Continuiamo col secondo contributo di Matteo Fossati, a cui lascio volentieri la parola per un nuovo contributo sul tema fotografico. Yossarian
Eccoci giunti al secondo appuntamento dove andremo ad approfondire come è stato gestito il passaggio dalla pellicola al digitale partendo dall’ elemento base e quindi dalla sostituzione della pellicola con un elemento fotosensibile in grado di convertire la luce in una manciata di bit e che ripercussioni ha avuto questo passaggio sull’ intero sistema “macchina fotografica”.
Come ho accennato nell’ultimo articolo il formato 135 della pellicola non è uno standard creato “ad hoc” per la fotografia ma è stato adattato alla fotografia mantenendo foratura e dimensioni del fomato 35mm di uso cinematografico. Leica è stata la prima ad utilizzare questo formato (che ai tempi era considerato un “piccolo formato” mentre oggi è più comunemente noto come “formato pieno” ) e nel tempo è diventato non solo standard di riferimento per tutte le altre case costruttrici ma anche convenzionalmente il “metro di misura” per la valutazione del campo inquadrato dagli obbiettivi di diversa lunghezza focale.
Fatta questa piccola premessa torniamo ai nostri tempi e vediamo cosa succede quando andiamo in negozio ad acquistare una macchina fotografica.
Arriviamo davanti al bancone del centro commerciale e ci immergiamo nella jungla della fotografia digitale fatta di compatte , bridge ultrazoom , reflex aps-c , reflex full frame e recentemente introdotte le micro 4/3, aggiungendo poi le fotocamere integrate in cellulari , smartphone e consolle portatili completiamo una vasta collezione di apparecchi in grado di scattare una fotografia digitale.
I soli parametri di riferimento che più comunemente troviamo parlano di megapixel e zoom (nel formato 12x) , ultimamente cominciamo a trovare indicazioni sulla sensibilità ISO ed il resto è un po’ troppo “roba da fotografi” , lunghezze focali espresse in millimetri , sensor size espresse in frazioni di pollici ecc..ecc..
Questa moltitudine di offerte rende evidente che il passaggio dalla pellicola 35mm al digitale sia stato sviluppato seguendo diverse strade , se dapprima la reperibilità delle pellicole e le relative procedure di sviluppo dei negativi spingevano tutti i produttori a lavorare con un unico formato (o perlomeno un numero ridotto di formati) oggi invece le case hanno a disposizione un ventaglio di possibilità molto ampio , non solo per dimensioni ma anche per rapporto dimensionale (rapporto tra larghezza ed altezza del fotogramma) , di sicuro la transizione non si è certo limitata alla sostituzione dell’ elemento sensibile alla luce.
A partire dai piccoli sensori in 4:3 da 1/2.5″ (che misurano circa 5.8mm x 4.3mm) passando per l’ APS-C in 3:2 (che misura 23.7mm x 15.7mm) a tornare al formato pieno (36mm x 24mm) le case costruttrici diversificano i loro prodotti in base a dimensioni , costi e target di vendita.
La scelta della dimensione del sensore ha ovviamente importantissime ripercussioni su tutto il sistema , un sensore di dimensioni ridotte ha bisogno di essere “illluminato” da una lente con un raggio copertura relativamente ridotto il che significa meno vetro ottico e quindi peso , dimensioni e costi inferiori.
L’ impatto sulla scelta dell’ ottica è la conseguenza più diretta causata dalla scelta di un sensore non a formato pieno , in fotografia la porzione (o ampiezza) di realtà catturata è sempre stata espressa in millimetri di lunghezza focale dell’ ottica riferita al formato 35mm e questa misura altri non è che la distanza tra il centro ottico dell’ obbiettivo ed il piano sensibile (sensore o pellicola che sia).
La lunghezza focale è una misura che dipende strettamente dallo schema ottico dell’ obbiettivo utilizzato ed è fissa e misurabile , guardando pero’ la comparazione (postata sopra) tra le dimensioni dei sensori è facile intuire che a parità di immagine avere sensori di diversa dimensione comporta una variazione del campo inquadrato rendendo un po’ più complicato il descrivere quantitativamente che porzione di campo una determinata lente cattura.
