3DO: croce o delizia?

3DO LogoTorniamo ad occuparci di console e questa volta con un nome sicuramente familiare a chi ha avuto modo di seguire le vicende dell’industry durante gli anni ’90.
Fu un periodo di incredibile fermento sia dal punto di vista dell’innovazione tecnologica che competizione.
Abbiamo già delineato nelle puntate precedenti un parziale quadro, parlando prima del flop Philips CD-I, poi approfondendo le tappe che portarono al compimento del progetto Playstation ed infine risvegliando ricordi nostalgici agli Amiga aficionados con lo sfortunato CD32.

3DO. Un nome al quale sono state date più spiegazioni, anche se la più attendibile riguarda la contrazione dell’espressione “3 Dimensional Objects”, un forte richiamo alla matrice che accomuna la quinta generazione ovvero la spinta all’elaborazione 3D, il cui assaggio era stato dato con i primissimi giochi Nintendo basati sui chip “FX” ed i titoli della serie Virtua creati da Sega.
32 bit e 3D non furono però sufficienti. Vediamo il perché.
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3DO Console

Nel 1991 Trip Hawkins (sì proprio lui, l’uomo che ha creato uno degli attuali giganti software qual’è Electronic Arts) decise di fondare la 3DO Company, tutti gli operatori storici nel settore dei videogiochi non presero l’evento alla leggera, in primis per il calibro che avevano davanti ed in secondo luogo perché nella partnership erano coinvolte alcune delle maggiori società coinvolte nell’elettronica di consumo e l’industria dell’entertainment, quali Matsushita (storico nome giapponese legato a doppio filo con Panasonic e spesso Sony), la coreana LG, il colosso delle comunicazioni AT&T ed infine Time Warner.

Proprio questi ultimi due si sarebbero occupati della produzione e distribuzione di contenuti, altro tassello importante nella spinta alla convergenza fra PC e console, tentativo compiuto da quasi tutti i competitor dell’epoca.
Abbiamo visto infatti come oltre all’hype del “virtuale” (andato bene ma non benissimo come direbbe il buon Alessandro Mamoli), la ricerca di un dispositivo non solo come intrattenimento ludico ma a 360° guardando la multimedialità era uno dei dogmi dell’epoca e ritenuta vera chiave del successo per gli anni a venire.
Trip aveva quindi apparecchiato la tavola con tutti i buoni propositi del caso.
Senza badare a spese venne creato uno staff di collaboratori e sviluppatori di altissimo valore.
Basti pensare che la prima piattaforma nata in questo contesto lavorativo, il 3DO appunto, fu disegnato e progettato da Dave Needle e RJ Mical; il primo contribuì al rilascio del top seller California Games (portato su almeno quindici piattaforme diverse) ma entrambi vengono ricordati soprattutto per aver fatto la storia con Amiga prima e Atari dopo (coinventando il Lynx).
Anzi, a questo proposito vi dico di rimanere sintonizzati perché potreste avere delle grosse sorprese in un futuro prossimo, ma, mi spiace, bocca cucita; attendete però fiduciosi.

Insomma, tornando a noi, non mancava davvero nulla perché si materializzasse un nuovo credibile antagonista in mezzo ai mostri sacri Nintendo, Sega, Atari e gli altri che popolavano il variegato settore dei videogiochi.
Fu ritenuto talmente credibile che nel 1993 il magazine Time definì il 3DO, uscito alla fine di settembre, quasi in contemporanea con il CD32, prodotto dell’anno.
Ottime premesse, un design che lo rendeva un oggetto accattivante da mostrare orgogliosi in salotto, accanto al resto del comparto audio/video, lontano da quegli chassis così plasticosi e sgraziati, era dotato infine di caratteristiche effettivamente interessanti, tra cui citiamo:

