Compaq Portable, il primo vero clone

Img courtesy of oldcomputers.net

12,5 Kg di peso, nei primi anni ’80, erano sufficienti per definire un computer “portatile” – benché la dicitura “trasportabile” rendesse meglio l’idea. Se poi questo computer era anche pienamente IBM compatibile, e consentiva dunque l’esecuzione dei più popolari software di produttività (word processor, fogli di calcolo, database) sviluppati per la piattaforma business per eccellenza, il PC IBM, era legittimo parlare di una rivoluzione copernicana.

In questa nuova avventura nel colorato mondo del retrocomputing, la macchina del tempo ci trasporterà come per magia nel 1982, anno di introduzione del Compaq Portable, un sistema la cui introduzione corrisponde all’alba della guerra dei cloni.

I fedeli lettori di questa rubrica sanno che abbiamo affrontato spesso in queste pagine il nodo della compatibilità IBM, elemento fondamentale nel mercato informatico fin dal lancio del PC IBM (1981).

Il lancio del primo PC – Big Blue aveva fino ad allora operato solo nel mercato mainframe – minicomputers – fu infatti condizionato dall’urgenza di presidiare con un proprio prodotto l’esplosivo mercato dei microcomputer, inaugurato durante la metà degli anni ’70 da prodotti come l’Apple II e accelerato tremendamente dalla disponibilità di killer applications rivolte ad un’utenza business – come Visicalc, il primo spreadsheet.

Per arrivare sul mercato nel più breve tempo possibile, IBM – tradendo la sua tradizionale ponderosa lentezza e il suo approccio proprietario all’hardware – decise a fine anni ’70 di assemblare un sistema partendo da componenti disponibili sul mercato, gestite a basso livello da un BIOS proprietario e governate da un sistema operativo, anch’esso preso dal mercato.

Il lancio del PC IBM fu in effetti un enorme successo: la reputazione di IBM nel mercato business era enorme, la sua credibilità presso gli sviluppatori fortissima, la sua forza commerciale aveva un peso schiacciante e le sue connessioni politiche erano praticamente ineguagliate al mondo.

Qualcosa tuttavia andò storto nei piani di IBM: da un lato il BIOS, unico baluardo a difesa della “chiusura” del PC, fu presto clonato, dando l’avvio alla fiorente industria dei compatibili. Dall’altro Microsoft – il cui DOS finì, per cause di cui si dà conto in questo pezzo e nella relativa discussione, ad essere scelto dalla maggioranza dei clienti IBM – comprese presto che il boom dei cloni avrebbe potuto sancire il suo predominio sul mercato dei sistemi operativi.

IBM si ritrovò dunque con una pletora di produttori di hardware a tentare di clonare il suo BIOS, mentre il suo principale partner per il software, non vedeva l’ora di poter vendere il suo DOS ad un mercato allargato e potenzialmente multiplo rispetto a quello coperto da IBM – frattanto la stessa Intel, produttrice delle CPU del PC IBM, gongolava davanti alla medesima prospettiva.

Questi gli elementi che, in estrema sintesi, determinarono la scintilla di quella che presto divenne una “dittatura della compatibilità” (formula che ho usato parlando dell’innovativo ma sfortunato ACT Sirius): una situazione di mercato in cui la compatibilità IBM era sempre più indispensabile per le ambizioni di un produttore di personal computer in mercati professionali – fattore questo che determinò la scomparsa della quasi totalità delle piattaforme chiuse.

Arriviamo al 1982, anno in cui tutti gli elementi sopra accennati, arrivano a maturazione, con la nascita del primo clone: per l’appunto in Compaq Portable, primo sistema ad integrare un BIOS ingegnerizzato inversamente partendo dal PC IBM che assicurasse un ottimo livello di compatibilità.

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Prodotto appunto dalla texana Compaq (il cui nome sintetizza le parole Compatibility And Quality), il Compaq Portable rappresenta una svolta per due motivi: il primo risiede ovviamente nella piena compatibilità col parco software IBM – il primo reverse engineering del BIOS IBM fu svolto proprio nei laboratori Compaq.

La seconda nel formato “portatile”, non del tutto inedito sul mercato – fu l’Osborne 1 ad aprire l’epoca dei “trasportabili” – ma che tuttavia Compaq per prima (un anno prima di IBM) utilizzò per un computer IBM compatibile.

Prima di dettagliare le caratteristiche del Compaq, vorrei soffermarmi sull’aspetto della compatibilità col software IBM: si trattò in effetti del più grande “free ride” che i produttori di cloni fecero sulla schiena di Big Blue. Già, perché fin dal lancio del PC, IBM spese tutte le sue risorse (reputazione ma anche marketing) nell’attivazione del mondo degli sviluppatori, il che produsse un ampio parco di software applicativi, di cui i cloni potettero avvantaggiarsi senza colpo ferire.

Veniamo dunque ai dettagli tecnici del primo gioiellino della Compaq – azienda che per lungo tempo rappresentò il produttore di cloni per eccellenza – che ricalcano da vicino la configurazione del PC IBM 5150: CPU Intel 8088 a 4,77 Mhz, 128 KB di memoria espandibile a 640, due lettori floppy da 5.25″, accompagnati da uno schermo a tubo catodico da 9″ 80×25 e grafica CGA.

Un altro elemento è fondamentale nella value proposition del Compaq Portable: il prezzo, altamente competitivo di circa $ 3500 (inferiore persino a quello del trasportabile IBM, lanciato l’anno successivo con analoghe caratteristiche hardware).

Il prezzo “stracciato” del Portable è in effetti la prima scintilla di un altro cardine della rivoluzione dei cloni: la guerra dei prezzi, tanto più accanita quanti più produttori popolarono nel mercato, con particolare riferimento a quelli estremo-orientali.

Il lancio del Compaq Portable porta dunque in sé – incolpevolmente, s’intende – il germe di quella spirale erosiva di prezzi e margini che, in un ventennio o poco più, ha sì incrementato esponenzialmente la diffusione del PC e creato un ricchissimo mercato software, ma ha anche:

  • reso indispensabile la delocalizzazione della produzione in paesi ad alto tasso di sfruttamento del lavoro;
  • determinato in modo diretto l’uscita dal mercato PC della stessa IBM, il declino della Compaq e il fallimento di molti produttori di hardware;
  • fornito la base per una configurazione oligopolistica del mercato hardware e, in certa parte, del mercato software.

Queste conseguenze non erano di certo ignote alle parti in causa – prima di tutte IBM, la quale di fatto subì e non certo determinò consapevolmente il fenomeno dei cloni. Come abbiamo raccontato in queste pagine, Big Blue tentò infatti di correre ai ripari: prima via software, con il controverso Topview, poi via l’hardware, con il celebre ma dopotutto minoritario PS/2.

L’esito di questi tentativi fu ovviamente ben lontano dalle speranze di IBM, fin dalla seconda metà degli anni ’80 non poté che osservare l’esplosione di un mercato nato contro la sua volontà e il suo interesse, nell’ambito di un pesante vuoto legislativo in materia informatica.

La risposta a una domanda quale: cosa sarebbe successo se IBM invece del PC avesse lanciato una piattaforma totalmente chiusa? non è per nulla scontata. Il che non ci vieta di porcela, di darci delle risposte e di confrontarle in questo lungo weekend di Pasqua. A proposito: auguri, dal sottoscritto e da tutto lo staff di AD!

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