L’infinitamente piccolo ci viene svelato dall’Universo

Il 2 Giugno 1967 i satelliti Vela, satelliti americani atti a controllare la pace atomica e quindi che nessun paese facesse test nucleari non autorizzati, rivelò una radiazione ad altissima energia così potente da spaventare il governo americano.

Dopo i primi dubbi riguardanti una possibile arma russa, si sono presto resi conto che la radiazione non arrivava dalla Terra, ma dallo spazio.

Nel corso degli anni, in particolare dopo il 1991, data in cui è stato lanciato il satellite BATSE, si è capito che questi raggi gamma estremamente energetici e di breve durata erano una radiazione prodotta da stelle lontane, oggetti molto compatti nella fase finale della loro vita. Quando queste stelle implodono , fino a creare un buco nero , emettono dei jet ad altissima energia lungo l’asse di rotazione.

Questi jet contengono particelle velocissime, che subiscono un complicato effetto di accelerazione, fino a emettere fotoni ad energie irraggiungibili in sistemi diversi. Questi fotoni vengono chiamati raggi gamma proprio a causa della loro intensissima energia e sono emessi dalla stella per un tempo estremamente limitato, che va da qualche manciata di secondi fino a un massimo di un’ora.

Dopo l’esplosione vera e propria si manifesta un’emissione successiva, in genere di energia più bassa (radiazione X ) che viene chiamata “afterglow”.

Nonostante gli sforzi e gli innumerevoli passi avanti nella comprensione di questi raggi gamma, chiamati in per la precisione Gamma Ray Bursts (GRB), ci sono ancora molte domande a cui dare risposta.

Per esempio non conosciamo con certezza quale sia il meccanismo di accelerazione delle particelle durante l’esplosione, né sappiamo la composizione completa dei jet. Per questo i GRB sono ancora, e anzi direi sempre più, al centro dell’interesse della comunità di astrofisica.

Questi oggetti però suscitano l’interesse anche di scienziati di altri campi, perché quello che accade in quei pochi secondi all’interno della stella è irriproducibile. Per pochi secondi l’intero universo è “illuminato” da questa radiazione gamma che, nonostante la sorgente sia lontanissima, ben al di fuori della nostra Galassia, supera in intensità qualsiasi sorgente che ci circonda, come il Sole o il Centro della Galassia. Per questa ragione anche fisici delle particelle e fisici teorici sono estremamente interessati a capire cosa succede veramente durante un Gamma Ray Burst, e a interpretare la fisica che lo caratterizza.

Il satellite Fermi (precedentemente chiamato GLAST) è in orbita da circa un anno per osservare e caratterizzare il GRB nell’intero cielo, e ultimamente ha dimostrato le sue potenzialità misurando il GRB (e quindi in generale l’oggetto) più lontano da noi mai osservato: il GRB 090423.

Le distanze cosmologiche vengono spesso misurate in termini di redshift , ovvero lo spostamento verso il rosso della banda elettromagnetica osservata a causa del movimento relativo dell’osservatore e dell’oggetto osservato (a causa dell’effetto Doppler). In questo caso la distanza del GRB eraa redshift 8.2, per cui il più lontano che sia mai stato osservato finora.

Per confronto la galassia più lontana osservata finora era ad un redshift di circa 7. L’osservazione di questo oggetto ha garantito alla squadra di Fermi una pubblicazione sulla rivista Science .

Ma le scoperte di Fermi non si sono limitate a questo. Il mese successivo, a Maggio di questo anno, ha misurato un’altro GRB alla stessa distanza, 8,2 di redshift, ma questa volta il Gamma Ray era ancora più interessante. Infatti oltre ad essere estremamente lontano, era anche estremamente energetico. In particolare è stato rivelato un singolo fotone, la cima dello spettro elettromagnetico, di 31 GeV (gigaelettronvolt, circa 5×10^-9 Joule). Perché questo singolo fotone è così interessante?

Perché potrebbe darci informazioni estremamente importanti sulla natura stessa dell’Universo e dello spazio tempo. Infatti uno dei problemi principali della fisica di oggi è l’incompatibilità che esiste tra la meccanica quantistica (la teoria che meglio descrive l’infinitamente piccolo, il comportamento degli atomi e delle particelle fondamentali) e la relatività generale, ovvero la migliore descrizione che abbiamo dell’infinitamente grande e della legge di gravità che gestisce i corpi celesti.

I teorici si stanno spremendo da anni per cercare in qualche modo di far andare d’accordo queste teorie, ma le difficoltà tecniche e soprattutto la difficoltà di sperimentare e osservare queste teorie fa si che non ci sia ancora un’unica risposta. Tra le teorie più plausibili ci sono la teoria delle stringhe e la teoria della gravità quantistica.

Quest’ultima in particolare cerca di armonizzare le due teorie limitandole a scale energetiche differenti, in modo che possano convinvere senza essere in contrasto. Secondo la teoria della gravità quantistica, per esempio, l’invarianza di Lorentz, che è una delle basi della relatività di Einsten (in questo caso la relatività speciale) dorebbe valere fino ad un certo limite di energie, in particolare al limite chiamato “di Planck“.

L’Invarianza di Lorentz postula che la velocità della luce nel vuoto sia un limite invalicabile e sia costante per qualsiasi osservatore. In pratica vuol dire che la velocità dei fotoni che ci arrivano dallo spazio sia sempre uguale, e non cambi in base alla loro energia. La gravità quantistica, invece, sostiene che dopo una certa energia la relatività lasci il posto alla meccanica quantistica, e quindi che l’inverianza di Lorentz venga violata quando le energie in gioco sono estremamente alte.

Il nostro fotone di 31 GeV rappresenta un sistema per porre un limite a questa violazione. L’osservazione, pubblicata anche questa sulla rivista Science, dimostra come non ci siano i presupposti per dichiarare l’invarianza di Lorentz violata. Il fotone risulta infatti aver viaggiato alla stessa velocità di tutti gli altri, facendo cadere l’idea che la velocità della luce dipenda dall’energia.

In fisica però è molto difficile dire che una cosa NON succede. Se si osserva una cosa, allora si può dire che quella accade. Ma se non si osserva, in pratica non si può dire niente, perché può sempre succedere in condizioni diverse, oppure può essere una limitazione dei nostri strumenti.

Quello che si può fare, in questi casi, è porre un limite inferiore. In questo caso vuol dire che se è vero che c’è una variazione della velocità in funzione dell’energia che questa variazione deve essere più piccola di un tot, che è la precisione dei loro strumenti. Il loro limite è così basso però, da buttare un’ombra sulla teroia della gravitazione quantistica, che ha quindi perso molto terreno in confronto ad altre teorie di unificazione.

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