“hack” di Google sull’Iphone

l’applicazione di googleQuando qualche giorno fa Google ha presentato la sua applicazione di ricerca vocale per l’Iphone tutti sono rimasti allibiti dalle sue capacità. Si può avvicinare il telefonino alla faccia, attendere un bip, dettare la ricerca e vedere i risultati su schermo.

Poiché il telefonino Apple non supporta le chiamate vocali, da più parti si gridato al miracolo: questa applicazione usa qualche funzione che è evidentemente presente nel firmware dell’iphone ma che Apple stessa non usa. Subito dopo di è iniziato a parlare di funzioni non documentate delle API per gli sviluppatori, e oggi arriva la conferma: Google le ha scovate e le ha usate, queste funzioni nascoste.

Le interfacce alle funzioni del telefonino – le cosiddette API –  permettono di usare l’accelerometro del melafonino, danno precisi metodi di controllo del touchscreen, accedono ai dati del GPS o alle connessioni di rete, ma nessuna di esse può usare il sensore di prossimità, quello che fa spegnere lo schermo quando si avvicina il telefonino Apple all’orecchio.

Si è abbastanza facilmente parlato di “hack” anche se la parola è fuori luogo. Anche io ho un amico molto bravo con Adobe Flash che qualche anno fa (era ancora Macromedia) aveva scovato delle funzioni non documentate che gli permisero di risolvere un problema di performance della sua applicazione. Poi, in una release successiva, queste funzioni vennero ufficializzate.

Questo caso è simile: perché Apple dovrebbe avere una interfaccia per il sensore di prossimità verso le applicazioni se non ha intenzione di renderla pubblica? Ci sarebbe piuttosto da questionare sul come Google abbia trovato queste API, ma non lo sapremo mai, nonostante l’ammissione di questi giorni.

Un altro fatto centrale in questa storia è che l’applicazione ha passato la selezione dell’App Store, è stata a tutti gli effetti approvata, cosa che probabilmente permette a Google di stare nella classica “botte di ferro”. Le approvazioni, a dire il vero, seguono processi abbastanza contorti e oscuri, tanto che a volte applicazioni rigettate due volte vengono approvate alla terza senza nessuna modifica (in questo mi ricordano molto i fax al NIC per la registrazione dei domini .it), ma ciò non toglie che secondo me è impossibile che sia arrivata una applicazione per l’App Store da Google e che Apple non l’abbia valutata o l’abbia valutata superficialmente.

La verità è che questa applicazione fa comodo a entrambi: Google ovviamente piazza una suo pezzo di software su parecchi melafonini, e veicola ricerche sul proprio motore, dove guadagna con la pubblicità, mentre Apple fa parlare un po’ di sé e conferma l’esistenza di funzioni nascoste che stuzzicano l’interesse degli sviluppatori, che sono uno dei grandi volani del successo del telefonino della mela. Non credo che l’azienda di Jobs costringerà BigG a riscrivere l’applicazione togliendo la chiamata al sensore di prossimità, penso invece che a breve tutti potranno interfacciarsi alla stessa API “nascosta”. Con beneficio generalizzato.

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