critica accoglie favorevolmente l’operato di Toriyama tanto da convincerlo a ripubblicarlo successivamente, in bianco e nero stavolta.
Banpresto, la quale già deteneva i diritti di sfruttamento proprio del merchandising legato a Dragonball, decide di farci un pensierino e nel 1994, in qualità di developer e publisher al tempo stesso, rilascia il videogioco omonimo per Super Famicom.

Il primo capitolo (già perché in un solo anno riusciranno a farne una trilogia) non spicca granché per originalità, forse perché pressati da tempistiche un po’ strette. Nel cercare di massimizzare il successo del manga il team di sviluppo, con la direzione dello stesso Toriyama, prende elementi dei platform di maggior successo, da Super Mario a Megaman per il sistema di power up, Bomberman per l’uso della bomba come fuoco secondario.
Il sistema di controllo e l’armamento sono piuttosto intuitivi, di positivo da segnalare l’idea di non perdere le armi (come avviene in Metal Slug ad esempio) nel momento in cui si perde una vita a patto di non subire il classico e tristissimo “game over”.
La grafica ed il character design di stampo decisamente super-deformed (quella tipologia di caratterizzazione dei personaggi sproporzionati tra testa e resto del corpo, molto di moda in Giappone) sono però un tratto distintivo fin dal primo episodio e rimarranno nel proseguo della serie.

Il secondo capitolo pur presentando diverse novità non eccelle a livello di gameplay ma è comunque una tappa importante nell’evoluzione di Ackman come videogioco.
Il nostro protagonista ora è dotato di un nuovo set di mosse, tra cui una presa e la possibilità di upgradare il livello di fuoco delle armi fino a tre stadi.
Lo spirito che anima il videogioco è ancor più demenziale e se nel primo forse solo il personaggio di Luigi XIV appariva sopra le righe, qui assistiamo ad una carrellata di stereotipi, soprattutto occidentali, resi ridicoli a cominciare dall’immancabile Elvis fino ad arrivare all’Afro tipico dei 70s.

Ma è con il terzo ed ultimo episodio della saga che arriviamo finalmente ad titolo davvero godibile sia dal punto di vista tecnico sia per la giocabilità.
Viene introdotto Tenshi, un cherubino originariamente nemesi del “diabolico” Ackman, si ritrova insieme al suo eterno nemico ad essere braccato dalla “Forza di Polizia Angelica”.
Il capo di questo corpo speciale è chiaramente una caricatura spinta dei poliziotti del Blue Oyster, il “bar dei finocchi” così ribattezzato in una delle più classiche gag del film Police Academy ( o Scuola di Polizia se preferite la nomenclatura cinematografica italiana).
Questo è in realtà solo uno dei momenti di comicità tipicamente orientale che potete trovare all’interno del videogioco, il quale per altro è, come accennato in precedenza, tutt’altro che disprezzabile tecnicamente.

La fisica dei movimenti ed il sistema di controllo è ripreso pari pari al secondo capitolo; ciò che cambia in meglio è il bilanciamento della difficoltà e l’intelligenza artificiale dei nemici i quali rendono Ackman 3 molto meno frustrante e ripetitivo dei predecessori, con una storia e una dinamica dei personaggi più distante rispetto al manga e quindi con spunti decisamente più originali rispetto a quel che poteva essere una banale trasposizione del fumetto in pixel.
Se amate i platform, vi piacciono i titoli dissacranti e sopra le righe allora credo dobbiate dare una chance ad Ackman, in particolare al terzo episodio.

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