Apple può ancora perdere: scenari futuri

Dopo aver accennato alcuni fattori che nel breve/medio termine potrebbero ribaltare le – finora fortunate – sorti di Apple, oggi vorrei occuparmi di elementi più generali e/o remoti, ma non per questo meno influenti o urgenti da affrontare.

Svilimento del brand: il marchio Apple, forse più di ogni altro nell’industria tecnologica, polarizza le opinioni. Un brand è un emblema, dietro cui si celano, senza soluzione di continuità, valori emozionali e valori razionali. Sbilanciare la mistura sui valori emozionali rischia di marginalizzare i valori razionali, quelli con cui l’utente si trova a confrontarsi quando, scartato il prodotto, lo inserisce nel suo workflow quotidiano e ne apprezza le funzionalità. Apple fa bene quando lascia che siano i prodotti a parlare dei suoi valori, della sua idea di tecnologia, che piaccia o meno. Sbaglia quando affida alla pubblicità la creazione di goffi simulacri dei suoi valori e della sua clientela. Sbaglia quando, alla ricerca di fette di mercato meno smaliziate, semplifica all’eccesso le esigenze della sua clientela. Una certa complessità appartiene strutturalmente al PC e alle esigenze di chi lo usa. Per chi non vuole affrontarla ci sono i tablet, ed Apple ad oggi ne vende più di tutti.

Incapacità di aprire nuovi mercati: avrete già letto altrove di quanto sia straordinario il fatto che un prodotto che non esisteva fino a 5 anni fa, iPhone, rappresenti oggi la maggior fonte di incassi e margini per Apple. iPad, targato 2010, dal canto suo cresce e sviluppa margini interessanti (seppur inferiori). La straordinarietà di questi due lanci ha fissato aspettative elevatissime sulla crescita di Apple, sostanziate attualmente da ipotesi relative all’ingresso nel mondo televisivo. Quale che sia il prossimo passo del colosso di Cupertino, è indispensabile che mantenga una forte presa sul timone dell’innovazione, pena un inevitabile e progressivo assottigliamento dei margini sulle linee di prodotto esistenti. Il che mi porta al punto successivo.

Focus sull’esecuzione: Tim Cook è un esecutore, un mago delle catene di approvvigionamento e delle trattative coi fornitori. Nel suo CV mancano significativamente qualità da innovatore. Fino a quando la pipeline sarà alimentata dalle visioni di Jobs, Apple avrà perlomeno carte da giocare. Dopo? Chi prenderà il posto lasciato vacante dalla prematura scomparsa di un Jobs, che ha letteralmente modellato la gamma prodotti ed ogni minimo dettaglio degli stessi, sul proprio standard qualitativo? Chi è pronto ad assumersi questa responsabilità dopo che Cook avrà svuotato la pipeline?

Quota di mercato: se la storia di Microsoft ci ha insegnato qualcosa, sappiamo che l’integrazione verticale (un termine proveniente dal giurassico informatico ma ancora in qualche misura calzante per Apple) non va molto d’accordo con quote di mercato maggioritarie. Oggi ogni prodotto hardware di Apple, ad eccezione dei player musicali di vecchia generazione, arriva all’utente finale dotato di tutte le soluzioni necessarie al suo funzionamento: da iCloud alle applicazioni, senza dimenticare ovviamente l’OS. Il controllo su tutte queste componenti, particolarmente nei dispositivi iOS, è fondamentale per l’esecuzione del modello di business di Apple, fondato su un completo controllo dell’esperienza utente. Quanto tempo passerà prima che i software preinstallati su iPhone e iPad, il secondo detentore di una quota di maggioranza assoluta nel segmento, passino al vaglio dell’antitrust?

Standard aperti: non che il caso dell’App iOS di Facebook sia molto incoraggiante in tal direzione, ma è lecito supporre (o per qualcuno sperare), che le tecnologie su cui è basato il Web si affinino e standardizzino al punto tale da rappresentare una valida alternativa allo sviluppo nativo. Per ogni piattaforma integrata, iOS compreso, lo sviluppo cross-platform rappresenta un rischio tanto quanto un fiorente ecosistema software rappresenta una forza. Dopo il flop di Flash, riuscirà Google – promotore di un approccio web-centrico – veder realizzato il sogno di scardinare alla radice l’ecosistema software iOS? In teoria, ma qui lascio la parola a persone più esperte di me, all’aumentare della potenza di calcolo disponibile (e del rapporto fra performance e consumo), è sempre meno indispensabile ottimizzare a basso livello, dunque…

Un device per unirli: forse sono rimasto da solo a pensare (e sperare) che, con la sempre più elevata densità della potenza di calcolo disponibile per superficie e potenza assorbita, possa un giorno arrivare il monodevice, un dispositivo capace di riassumere in sé le funzioni di più dispositivi (tablet, smartphone, PC), quando corredato dagli opportuni componenti periferici. Ne parlavo qui qualche mese fa, e prima di me ne parlava molto meglio Philip Greenspun. In sintesi il problema è questo: la floridità di Apple dipende dalla sua capacità di vendere più dispositivi, con un “effetto ecosistema” straordinariamente efficace per la fidelizzazione della clientela e il cloud a provvedere alla sincronizzazione. All’avverarsi delle condizioni tecnologiche accennate più sopra, non potrebbe aprirsi una finestra concorrenziale per un player che creda nel monodevice, col cloud relegato al ruolo di backup? Dopotutto anche il PC è esploso nel momento in cui si è dimostrato un valido candidato a rimpiazzare calcolatrici, macchine da scrivere, videogiochi etc.

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