  • CPU: ARM60 RISC 32-bit con clock a 12.5 MHz e coprocessore matematico
  • RAM: 2MB
  • Video: 2 coprocessori dedicati con 1 MB VRAM per una risoluzione interpolata massima di 640*480 a 24 bit
  • Audio: DSP 20-bit con registri a 16-bit per un sonore stereo con supporto al sistema Dolby Surround
  • Supporto: CD-ROM 2X
  • SO: multitasking

Dunque per quale motivo non ebbe successo?
Le ragioni, come sempre, furono molteplici. Prima di tutto, la società creata da Hawkins non produceva il 3DO ma lasciava il compito a terzi, già facenti parte della partnership sottoscritta all’inizio oppure a nuovi potenziali licenziatari.
Questo approccio poteva essere vincente perché avrebbe consentito di risparmiare molte spese non dovendosi occupare di questo aspetto della filiera né di dover trattare con i proprietari delle fab.
In più, il sistema di royalty prevedeva l’introito non indifferente di 3 dollari per ogni disco 3DO venduto, indipendentemente se si trattasse di contenuto audio/video o videogioco.
Allo stesso tempo però, il consumatore non veniva posto di fronte ad un unico prodotto, bensì a tanti cloni, creati su una base comune ma con possibili differenze non solo estetiche ma anche per quanto riguarda l’hardware, rendendo difficoltoso quel processo mentale così importante per vendere cioè l’associazione di idee tra marchio ed oggetto.
Il primo ad uscire, e più conosciuto, fu il Panasonic FZ-1, senz’altro un bell’oggetto ma, come si dice a Firenze, caro accidentato.
699$, il costo di lancio, sul mercato statunitense erano un’enormità e l’incapacità di abbassare il prezzo in tempi accettabili fece propendere la maggiorparte dei giocatori (e casual gamer in particolare) su piattaforme dal costo più accessibile.

E quando il primo taglio considerevole venne apportato, scendendo a 499$, era già troppo tardi perché incombevano come macigni da una parte il Sega Saturn e dall’altra la Playstation.
Nel 1995 si era giunti alla soglia di 300$ ma il dado era stato tratto e con la comparsa l’anno successivo anche del Nintendo 64, la società divenne esclusivamente un software publisher, tentando la strada esclusivamente dei contenuti.
L’agonia sarebbe cessata definitivamente nel 2003 per bancarotta, costringendo a (s)vendere sia i brand detenuti sia le proprietà intellettuali passate di mano al portafoglio di società quali Microsoft, Namco e Ubisoft.
Nel corso degli anni aspre critiche furono rivolte sia al team che si era occupato della progettazione della console, in particolare all’ergonomia pessima dei joypad, sia ai all’eccessivo utilizzo di scene in Full Motion Video, quasi come a voler coprire una mancanza dei parametri che davvero rendono un gioco effettivamente un buon gioco.
Nonostante tutto qualche buon titolo si era visto, tra i quali vale la pena citare Army Men (il top seller di sempre di questa piattaforma), Might and Magic, il primo porting in assoluto su console di Super Street Fighter II Turbo, Samurai Shodown e gli indimenticabili Road Rash ed Alone in The Dark.
Era stata prevista anche una lineup per solo adulti, poi naufragata.
Aquesto proposito cito, perché divertente, il commento di uno dei detrattori della console: “se volevate farne una macchina anche a luci rossi, potevate farci vedere almeno un paio di tette che diamine!”.

Per concludere, probabilmente questa console non rimarrà scolpito nel cuore di tutti i giocatori, ma resta una di quei pezzi da “Sliding Doors”, dove se qualche tassello fosse andato magari in un’altra direzione ora potremmo parlare di un futuro diverso perché le premesse, a differenza di tanti altri progetti nati sotto una cattiva stella e per mano di dirigenti anche peggiori, c’erano davvero a cominciare dai nomi altisonanti citati nell’articolo.
Un peccato ed il fatto che la comunità, anche di collezionisti, continui a citare e comprare il 3DO è un segno dell’apprezzamento e contemporaneo rimpianto di quel che poteva ma non fu.

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