Riflessioni sparse sull’avventura di Simone Brunozzi, scappato dall’Italia per lavorare da Amazon

timeRecentemente sul suo blog Simone Brunozzi ha raccontato la sua storia di successo, ovvero come è riuscito ad andare a lavorare per Amazon lasciando un posto “da sogno” per molti Italiani: un contratto a tempo indeterminato presso una p.a.

Non voglio ripetere quanto scritto da Simone sul suo blog e tradotto su Punto Informatico , cui vi rimando, piuttosto colgo l’occasione per sviluppare un paio di riflessioni che “frullano” nella mia testa da qualche tempo.

Va subito premesso che scappare dall’Italia non è obbligatorio e non è neppure consigliabile per tutti. Lo consiglio a chi è molto ambizioso, sa confrontarsi con i migliori e ha tanta voglia di lavorare/imparare, mentre è molto poco adatto a chi tende ad accontentarsi e vede il lavoro solo come uno mezzo per procurarsi i soldi e arrivare alla fine del mese.

Detto questo mi riconosco perfettamente nelle parole di Simone quando riporta che all’estero, soprattutto in certi Paesi, ci si confronta con i migliori e questo rende le cose molto difficili per noi Italiani.Vivendo e lavorando in Italia, anche “il migliore” avrà grosse difficoltà a relazionarsi “alla pari” quando parlerà con i guru di altri Paesi, perchè essendo il nostro un Paese tecnologicamente e culturalmente arretrato non dà gli stimoli che si ricevono vivendo altrove.

Certo, ci si può informare e tenere aggiornati anche da qua leggendo e seguendo contenuti di qualità, ma è indubbio che vivere a Londra o nella Silicon Valley vuol dire esporsi per almeno 12 ore al giorno ad una miriade di input positivi, stimoli alla nostra creatività. Insomma: chi da noi è tra i migliori, all’estero rischia di trovarsi tra i “normali”.

A ciò si aggiungono i problemi di visto che gli Stati Uniti concedono col contagocce (e quasi tutti alle grandi società), volendo proteggere i laureati statunitensi, ed altre difficoltà burocratiche che rendono la “fuga di cervelli” tutt’altro che semplice da realizzare nella pratica, anche se si opta per Paesi più vicini (e senza problemi di visto) come il Regno Unito.

Avendo avuto la fortuna di visitare, per piacere e lavoro, vari Paesi ritengo che la soluzione migliore per chi vuole tentare fortuna altrove, sia quella di iniziare ad operare, seppur in piccolo, qui in Italia, sviluppando e costruendo un’idea, farsi le ossa e solo dopo questa iniziale fase tentare “il grande salto” verso habitat più idonei: “Act locally, think globally ”.

Poi ci sono coloro i quali desiderano cambiare le cose stando qui nonostante tutto e tutti remino contro le tue idee, la tua voglia di fare e la tua impresa, che io definisco con ammirazione e rispetto: martiri. Però al martirio, come alla santità, non tutti siamo chiamati. Chi non sente la chiamata, prepari le valigie.

Postilla: Mi piace inoltre notare che l’avventura di Simone ha inizio in Second Life, è infatti all’interno del metaverso che incontra una responsabile del reparto risorse umane di Amazon. Lungi da me far assurgere Second Life a “strumento di collocamento”, ma è bello poter dimostrare che Second Life è davvero tutto tranne che virtuale.

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