L’informazione in rete che non c’è più, ma a chi interessa?

Sembra paradossale che stia scrivendo un articolo dedicato alla mancanza di informazione in rete. Internet: il mezzo di libero scambio di notizie e idee vede una grave crisi del settore editoriale, grande, piccolo o “nano” che sia.

Non è un caso che l’editoria e le questioni economiche legate intorno ad essa siano state trattate molto spesso anche qui su Appunti Digitali. Si cercano soluzioni nuove, cercando nuovi format da legare a nuovi metodi remunerativi, magari basati sul pay per view e forse, nonostante tutte le riserve, potrebbe essere l’unica strada per la sopravvivenza del settore.

Spesso ho visto dare la colpa alla crisi economica mondiale che scoraggia gli inserzionisti, eppure c’è un altro dato che influenza in modo marcatamente negativo. Poiché ogni testata e ogni editore ne è una diretta vittima, nessuno ne parla, ma dato che in questa sede ci piace essere scaltri ve lo dico subito: Gli accessi di tutta l’editoria online sono dimezzati, per chi è andata bene si intende.

Non si è salvato nessuno, grandi quotidiani, stampa specialistica di ogni settore, grandi network di blog e la nanoeditoria, quella vera.

Se parliamo di soldi, possiamo tirare in ballo la crisi con facilità, ma in un ambito in cui i contenuti sono praticamente sempre gratuiti, che fine hanno fatto gli utenti?

Già, dove sono tutti? È incredibile che la circolazione di informazioni in rete stia rallentando e non perché non si ha la possibilità di scrivere, ma piuttosto perché non c’è più nessuno che legge.

Osservando le statistiche degli accessi di siti grandi e piccoli, vecchi e nuovi, al di là delle vicende particolari di ogni progetto editoriale, un segno si può notare in tutti i grafici, come un’impronta nel fango.
L’editoria online è piombata in una fase di vacche magre nel momento in cui è esplosa la popolarità di Facebook e Twitter.

Questi servizi hanno indubbiamente cambiato le abitudini di milioni di persone, tra perplessità e entusiasmi.
Attendo ancora che qualcuno riesca a spiegarmi l’utilità di Twitter e i suoi 140 caratteri di niente, mentre avevo speso belle parole inizialmente per Facebook, salvo poi rimanere sempre più deluso, ad ogni sua evoluzione.
Nulla da eccepire ai concetti che sono alla base del social networking, ma tanto ci sarebbe da discutere su come questi vengono applicati. La diffusione capillare dell’uso del pc non è passata soltanto per la copertura di aree via via sempre più vaste con la banda larga, ma anche attraverso la creazione di servizi capaci di attrarre un numero sempre più vasto di persone, ma è ormai universalmente assodato che per fare grandi numeri bisogna scendere a compromessi con un certo tipo di qualità.

Una volta trovata la strada giusta gli utenti hanno fatto tutto da soli, un po’ perché è più semplice trovarsi in un servizio a cui sono tutti iscritti, un po’ perché vendersi senza pudore è ormai una pratica consolidata e accettata che necessita la propria presenza nei luoghi affollati.

Il risultato di tutto questo è un mare caotico di messaggi pressoché privi di significato, che non originano mai un confronto e che si perdono in un nulla talmente denso da non riuscire più a ritrovare nemmeno quello che noi stessi avevamo scritto. Tutto questo però richiede tempo e (se così si può dire) dedizione, così nei buchi liberi che una volta utilizzavamo per andare a leggere le ultime notizie su Repubblica o sul Corriere o nei blog tematici oggi lo trascorriamo, almeno in parte, ad assecondare la logica del twittering, che mette da parte gli editori, ora senza gli introiti di un tempo e dall’altra gli utenti che sono meno informati che in passato.

La cosa “divertente”, se così si può dire, osservando il lato economico della questione, è che mentre gli editori hanno dovuto accusare un duro colpo, sia che siano rimasti in piedi, che abbiano dovuto farsi assorbire o organizzarsi in network, chi ha portato via loro gli accessi, nonostante siano ai vertici della classifica mondiale per numero di visitatori, non riesce a trovare una propria sostenibilità economica.

Nella guerra senza esclusione di colpi per il dominio della rete i debiti non fanno paura, presupponendo che il ritrovarsi al centro del web porti nel lungo periodo un ritorno economico più che adeguato ad anni di investimenti. Il problema è che questa è una guerra che probabilmente non vedrà mai una fine, ma che logora tutti.

Chiudo riflettendo sul fatto che probabilmente se tutto questo avesse portato ad uno scenario realmente migliore in termini di quantità e qualità dello scambio di esperienze ora avrei comunque ben poco da lamentare. Se facciamo però una breve sintesi della strana evoluzione al contrario del web e dei luoghi di confronto che si sono susseguiti nel tempo, vediamo che iniziammo tanto tempo fa con i newsgroup e le mailing list, poi ci spostammo tutti nei forum e successivamente fu l’esplosione dei blog personali. Oggi siamo nel pieno dell’era del twittering e, se continueremo di questo passo e in questa direzione, presto ci ritroveremo a fare gare di rutti in conferenze sfruttando le tecnologie VoIP. O abbiamo giù qualche pioniere?

Press ESC to close