Ciò che Google dà, Google toglie

Un’azienda che ogni giorno “ascolta” miliardi di chiavi di ricerca, inserite da una base utente oceanica, ha la possibilità di diventare “consumer driven” nel vero senso della parola, ovverosia di lasciare che i suoi piani di sviluppo siano realmente guidati dalla domanda dei consumatori.

In effetti le “domande” che i consumatori rivolgono ai motori di ricerca, quando aggregate ed interpretate, restituiscono un’immagine dettagliatissima e in tempo reale, dei trend di interesse di un pubblico molto vasto.

Quando l’azienda si chiama Google, e il suo pubblico rappresenta una bella fetta di quei circa 2 miliardi di utenti Internet al mondo, è legittimo supporre che il limite alla onniscienza, sia rappresentato solo dalla capacità di estrapolare analisi dai dati che ogni giorno fluiscono nelle spaziose server farm di Big G.

Onnisciente o meno che sia, Google ottiene comunque in ogni istante, da centinaia di milioni di utenti, informazioni utili per decifrare il mercato, capire cosa il pubblico cerca, ed eventualmente costruire attorno a queste esigenze dei servizi ad hoc, da cui ricavare nuovi introiti.

È questo il caso del recente esperimento sui prezzi degli alberghi – limitato per adesso al solo Canada – integrati fra i risultati organici della ricerca. L’esperimento segue di qualche settimane la georeferenziazione su piattaforma Google Maps degli stessi prezzi, e ne rappresenta dopotutto l’evoluzione più naturale.

L’analisi condotta qualche mese fa da Tagliaerbe nel suo blog, a proposito dello “scontro” fra motori e social network, ci aiuta a comprendere la ratio di fondo di questi esperimenti:

in Google non si discute e non si relaziona. In Google si morde e si fugge. Lo si usa “di sponda”. Si cerca, ma solo per approdare ad una meta.

In questo e analoghi esperimenti, il fine è per l’appunto quello di diventare la “meta”, ovverosia offrire all’utente quel che cerca all’interno della stessa SERP, piuttosto che rimandarlo a siti terzi.

Poco importa se in questo modo Google si avvicina a quell’impostazione da “portale” – sebbene esclusivamente “on demand” e non in modo push, come si usava ai tempi dell’1.0 – che per prima ha scardinato con il suo debutto sullo scenario del search.

Poco importa se le informazioni che Google potrebbe incorporare all’interno della SERP rappresentano la ragion d’essere di migliaia di siti, piccoli e grandi, che campano offrendo risposte alle domande dell’utenza nei settori più disparati.

Dopotutto è a Google prima che ad ogni altro sito, che l’utenza è abituata a “rivolgere domande”, ed è legittimo che sia Google a voler dare la prima risposta, ammesso che sia quella buona.

Bene è andata fino a ieri a quei tanti siti che hanno goduto della popolarità riconosciuta loro dagli algoritmi segreti del motorone di Mountain View, e se ne sono giovati in termini di traffico e transazioni completate. Sul domani non ci sono certezze: dopotutto ciò che Google ha dato, Google può togliere, senza chiedere il permesso a nessuno.

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