Ma vediamo di capire innanzitutto di cosa parliamo quando parliamo di campo inquadrato.Il nostro occhio funziona pressapoco come una macchina fotografica , non è possibile dare un valore preciso ed universale del campo inquadrato dalla nostra vista ma si può convenzionalmente e con una ragionevole approssimazione ritenere che il nostro occhio lavori con un angoli di campo compreso tra i 65° ed i 45° , questi angoli di campo in formato 35mm si ottengono usando obbiettivi con lunghezza focale tra i 35mm ed i 50mm ma come resa prospettica (ovvero la rappresentazione in prospettiva di elementi che non sono sullo stesso piano) possiamo approssimare che il nostro modo di vedere lavori in modo simile ad una lente con lunghezza focale di 50mm (qualcosina meno nella realta’).
Un test empirico ma efficace lo si puo’ eseguire guardando nel mirino di una reflex tenendo contemporaneamente aperto l’ altro , con lunghezze focali comprese tra quelle sopra citate riusciamo ad avere una visione similare con entrambi gli occhi seppur la visione di un occhio sia TTL (quindi Through The Lens -> attraverso la lente).
Tornando quindi alla nostra macchina fotografica cerchiamo di capire come trovare un sistema valido per tutti i sistemi lente/sensore di diversa dimensione per descrivere innanzitutto che porzione di campo viene inquadrato.
Giusto per non sottolineare ancora una volta quanta importanza il formato 135 abbia avuto per la fotografia , eccoci convenzionalmente a rapportare in formato 35mm tutti i sistemi esistenti.
Sul frontale dell’obbiettivo troviamo sempre l’ indicazione in mm della lunghezza focale della lente che equipaggia la nostra macchina , nel nostro esempio uno zoom (e quindi una lente con lunghezza focale variabile) con focale minima di 7.7 e massima di 23.1mm. Queste misure senza conoscere il rapporto tra le dimensioni del sensore della macchina riferite al formato pieno ci dicono molto poco (dalle misure sembrerebbe un ultragrandangolare) ed ecco che ci serve un’ ulteriore valore numerico che ci permetta di trovare una equivalenza con il 35mm.
Il sensore che equipaggia la nostra compatta è da 1/1.8″ , misura 7.2mm x 5.35mm con diagonale da 9mm. Il formato pieno ha sensore 36mm x 24mm e diagonale di 43.3mm. Il rapporto tra la lunghezza delle diagonali ci permette di sapere quindi che il nostro sensore è 4,81 volte piu’ piccolo del sensore a formato pieno , andando a ritagliare una zona più piccola rispetto al formato pieno , il nostro zoom 7.7-23.1mm quindi si comporterà (come campo inquadrato) come uno zoom 37mm-111mm in formato 35mm.
E’ evidente quindi che l’ introduzione di sensori di misure più piccole rispetto al formato pieno permettano di godere di un fattore di moltiplicazione che diventa tanto piu’ importante quanto il sensore diventa piccolo , questo permette di avere grandi escursioni ed un notevole allungamento in campo tele (oltre gli 80/100mm) e non a caso li troviamo parecchio diffusi in tutte quelle compatte con zoom a due cifre (10x , 18x , 20x) , valore ottenuto dalla divisione della massima focale per la minima (nell’ esempio un 3x visto che 23.1mm/7.7mm=3).Il sensore ridotto quindi pare essere la panacea della fotografia , peso ed ingombri ridotti , grandi escursioni e prezzo contenuto ma purtroppo manca ancora una considerazione piuttosto importante da fare.
Qui a fianco ho ritratto la medesima scena in luce controllata , dapprima con una compatta con sensore 1/1.8″ (Canon Ixus 700 a 111mm equivalenti ed F4.9) e successivamente con una macchina professionale a formato pieno (Canon 1DsmkIII con Canon EF 70-200F2.8 L IS 110mm circa ed F5.0).Tralasciamo per ora la questione qualitativa strettamente legata all’ ottica (contrasto inferiore , aberrazioni blu ecc..ecc..) , la prima cosa che salta all’ occhio è la differente resa nei diversi piani componenti la scena.
Nel fotogramma scattato con la compatta non si notano enormi differenze tra la bottiglia in primo piano e quella in secondo piano mentre in quella scattata con la Reflex a formato pieno lo stacco tra i diversi piani è decisamente più netto. Eccoci qui a scontrarci con un nuovo ed importantissimo fattore da tenere in considerazione , ovvero la porzione di fotogramma a fuoco in gergo tecnico la profondità di campo (PDC).
