Cosa è successo al buco nell’ozono?

Cortesia NASA

Esattamente venticinque anni fa, nel 1985, si è cominciato a parlare di quello che poi è diventato il famosissimo Buco nell’Ozono.

Nel Maggio 1985 è comparso sulla rivista Nature un articolo con la firma degli studiosi Farman, Gardiner e Shanklin in cui veniva sottolineato come lo strato di ozono che circonda e protegge la Terra dai raggi ultravioletti del Sole, si stava assottigliando sempre più e, nella zona sovrastante il continente Antartico, era così sottile da poter essere definito un “buco” (sebbene questo non sia il termine più appropriato).

Questa scoperta ha causato un grande shock nella comunità scientifica, che si aspettava di poter sottovalutare il problema almeno per il successivo decennio, e ha toccato gli animi di praticamente tutto il mondo, mettendo alla luce come il comportamento umano possa avere delle conseguenze anche molto importanti sulla natura che ci circonda.

Ma procediamo per gradi. Che cos’è lo strato di ozono che circonda la Terra e perché ci preoccupiamo tanto a difenderlo?

Lo strato di ozono si estende tra i 20 e i 40 km sopra la superficie terrestre, e assorbe dal 93 al 99% della radiazione ultravioletta proveniente dal Sole (in particolare le radiazioni UV-B e UV-C, le più energetiche e quindi pericolose).

La radiazione ultravioletta è una radiazione elettromagnetica ad alta energia potenzialmente molto pericolosa per l’ uomo e per moltissime altre forme di vita sul nostro pianeta. Per questo è estremamente importante difendere questo tutto sommato sottile strato di ozono, perché è di vitale importanza per l’equilibrio della vita sul nostro pianeta.

L’atmosfera terrestre è ricca di ossigeno molecolare (O2) che, alle elevate altitudini della stratosfera, viene rotto in due singoli atomi di ossigeno dai raggi solari. L’atomo di ossigeno, a questo punto, si può legare con una molecola di ossigeno, formando così una molecola di ozono (O3). L’ozono è di sua natura instabile, e tende quindi a rompersi nuovamente in una molecola più un atomo di ossigeno. Questo ciclo, che avviene in continuazione nella zona superiore dell’atmosfera terrestre, viene chiamato ciclo dell’ozono, ed è illustrato nella figura qui sotto.

La stragrande maggioranza dell’ozono dell’intera atmosfera terrestre (circa il 90%) è concentrato nella fascia tra i 20 e 40 km di altitudine ma, se vi sembra molto, pensate che questa stessa quantità di ozono ricoprirebbe uno strato spesso solo pochi millimetri, se sottoposto alla pressione atmosferica che c’è al livello del mare.

E’ stato osservato come nell’atmosfera sovrastante l’Antartico, negli anni 80 la concentrazione dell’ozono sia diminuita a circa un terzo del suo valore misurato nel decennio precedente. In particolare questo “buco” sembra essere correlato con la primavera australe.

La spiegazione più classica di questo fenomeno è che sostanze inquinanti chiamate clorofluorocarburi (CFC), volatili e molto usate negli spray utilizzati nell’ultimo secolo, vengono rotte dalla radiazione ultravioletta del Sole ad altitudini molto elevate, oltre i 40 km.

La circolazione d’aria dell’atmosfera contribuisce quindi  a trasportarle ad altitudini più basse, attorno ai 20 km, dove incontrano le molecole di ozono. Durante l’inverno Antartico, queste molecole inquinanti si congelano sotto forma di particelle ghiacciate e, tramite una serie di reazioni chimiche, vengono convertite in molecole di cloro (Cl2). Con l’arrivo della primavera, le particelle ghiacciate si sciolgono liberando le molecole di cloro.

Il cloro ha l’antipatica capacità di “mangiarsi” l’ozono, ritrasformandolo in semplice ossigeno:

Cl + O3 → ClO + O2

ClO + O3 → Cl + 2 O2

Queste reazioni vanno quindi ad inserirsi nel ciclo dell’ozono, rovinandone il delicato equilibrio e riducendo la quantità totale di ozono presente nell’atmosfera.

Ma veniamo alle buone notizie: il problema della riduzione dell’ozono non è stato sottovalutato dalla comunità internazionale. Nel 1987 è stato firmato il Protocollo di Montreal, che ha sancito una serie di regole molto rigide riguardanti l’utilizzo delle sostanze CFC. Oggi, 25 anni dopo, possiamo dire con certezza che lo sforzo congiunto di tutte le nazioni ONU ha dato i suoi frutti. La quantità totale di ozono presente nell’atmosfera è ancora diminuita leggermente, ma il trend si sta decisamente invertendo, e per il 2080 ritornerà ai livelli del 1950.

Questo risultato è molto importante soprattutto in quanto dimostra come l’uomo, nel suo insieme, è in grado di prendere decisioni importanti per difendere il proprio pianeta, se questo diventa necessario. E allora cosa aspettiamo a correre ai ripari anche per quanto riguarda il riscaldamento globale?

Purtroppo il parallelismo non è così semplice, poiché il buco nell’ozono presentava all’umanità dei rischi molto tangibili e a breve termine, come il tumore alla pelle o la cateratta. Nel caso del riscaldamento globale la situazione è diversa, è molto difficile per l’uomo della strada comprendere i rischi dell’innalzamento della temperatura terrestre.

Inoltre i gas CFC erano ormai già vecchi quando sono stati sostituiti, e le industrie sono riuscite a eliminarli senza dover incorrere in eccessivi costi aggiuntivi. Le cause dell’effetto serra, invece, sono svariate e spesso contestabili, per cui è molto difficile trovare una politica unica che ci aiuti a combattere questo problema.

Forse è giunto il momento in cui la popolazione cominci a dare il buon esempio ai propri politici, e faccia il primo passo per cambiare il proprio stile di vita e dimostrarsi sensibilizzata alla condizione del nostro pianeta…

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