Yamaha brevetta la moto turbodiesel

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Il primo pazzo a lavorare allo sviluppo di una moto dotata di turbocompressore fu l’Ing. Lambertini. Una mente estrosa che diete alla Moto Morini un ruolo di azienda fortemente innovatrice, con soluzioni meccaniche originali e a volte ardite. Il progetto più ambizioso fu una moto con motore turbocompresso , anche se lo studio morì nella fase prototipale, pur in uno stadio avanzato, per via delle problematiche relative all’irregolarità nell’erogazione della coppia, tipica dei motori turbo ma problematica da controllare su sole due ruote.

Ad arrivare in produzione fu la Honda CX 500 TC, con grande rabbia di Franco Lambertini, che ancora oggi accusa ad alta voce l’azienda nipponica di aver tenuto una condotta scorretta. La turbocompressa giapponese fu un fallimento, sia perché non risolveva i problemi relativi all’erogazione, sia perché i soli 84 cv non erano esattamente un successo per un motore turbo.

Ai giorni nostri Yamaha si spinge ancora oltre, brevettando l’utilizzo di motori turbodiesel su due ruote, ma perché?

Riscaldamento globale, crisi e caro petrolio, sono tutti dei validi motivi per spingere l’industria motociclistica a studiare soluzioni alternative alle attuali motorizzazioni, che salvo rare eccezioni, hanno tutte un consumo decisamente elevato in rapporto alle masse da spostare. I consumi poi diventano importanti per quei clienti che macinano tanti chilometri, senza magari voler rinunciare al peso di una moto comoda e sicura sulle strade a scorrimento veloce.

Senza contare che le stramberie rischiano sempre di diventare una moda. Chi è abbastanza navigato da ricordare, ha ancora in mente l’esordio dei diesel nelle automobili, quando le Fiat 131 diesel, erano rumorose e veloci come un peschereccio, ma era assolutamente “necessario” averne una, anche se serviva soltanto per i tragitti casa-lavoro-bar.

Tanto vale quindi brevettare, poiché non si sa mai. Viene però da chiedersi quali siano le soluzioni tecniche spiegate nel brevetto per rimediare ai problemi tipici dei motori turbodiesel, che in una moto rappresenterebbero criticità importanti: vibrazioni decisamente importanti, forte rumorosità, coppia enormemente superiore rispetto ai benzina che insieme ai suddetti problemi di erogazione tipici del turbocompressore renderebbero la moto difficile da governare e un peso delle meccaniche decisamente importante.

Nel brevetto vengono mostrati due schemi meccanici a 4 cilindri. Un tempo la cubatura minima per un singolo cilindro era pari a 300 cm3, oggi grazie a sofisticati sistemi di iniezione diretta si è riusciti a scendere un poco sotto questa soglia. Nella più ottimistica e fiduciosa ipotesi le unità trattate nel brevetto difficilmente potrebbero scendere sotto i 1100 cm3. Tali cubature non aiutano sicuramente a trovare lo spazio a tutti i componenti.

Sempre secondo le ipotesi del brevetto, l’intercooler e il turbo andrebbero a sfogare il calore ai lati della moto, ovvero sulle gambe del guidatore. Chi è mai salito su una moto in estate sa cosa significa dover sopportare il calore delle teste o di un radiatore, un intercooler e un turbo di sicuro non migliorano la situazione.

La lista dei dubbi su tale soluzione è ancora molto lunga, ma ciò che è davvero interessante è che il brevetto non risponde a nessuno di questi.

Il testo è una lista interminabile di “preferibilmente” e di ipotesi che non sono seguiti da alcuna documentazione tecnica che spieghi come rendere realizzabile un mezzo con queste caratteristiche. Però immagino che d’ora in poi chiunque riesca a risolvere i problemi suddetti, per vendere un modello a gasolio, dovrà riuscire a strappare un accordo economico, in favore della Yamaha, meritevole di essere riuscita a riempire 27 pagine con una documentazione che può essere ristretta nelle parole “motocicletta turbodiesel” senza perdere nessuno dei contenuti espresso nel brevetto.

Non viene da chiedersi quale sia il reale scopo di un sistema dei brevetti tanto permissivo?

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