Tratteremo in modo piu’ approfondito la profondità di campo nel prossimo articolo , non solo dal punto di vista tecnico ma valutando come una corretta gestione della profondità di campo sia importantissima anche dal punto di vista compositivo. Per chi ha voglia di perdere qualche secondo trovate un piccolo “indizio” riguardo uno dei prossimi appuntamenti nell’ immagine del “finto” negativo postata all’ inizio dell’ articolo…
“la prima cosa che salta all’ occhio è la differente resa nei diversi piani conponenti la scena”
Usate un traduttore automatico per gli articoli oppure è tutto frutto di una fortunata serie di “licenze poetiche”???
Non uso nessun traduttore ;) e sentirmi dire che sono un poeta farebbe ridere a crepapelle il mio ex professore di Italiano oltre a far sorridere me.
Semplicemente è un modo un po’ piu’ sintetico ed elegante per far notare che le macchine con sensore piccolo hanno PDC molto estesa e non sfocano mentre quelle con sensore più grande hanno PDC più ristretta e quindi possono sfocare , il tutto a parità di apertura del diaframma e a parità di campo inquadrato.
Ma è sintetico perchè la m ha una “gambetta” in meno della n ???
@ Luigi
un errore di battitura può capitare. Sai, la m e la n sono piuttosto vicine sulla tastiera…………..
Altro da aggiungere, magari a commento del contenuto dell’articolo?
Fosse solo la “m”… povera lingua italiana.
Vorrà dire che torneremo a esprimerci a gesti (youtube?).
Buona giornata.
Interessante, da fotografo (molto)occasionale non mi ero mai reso conto della pdc differente.
P.S. nell’articolo hai dimenticato di specificare la distanza di messa a fuoco usata nel test. Perchè se la compatta ha un autofocus che sceglie la distanza media tra i due oggetti, mentre la reflex l’hai messa manualmente sulla bottiglia più vicina … :)
@ Luigi
grazie per aver partecipato.
Certo che avete usato una lente mica da ridere per far vedere la differenza tra una compatta e una reflex ;-)
E cmq e’ impressionante il fatto che nella compatta sia tutto a fuoco (compreso lo scotch che ferma il cartoncino per lo sfondo) mentre con la 1Ds e’ a fuoco SOLO l’etichetta.
@nip
Qualche informazione in più nella metodologia di ripresa delle due immagini comparate.
La distanza di messa a fuoco è di circa ad 1,5m , ho lasciato una decina di cm in più rispetto alla minima distanza di messa a fuoco del 70-200/2.8 L IS (che è di 1,4m).
La messa a fuoco con la compatta è stata forzata sulla prima bottiglia , ho ritenuto di avere una risultato accettabile facendo eseguire la messa a fuoco sulla bottiglia più vicina (inquadrata singolarmente) ed una volta avuto il lock dell’ AF sulla bottiglia (con rettangolino verde sull’ etichetta) ho ricomposto ruotando la testa in senso orario di una quindicina di gradi, ricomponendo il punto reale di messa a fuoco non rimane più sull’ etichetta ma si va a posizionare circa 2,5cm dietro.
Sulla 1Ds3 invece ho selezionato direttamente il punto di messa fuoco laterale corrispondente (senza ricomporre quindi).
Il riscontro numerico sull’ ampiezza della profondità di campo (con queste impostazioni) è di circa 24cm per la IXUS 700 mentre per la 1Ds3 è di circa 5cm.
Ecco spiegato perchè faccio fatica ad ottenere l’effetto sfocatura con la compatta :)
@ Matteo
nel finto negativo vedo una compatta, una reflex aps-c, una aps-h e una full frame messe su piani differenti. L?indizio ha a che fare con la profondità di campo in relazione alle dimensioni del sensore?
Non a caso la Fujifilm ha eliminato il diaframma dalle sue ultime compatte. Quando il sensore è così piccolo, fa solo del male.
@FdC
Di che modelli stai parlando ?Non ho trovato nulla in casa Fuji riguardo l’ eliminazione del diaframma.
