Compaq Deskpro 386: compatibilità ad alta velocità

Deskpro 386

In questa nuova puntata della rubrica dedicata al “time of trouble” in chiave informatica, torneremo indietro in un periodo cruciale per l’evoluzione dell’industria dei cloni e del mondo PC in generale: il momento più emblematico del sorpasso dei cloni rispetto ad IBM, se preferite il momento dell’apertura dell’epoca moderna del personal computer.

Senza tema di eccessiva approssimazione, faremo corrispondere questo momento al lancio di un prodotto, il Compaq Deskpro 386, vero e proprio emblema del doppiaggio dell’industria dei compatibili, ai danni di chi il mercato PC aveva fondato circa 6 anni prima.

Caffè e, per chi fuma, sigarette alla mano, spostiamo le lancette della nostra capsula temporale fino al 1986, per contestualizzare il lancio del Deskpro 386 e comprenderne pienamente il significato.

Nel 1986 il mercato dei personal era in gran fermento. Una Apple in piena crisi di vendite tentava di riprendere quota con il Macintosh Plus, mentre l’indifferenza del mercato business rispetto ai suoi prodotti era sempre più conclamata. IBM presidiava il mercato con due fasce di prodotto: il PC/XT (5160), lanciato nel 1983, basato su CPU 8088 a 4.77 Mhz, e il PC/AT (1984), con CPU 80286 a 6 Mhz (8 nelle versioni successive) e adattatore video EGA. Tralasciamo quell’aborto del PC/XT 286 (1986) e rinviamo ad altra data la trattazione la linea PC Junior/JX.

Nella fascia alta dei PC, che oggi chiameremmo workstation, Bib Blue offriva allora RT/PC, basato su architettura RISC IBM (ROMP): costosissimo (circa 16000 dollari per la versione top di gamma) ed incompatibile col sempre più vasto parco software per PC.

Nel 1986 l’XT era ampiamente considerato obsoleto, tanto dal punto di vista della potenza computazionale, quanto sotto il profilo grafico (CGA), che risultava fortemente penalizzante per l’uso dei sempre più comuni applicativi di word processing, spreadsheet, desktop publishing, peraltro via via più orientati ad una fruizione da GUI.

L’AT rispondeva a queste esigenze in ragione di una potenza di calcolo superiore, la possibilità di utilizzare OS avanzati come OS/2 (ancora sviluppato congiuntamente da Microsoft e IBM) e applicazioni con elevati requisiti di sistema.

In entrambi i casi, l’ostacolo verso l’adozione di soluzioni IBM – che comunque all’epoca dominavano il mercato – era il prezzo. Circa 1500 dollari servivano all’epoca per portare a casa un XT, mentre ce ne volevano oltre 5000 per un AT ben carrozzato.

In questo contesto s’inserisce la Compaq, fra le prime aziende a produrre cloni di elevata qualità, venduti – a parità di dotazione hardware – ad un prezzo di poco superiore a quello di un IBM usato, e il suo Deskpro 386, forse il primo, senz’altro il più famoso, ad adottare la CPU 80386 di Intel.

Ad un prezzo di $ 6499 con hard disk da 40MB ma senza monitor, il Deskpro 386 (qui una recensione dell’epoca) non era esattamente regalato, ma l’esborso era perfettamente calibrato alla sua esorbitante potenza, specie quando confrontato con i 5295 dollari necessari per un IBM PC/AT con 286 a 8Mhz e hard disk da 30MB.

Motorizzato da un 386 a 16Mhz e un’ampia scelta di adattatori video, memorie di massa e monitor, questo mostriciattolo era in grado di produrre prestazioni dalle due alle tre volte superiori alla miglior offerta di sistemi PC/AT e compatibili basati su 286. È bene ricordare che questo incremento di potenza non era offerto, come nel caso di RT/PC, a spese dell’incompatibilità con gran parte del software sul mercato.

Al contrario il 386 era in grado di accelerare l’esecuzione dei programmi esistenti – spesso fino a renderli quasi inutilizzabili, da cui la necessità di un comando per rallentare la CPU – e preparare il terreno per una nuova generazione di applicazioni, studiata per sfruttarne l’enorme potenziale nella computazione e nella gestione di elevati quantitativi di memoria.

Dall’altro lato della barricata, l’approccio di IBM al mondo PC era improntato all’eccessiva fiducia di poterlo mantenere sotto il proprio controllo. Il colosso di Armonk, aveva infatti tutto l’interesse a centellinarne l’evoluzione, temendo che l’incremento di potenza reso possibile dalle ultime CPU Intel, mettesse a rischio il suo florido mercato mainframe e minicomputer.

In effetti il PC/AT offriva configurazioni volutamente molto conservative, che impedivano all’hardware di esprimere tutto il suo potenziale: sia la versione con CPU 286 da 6Mhz che quella da 8Mhz, erano rallentate dall’inserimento di un wait state, così come lo era l’hard disk, tramite l’uso di un interleave più elevato di quello supportato dal controller.

Questo atteggiamento da parte di IBM, dettato per l’appunto dalla fiducia nel poter dirigere il mercato verso i suoi scopi, lasciò nei primi anni del PC sempre più spazio ai produttori di cloni, i quali portarono sul mercato soluzioni sempre più performanti e convenienti dal punto di vista economico.

IBM in un primo momento, piuttosto che ingaggiare una lotta dei prezzi, preferì far leva sulla sua enorme forza commerciale, e sull’elevata reputazione business del suo marchio per sostenere vendite e margini.

Con Deskpro 386, si profilò tuttavia, in modo più netto che mai, il primo scorcio di quella situazione che sarebbe sfociata, nel 2004, con la vendita della divisione PC IBM ai cinesi di Lenovo – non che a Compaq le cose siano andate molto meglio. Con Intel impegnata a spron battuto nell’evoluzione delle sue CPU x86, e Microsoft sempre più protagonista del mercato OS, andava infatti consolidandosi il duopolio su cui l’evoluzione del PC è tuttora fondata: Wintel.

Fu proprio a quel punto che IBM ritentò, per l’ultima volta, di percorrere la strada proprietaria per riportare l’evoluzione dell’hardware sotto il suo controllo. Nel 1987 arrivò infatti PS/2. Ancora una volta tuttavia, a fronte di innovazioni tecnologiche interessanti, il sistema non mantenne tutte le promesse sotto il punto di vista prestazionale, aprendo per la divisione PC di IBM la strada della progressiva marginalità.

Con hardware e software appiattitisi su uno standard di fatto (come abbiamo raccontato parlando dell’ACT Sirius ma anche di una lettera di Bill Gates alla Apple), la partita si spostò quindi sui prezzi, e di lì cominciò la fine dell’avventura IBM nel mercato consumer – assieme a quella delle piattaforme chiuse sopravvissute.

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