Fatal Fury, la leggenda del lupo affamato

Diamo a Cesare quel che è di Cesare. No non il nostro Di Mauro nonostante sia estremamente ferrato anche su questo argomento.

Street Fighter II è stato IL picchiaduro 2D 1-on-1 della storia dei videogiochi. Ha rivoluzionato il genere con un mix ripreso, imitato ed a volte plagiato da decine di titoli susseguitisi negli anni a venire.
Un ampio roster di personaggi eleggibili, sprite dalle dimensioni imponenti, gameplay semplice ma dannatamente funzionale, senza dimenticare l’audio avvolgente e coinvolgente (resa possibile dal QSound).
Ed è stato anche il primo esempio concreto di cosa potesse diventare un videogioco di successo e quali business fosse in grado di attrarre: film, fumetti, anime, un fenomeno planetario anche a livello di merchandising.

Il successo fu talmente clamoroso da oscurare sia i capostipiti del genere sia molti dei suoi antagonisti.
Abbiamo più volte parlato del Neo Geo, la punta di diamante della quarta generazione, il periodo di riferimento nel quale ci muoveremo per le prossime settimane, come anticipato con l’articolo sul PC Engine.
Con la sua vena arcade è risultata forse la massima espressione del beat’em up, attraversando indenne più generazioni e consegnando alla storia decine di titoli di valore.
Non possiamo non ricordare Art of Fighting, Samurai Shodown, Last Blade, World Heroes, Kizuna Encounter o il pluridecorato King of Fighters, giochi o vere e proprie serie apprezzate dai cultori del picchia-picchia.

Fatal Fury è stata la prima risposta SNK a CapCom.
Nel febbraio del 1991 il mondo conosce Street Fighter II. Nove mesi dopo, molto più in sordina, il 25 novembre per l’esattezza, il lupo affamato fa la sua comparsa sul mercato.
Per l’occasione venne approntato un team di tutto rispetto, a cominciare dai team di sviluppo, ben tre, un’unione di intenti piuttosto rara anche al giorno d’oggi: Aspect, Takara e SNK, quest’ultima deputata inoltre al ruolo di publisher.
I produttori Matsumoto e Nishiyama avevano fatto parte del team del primo Street Fighter ed a Hiroshi Matsumoto dobbiamo anche l’intera saga Art of Fighting.

La storia non si discosta eccessivamente da quel che aveva proposto il filone fino a quel momento (e d’altra parte la trama non è mai stato il pezzo forte dei beat’em up).
Jeff Bogard, uno dei migliori interpreti delle arti marziali nella città americana di Southtown, resta ucciso per mano di Geese Howard, lasciando orfani i due fratelli Terry e Andy i quali ovviamente si alleneranno per riscattare la memoria del padre.
La vendetta è la matrice ispiratrice, vendetta che arriverà anni dopo per mano del fratello maggiore, il quale batterà lo stesso Howard durante uno dei tornei indetti da quest’ultimo e chiamati “The King of Fighters”.

In realtà pur anteponendosi anche dal punto di vista cronologico a Street Fighter II, non tutte le intuizioni messe in luce da CapCom vennero prese in considerazione.
Il casting support del lupo affamato, Terry Bogard, venne ristretto ai soli personaggi Andy e Joe Higashi, un esperto di muay thai amico dei due fratelli.
Dal punto di vista grafico seppur l’impressionante per l’epoca cartuccia da 55 Mbit, risultò meno convincente, così come i background decisamente meno curati rispetto al capolavoro CapCom.
Interessante però la novità del combattimento su due piani, ripresa poi nei capitoli successivi.

Il vero antagonista, e le recensioni delle riviste del settore lo dimostrarono, fu in realtà il secondo episodio, apice per anni dell’intera saga Fatal Fury, con una varietà di lottatori che poco aveva da invidiare sia a Street Fighter sia agli altri esponenti del genere, un character design ed un comparto audio ai massimi livelli.
D’altronde da qualche parte occorreva iniziare e nemmeno il primo SF fu tutto rose e fiori…
Per la cronaca, Garou Densetsu: Mark of The Wolves resta il mio preferito, ma questa è un’altra storia.

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