Se il futuro è delle app, che ne sarà di Internet come la conosciamo?

Commentando un pezzo riguardante il futuro dei grandi OEM PC nell’ambito del ritorno dei “thin client”, ho avuto modo di chiarire un altro elemento che da questa transizione rischia di uscire molto cambiato: Internet.

C’è stato un momento in cui, senz’altro ingenuamente, ho sperato che gli standard Internet combinati ad una regolamentazione sulla portabilità dei documenti, rendessero il terminale, lato hardware e software, sempre più irrilevante.

Oggi il terminale, come oggetto, è effettivamente irrilevante, ma solo perché rappresenta l’ultimo anello di un ecosistema. Un ecosistema chiuso in cui i documenti si vogliono integrati nelle stesse app (almeno, nella visione di Apple) ed applicazioni non portabili, confezionano funzionalità che rappresentano un sottoinsieme dei dati presenti sulla rete. In questo scenario Internet, la grande rivoluzione di una rete globale, rischia di ridursi a nient’altro che il tubo su cui viaggiano i dati che perlopiù non si parlano fra di loro.

Forse era inevitabile che il primo capitolo del mercato “post pc” prendesse questa piega: vincoli energetici, modalità peculiari di input di smartphone e tablet hanno condizionato le scelte della prima ora. La paura è che questo modello condizioni anche segmenti che non condividono le limitazioni energetiche e di calcolo degli smartphone. In questo senso il mio auspicio è: lunga vita al PC (Mac).

Per inciso, se già è difficile immaginare cosa sarà fra cent’anni dei documenti prodotti oggi in formati proprietari, ancor di più lo è pensare a cosa accadrà dei dati prodotti tramite micro-applicazioni oggi utilissime, ma di cui fra meno di un anno potremmo non ricordarci neppure il nome.

Un intervento dell’utente Dr.Gonzo, mi dà l’occasione di chiarire alcuni punti che in sede di commento non ho “esploso”.

Le macchine “post-pc”, smartphone (più o meno smart, ci sono molti dispositivi entry level che non fanno certo della smarticità una feature, solo un mezzo per standardizzare la produzione e abbattere i costi / uniformare l’aspetto della UI) e tablet, in un quinquennio hanno raggiunto buoni volumi di vendita.
Partono da zero o quasi, sono spinti dalla moda e da una buona campagna PR soprattutto da parte di un genio (almeno del marketing) come Steve Jobs. Non credo valutare i loro tassi di crescita da zero a qualcosa sia più di tanto significativo per una proiezione a lungo periodo dato che lo storico è puramente basato su un burst dei pochi ultimi anni.
Possiamo però valutare l’impatto che hanno avuto su due mercati maturi da 20 o più anni, dunque le cui dinamiche di vendita sono stabili: quello dei PC e quello dei telefoni.

Dal mio punto di vista la miniaturizzazione è un processo che va avanti da quando esiste il computer e da sempre la miniaturizzazione ha comportato un incremento di adozione di tecnologie prima inaccessibili al bacino di riferimento. Credo che nell’accelerazione degli smartphone/tablet, oltre a un fattore moda che non riesco a delimitare con esattezza e quindi non commento, abbia molto a che vedere con l’utilità.

Dunque, il mercato dei PC cala di pochi punti percentuali pur nella peggior crisi mondiale dal ’29, che colpisce duro soprattutto il suo core market aziendale, quello a più alto valore e marginalità.
Possiamo anche vedere come dopo l’epoca delle follie del P4 ci sia hardware termicamente meno pompato, più duraturo, e idem vale per i sistemi operativi, ormai belli solidi che ti fanno venire meno voglia di buttare tutto nel fuoco e passare alla nuova versione.
Anche i dischi hanno da anni capacità sovrabbondanti, una dotazione larga di ram è la norma, le sk video di qualche anno fa vanno bene per tutti ad eccezione di pochi sfegatati hardcore gamers, comunque frenati dalla priorità che le grandi firme del gaming danno alle console.
Insomma, strano che non sia calato di più e più in fretta per le sue sole dinamiche interne!

Il mercato PC non corre già da qualche anno. A questa non crescita o crescita lenta, credo non siano estranee delle barriere d’accesso alla fruizione delle tecnologie che il PC mette a disposizione. Barriere d’accesso da cui, in certa parte, smartphone e tablet di nuova generazione si sono liberati, abilitando un allargamento del mercato anche al di fuori dei segmenti tradizionalmente interessati al PC. In questo senso, l’operazione Microsoft/Windows 8 ha una finalità duplice: trasformare il PC tradizionale in qualcosa di più “facile” incentivando al contempo un mercato di dispositivi di uso più agile per finalità “light”.

Ad ispirare questa strategia è per l’appunto la considerazione che, per un’utenza ampia e non solo di “niubbi” il 90% delle volte basta un piccolo sottoinsieme delle potenzialità che il PC mette a disposizione. Potenzialità che, ovviamente, si portano dietro un carico di complessità anche nella UI di cui l’utenza, quella più smaliziata per rapidità, quella meno per la mera accessibilità, ha dimostrato di far volentieri a meno.

Il mercato telefoni invece vede oltre un terzo dei terminali tradizionali sparire dalla circolazione, ed essere sostituiti dagli smartcosi.
Smartcosi che ad ogni revisione cercano di essere sempre più simili alle feature di piccoli portatili che a grossi telefoni.

Però si parla di post-pc e non di post-telefoni… *uck logic! :)

Seguendo la linea della miniaturizzazione, mi viene più spontaneo chiamarli “post PC” che “post telefono”. Fermo restando che la definizione mi pare più legata alla convenienza di Apple che non ad una situazione immediata, i dispositivi attuali rappresentano più una miniaturizzazione del personal computer che l’ingrandimento di dispositivi che fondamentalmente nascono per veicolare fonia su reti cablate o wireless.

Ciò premesso, la diffusione dei dispositivi che per comodità continuerò a chiamare “post PC”, come accennavo nel commento riportato più sopra, sta minando uno dei presupposti fondamentali di Internet: la trasportabilità dei dati. Il florilegio di applicazioni, ciascuna delle quali produce dati proprietari e li conserva in un cloud riservato, pone in prospettiva un grosso problema sulla disponibilità degli stessi.

Allargando la prospettiva, la tendenza delle piattaforme a brandizzare e preinstallare sempre più servizi essenziali (da de-googlizzazione di iOS è l’emblema di questo trend) proietta scenari di ecosistemi sempre più chiusi e proprietari, oltre che sempre più vincolanti per l’utente finale. Il quale all’abbandono della piattaforma deve porsi il problema della perdita dei dati sviluppati su quella piattaforma.

Il tutto accade pochi lustri dopo la rivoluzione di Internet, che doveva liberare i dati da confini geografici, piattaforme e contesti tematici (ho approfondito l’argomento dati grezzi vs contesto qui), per consegnarli ad un colossale processo di catalogazione, indicizzazione e ri-contestualizzazione illimitata. Una rivoluzione che, dopo l’ubriacatura di libertà, sconta un’incapacità di generare economie sostenibili a compenso di quegli unici soggetti di cui la cultura prima che la rete non può fare a meno: i produttori di contenuti di qualità.

Dopo le BBS, Compuserve e compagnia, dopo l’universo interconnesso dei primi anni, dopo i microcosmi monadici dei giorni nostri, cosa arriverà?

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