Anche i videogiochi si vestono di macabro con Splatterhouse

HorrorIl cinema dell’orrore ha vissuto probabilmente il suo periodo d’oro a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80.
L’Esorcista, la Casa, Venerdì 13, Nightmare, Non Aprite quella porta, Shining sono tutti film cult per gli appassionati del genere (e probabilmente me ne sto dimenticando alcuni non essendo tra gli aficionados di cui sopra) ma che possono intrattenere anche chi invece preferisce altri tipi di pellicole.

Il primo videogioco che ha fatto proprie, nella scelta del character design dei personaggi, delle ambientazioni e della trama, le storie raccontate nei film horror di quel periodo è stato senz’altro Splatterhouse.

 Splatterhouse 3

I beat’em up a scorrimento erano senz’altro un cavallo di battaglia della quarta generazione (basti pensare ai soli Double Dragon e Final Fight di cui abbiamo già parlato) e Namco, storica software house nipponica che ha dato alla luce tra gli altri Pacman e Ridge Racer, non si è sottratta alla tendenza.

Nel 1988 esce il primo capitolo di una saga che si configurerà come trilogia.
Le piattaforme prescelte furono il coin-op, dal quale al tempo non si poteva prescindere per avere un buon riscontro di pubblico, il Nec PC Engine Turbografx-16 e successivamente anche il già trattato FM Towns.
La meccanica di gioco era tipicamente quella del genere adventure poi catalogato come survival horror: combattere i vari mostri disseminati nel livello per poi accedere ai successivi battendo il boss di fine stage.
Alla tradizionale barra di energia si affianca una seconda per quella che viene chiamata “forza demoniaca”, una sorta di iniezione di steroidi che aumenta le capacità del protagonista.

Dall’abbigliamento i cultori possono riconoscere protagonista Jason, il protagonista di Venerdì 13, ma le citazioni si sprecano ed in realtà escono dall’ambito cinematografico per entrare in quello dei manga: la maschera indossata infatti, come il plot del gioco racconta, è un cimelio sacrificale precolombiano utilizzato per risvegliare poteri insiti nell’uomo ma nascosti in quella parte di cervello non utilizzata; un chiaro rimando capolavoro di Hirohiko Araki dove nella prima serie de “Le bizzarre avventure di Jojo” spiega la trasformazione di DioBrando.
Il gioco è un successo e nell’anno del porting per l’FM Towns, il 1992, esce il seguito questa volta ospitato nella vasta soft-teca del Sega MegaDrive, che già vantava eccellenti picchiaduro a scorrimento come Streets of Rage.
Le meccaniche sostanzialmente non cambiano così come il character design anche se il prodotto appare decisamente più curato e confezionato anche dal punto di vista del packaging, tanto che nelle riviste specializzate dell’epoca il voto è considerevolmente alto (intorno al 90 su 100).
Questo portò Namco a rilasciare il capitolo finale della saga solamente un anno più tardi, sempre sulla stessa piattaforma.
L’operazione revival, molto in voga ultimamente tra uso di emulatori e non, ha visto coinvolta proprio questa saga perché è stata scelta da Nintendo, insieme ad altri grandi classici, per il proprio servizio Virtua Console che permette attraverso la console Wii, l’utilizzo della Rete e del marketplace di giocare ai titoli che hanno fatto storia.
E Splatterhouse è senz’altro uno di questi.

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