@ Matteo
nel post 9 hai scritto che ricomponendo con la compatta, il punto di fuoco si sposta cisrac 2,5 cm dietro l’etichetta della bottiglia in primo piano. Potresti esplicitare meglio il motivo di questa traslazione del piano focale?
@yossarian
#11
L’ indizio è la full frame 1V a pellicola che verrà comparata con la 1Ds3 ;)
#14
Per focheggiare al centro sulla prima bottiglia ho ruotato (sul piano azimutale) in senso antiorario la macchina e contestualmente ho centrato l’ etichetta anche con una rotazione sul piano zenitale (abbassando l’ inquadratura).
Una volta focheggiato ho ricomposto , la rotazione sull’ asse azimutale ovviamente non modifica la distanza tra macchina e distanza di messa a fuoco della bottiglia mentre la rotazione sull’ asse zenitale comporta una variazione tra la distanza durante la messa a fuoco e quella reale ottenuta ricomponendo.
Ho fatto un piccolo schizzo di quello che accade in una situazione del genere.Che poi approdonfidirò nel prossimo articolo sulla PDC e sulla sua gestione.
http://www.matteofossati.it/public/MAF.pdf
I 2,5cm (stimati a naso) di reale distanza di messa a fuoco sono qualcosina meno , nell’ ordine di 1/1.5cm visto che l’ abbassamento stimato è nell’ ordine dei 15/20cm.Ad ogni modo con PDC di 24cm l’ errore non è rilevante senza contare che la precisione dei motori di messa a fuoco ha delle tolleranze entro e si riesce a rientrare entro 1 cm solo nella migliore delle ipotesi.
Quello che dici sulla profondità di campo è molto importante.
Molti pensano che (limitandomi alle differenze fra pieno formato e APS-C) un obiettivo 50mm in pieno formato diventa in tutto e per tutto un 80mm in APS-C e quindi compro un 50 f1.8 e mi ritrovo un 80 f1.8, cosa che non è! Un 50 mm avrà sempre una distanza focale di 50 mm ma, visto che l’immagine è riprodotta su una superfice posta nello stesso punto e solo ridotta, avrà solo l’angolo di campo di un 80mm mantenedo la profondità di campo ed effetti prospettici di un 50 mm (cosa che si vede nella tua foto delle bottiglie).
Motivo per cui preferisco il “full frame”, ovvero maggiore angolo di campo a parità di focale e minore profondità di campo (che quindi permette sfocati più belli e netti). Certo con gli zoom si compensa molto, ma lo sfocato di un 135 f2 uno zoom non te lo dà!
Volevo solo complimentarmi con l’autore dell’articolo, è ben fatto e soprattutto chiaro. Grazie
x Fossati
La mia ;-)
http://www.dcresource.com/reviews/fuji/finepix_f200exr-review/look-and-feel
le due posizioni F3.3 e F9.0 sono in realtà il tutto aperto e l’inserimento di un filtro scuro ND.
Interessante questo sistema che hanno implementato , d’altra parte il problema della diffrazione con le compatte di densità così elevata è piuttosto reale e parecchio “vicino” alle massime aperture della lente.
Un filtro ND da usare come un diaframma è sicuramente una soluzione molto intelligente , d’altra parte la gestione della profondità di campo con le compatte è possibile solo in macro e riprendendo oggetti di dimensioni piuttosto piccole (certo non è possibile avere un bel bokeh in un ritratto) quindi tanto vale lavorare sempre alla massima apertura e filtrare la luce in eccesso.
Grazie per la segnalazione ;).
Non c’è di che, ero estremamente di parte :-)
Per tutto il resto (cioè il bokeh), c’è l’apposito filtro di fotosciòp :-)
—Per tutto il resto (cioè il bokeh), c’è l’apposito filtro di fotosciòp :-)—
che e’ una porcheria non confrotabile con lo sfocato di un ottica
Avendo a disposizione molto tempo libero per costruire una depth-map fedele, il lens blur di PS saprebbe simulare bene il bokeh.
http://photography-on-the.net/forum/showthread.php?t=102294
Una simulazione si può ritenere buona quando produce dei risultati che approssimano bene un determinato aspetto, di un determinato fenomeno, entro determinate tolleranze.
Quindi non sarà mai, inevitabilmente, la stessa identica cosa. :-)