Il cosiddetto web 2.0 avrà mai una reale utilità? Forse

user_generated_content.jpg Chi segue questo blog è abituato a leggere analisi inevitabilmente negative che polemizzano intorno ala bolla vuota del web 2.0: vuota perché priva di contenuti, vuota perché priva di contributi da parte degli utenti, vuota perché tutte le idee che hanno rinnovato il web, nel bene e nel male, negli ultimi anni non hanno un modello di business sostenibile.

La lenta morte dei sistemi di relazione passa per i servizi più popolari, che lentamente si trasformano per assecondare un uso lineare e votato all’inutile trastullo, vista l’enorme richiesta manifestata dall’esplosione di Twitter.

Passa per tutti quei servizi basati sul contributo che da una parte sono soltanto contenitori di plagi e dall’altra cercano di monetizzare qualcosa stringendo accordi con le industrie dei contenuti e dell’intrattenimento.

Non solo. Alla ricerca disperata di riquadri pubblicitari efficaci per cercare di monetizzare l’elettricità che tiene “vivi” i server hanno meccanismi che guidano l’utente ad esprimere schematicamente le proprie preferenze spingendo l’advertising mirato ad un nuovo livello.

Credevamo di avere potenti strumenti di comunicazione, mentre ci stiamo confermando ancora una volta (e più che mai) carne da macello. Chissà magari fanno bene quelli che diffidano da ciò che è gratis.Ripresomi dalla sbornia del web 2.0 e dei social network che, ahimé, ho subito anch’io, sono ritornato al web “old style” fatto di forum di discussione, newsgroup e blog dove a quanto vedo è ancora possibile conoscere, confrontarsi e legare. Ciò però non toglie un problema fondamentale: presupponendo che, al di là della deriva che sta trasformando il web in un servizio sms e tv on demand, siano stati fatti dei passi avanti da un punto di vista concettuale, come si possono sfruttare gli strumenti che il web ha maturato fino ad oggi?

Quello che si può notare sempre più in rete è che c’è un distacco sempre più ampio tra quello che avviene in rete e la realtà. La frase appena scritta è da maneggiare con cautela: quello che accade nei monitor lo si riesce a vedere come un’estensione della realtà solo se si sa cosa si sta maneggiando, eppure, nonostante i miei lunghi trascorsi davanti ai computer (ho cominciato con un MSX) trovo sempre meno contatti con la mia vita.

Il fallimento dei social network generalisti sta avvenendo per mano degli utenti che non riescono e non vogliono utilizzare strumenti tanto complessi e tanto ambiziosi come il vecchio Facebook e Google friends connect, ma in fondo non sono da biasimare. Sono (erano) strumenti che richiedono un certo periodo di apprendimento e che comunque non hanno funzionalità tali da invogliare la migrazione da altri servizi.

Le realtà più interessanti sono molto più piccole, meno conosciute ma con modelli di business alle spalle decisamente più sensati, anche se non sempre hanno dimostrato di funzionare.

Esistono tanti piccoli progetti che mirano a costruire una community attiva dietro ad un chiaro obiettivo. In passato abbiamo anche trattato un paio di progetti di questo tipo: SquadraMia.it vuole acquistare una vera squadra di calcio e farla amministrare attraverso il sito da tutti i soci che partecipano (anche economicamente) all’acquisto.

Gli appassionati di motori ricorderanno Project SpitWheel, patrocinato tra gli altri dalla Caterham, che ha l’ambizioso obiettivo di arrivare a produrre l’auto sportiva definitiva, discussa, proposta e progettata completamente dalla community online.

Entrambi i progetti presi in esempio dalla loro parte hanno un modello economico più concreto e realistico, fatto di partner non solo commerciali ma persino industriali o del contributo diretto e volontario da parte di tutti i partecipanti, ma soprattutto hanno un obiettivo da perseguire.

L’ostacolo principale è forse dovuto al fatto che sono molte più le persone disposte a pagare 55 euro al mese per guardare la Juventus dal divano di casa piuttosto che spenderne sessanta e prendere parte attivamente alla gestione di una vera squadra. Detto questo non è un caso che il web si stia spostando verso il modello della tv on demand.

Il passaggio dalle parole ai fatti ad ogni modo dovrebbe essere l’evoluzione naturale dei servizi e delle community che popolano la rete.

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