

Le motivazioni addotte da Giersch sono basate sulla quasi completa analogia fra il nome del suo servizio e quello di Google (l’unica differenza è un trattino nel caso del tedesco), e nemmeno le obiezioni portate in appello da Google, concernenti la differenza grafica dei marchi e il payoff che accompagna il marchio del servizio G-Mail, sono bastate a far cambiare idea alle autorità europee.
I proprietari di account Gmail possono comunque star tranquilli: i loro account non saranno rinominati.
La decisione dell’OHIM, contro cui Google potrà comunque appellarsi di nuovo, riporta a galla un problema vecchio come la rete: l’estensione a livello globale delle politiche di protezione di marchi a cui la rete dà solo potenzialmente un respiro multinazionale. A molti apparirà paradossale che Google debba cedere il marchio Gmail – dove G sta per Google, uno dei brand più noti al mondo, non per Gianluigi o Giersch – a un servizio di nessuna notorietà.
È d’altro canto indubbio che la proprietà di un marchio vada tutelata indipendentemente dalle proporzioni dei contendenti, ma la materia non si presta ad essere tagliata con l’ascia: quanto pesa il fatto che quel servizio tedesco faccia riferimento a un mercato limitato – in quanto l’investimento di visibilità fatto su quel servizio è stato limitato – e che invece Gmail faccia riferimento a, e abbia investito in visibilità per, tutto il mondo?
La legge di protezione dei marchi prevede che se un marchio opera a livello locale e un altro opera a livello internazionale, non esista conflitto. Solo che – potenzialmente – anche il G-Mail tedesco opera sullo stesso livello globale di Google, pur non essendo nemmeno lontanamente un suo competitor.
Certo è che in questa diatriba si inseriscono molti furbi, che sfruttano il lavoro altrui per dare visibilità a servizi che diversamente cadrebbero nella rete come un ago in un pagliaio formato gigante. Provate a digitare www.gmail.it e ditemi.
Fonte: ArsTechnica