Dave Haynie on “Amiga”: alcune informazioni e riflessioni

Non penso che un personaggio come Dave Haynie abbia bisogno di presentazioni. Ingegnere che ha lavorato per la Commodore, ha progettato diverse macchine (in primis l’Amiga 3000, per non parlare poi dell’Amiga 3000+), ed è rimasto nell’immaginario collettivo del popolo amighista come un grande guru, al pari dei “padri” che hanno realizzato il primo progetto.

Recentemente è tornato alla ribalta e ha fatto discutere molto una sua uscita di qualche giorno fa, in uno dei forum internazionali più gettonati dalla comunità Amiga, dove ha espresso il suo giudizio sul progetto Natami (di cui abbiamo abbondantemente parlato in questo articolo) definendolo “cool“, parlando anche degli Amiga “post Commodore” e delle più recenti macchine, in particolare sull’AmigaOne X1000 (trattato in quest’altro articolo).

A causa dei giudizi negativi su quest’ultima parte ne è nata una discussione, che si è spostata quasi subito in un thread aperto in un altro forum anch’esso molto frequentato dagli amighisti, dove Dave è poi intervenuto avendo modo di effettuare tutta una serie di precisazioni e di esplicitare meglio il suo pensiero.

Il thread è molto lungo, ma almeno i messaggi di Dave meritano di essere letti per apprendere diverse informazioni storiche e tecniche. Li trovate nelle pagine 6 (uno soltanto, l’ultimo), 7 (ce ne sono diversi; i più importanti, a mio avviso), 8 (uno anche qui), 14 (uno), 15 (tre, di cui il primo è il più significativo), e 16 (uno).

E’ fondamentale, a mio avviso, mettere bene in evidenza un fatto che finalmente risulta chiaro. In un mio precedente articolo in cui parlavo del futuro degli Amiga avevo ipotizzato, sulla scorta di alcune informazioni disponibili all’epoca, un eventuale passaggio ai PA-RISC di HP quale CPU da adottare per i futuri modelli, considerata la chiusura della linea 68000 da parte della casa madre.

Dave sottolinea che quest’architettura sarebbe stata utilizzata nel chipset Hombre per la nuova console che avrebbe dovuto succedere al CD32, e per la quale avrebbe svolto anche il compito della CPU. Ma i successivi modelli avrebbero impiegato Hombre soltanto come GPU, in quanto per le CPU Commodore avrebbe dovuto adottarne qualcuna della famiglia PowerPC (presumibilmente di Motorola), oppure un’Alpha della DEC.

Secondo lui PA-RISC sarebbe stato scelto dal progettista di Hombre esclusivamente per la possibilità di aggiungere opportune istruzioni (utili per l’elaborazione della grafica 3D), mentre all’epoca il cavallo vincente era rappresentato dai PowerPC (che erano in forte ascesa, grazie alla spinta del consorzio Apple-IBM-Motorola che li aveva progettati). Anche Alpha era tenuta in conto da alcuni ingegneri, molto probabilmente perché si trattava dell’architettura più performante all’epoca.

Non si sa quale scelta precisa sarebbe stata fatta dalla Commodore, perché abbiamo imparato ormai da tempo che un conto sono le aspirazioni degli ingegneri, e tutt’altra cosa le manovre dei manager, senza dimenticare che, in ogni caso, bisogna tenere sempre conto del budget a disposizione.

Non a caso stigmatizza il fatto che avrebbe voluto vedere l’architettura AAA addirittura nell’88, mentre ci siamo ritrovati con l’AA/AGA nel ’92. Quindi per problemi di budget AA/AGA scalvacò l’AAA, prendendone il posto (e sembra proprio che l’AAA fosse antecedente all’AA; il che farà inbufalire non poca gente).

Sempre per lo stesso motivo Hombre, semmai fosse uscito (viste le “politiche” della casa madre), sarebbe stato l’ultimo chipset custom utilizzato da Commodore, unica compagnia che fino ad allora aveva seguito questa strada. Infatti i costi di progettazione e di produzione di un chipset grafico sarebbero diventati insopportabili da sostenere per una compagnia come questa, per la quale egli abbozza un budget di 1/10 rispetto ad Apple (che, tra l’altro, non faceva uso di componenti custom!).

Poco importa che avesse acquisito la MOS dei mitici 6502 , VIC, SID e CIA. Già i primi Amiga non possedevano una CPU fatta in casa, e la notevole complessità delle schede grafiche avrebbe portato necessariamente Commodore a bussare alla porta dei produttori di questi dispositivi per PC. Infatti, secondo lui, era già cliente di Ati.

La sua idea rimane quella che già era trapelata da altri suoi interventi, e di cui avevo parlato prima: il software. AmigaOS doveva esser separato dall’hardware, e questo valeva tanto per i chip custom (grazie alla tecnologia RTG) quanto per la CPU.

Sebbene abbia confermato di aver lavorato a nuovi progetti facendo uso di PowerPC, sottolinea il fatto che i processori (perché poteva essercene più d’uno) fossero inseriti in un’apposita scheda poi connessa alla scheda madre, e che per la CPU si sarebbe, quindi, potuto utilizzare un microprocessore di una famiglia completamente diversa, compresa la gloriosa 68000, e persino x86!

In un altro progetto descrive, tra l’altro, di aver utilizzato una Coldfire (CPU di Motorola derivata proprio dai 68000). Ciò a ulteriore conferma che i PowerPC non erano l’unico punto di riferimento all’epoca, e a testimonianza della perdurante passione per l’architettura dei processori utilizzati negli Amiga.

Per questi motivi punta il dito contro chi si è occupato del porting di AmigaOS verso i PowerPC, adozione dei quali giudica tardiva in un mercato desktop per loro ormai in declino (motivo per il quale non considera adeguati nemmeno i futuri chip di Freescale, che in ogni caso operano nel mercato embedded).

Tagliare i ponti coi 68000 per legarsi mani e piedi ai PowerPC è stata, a suo avviso, una mossa sbagliata, e meglio avrebbero fatto a effettuare un porting anche per x86 e ARM, architetture che coniugano economicità e bassi costi.

A questo riguardo boccia senza appello il futuro X1000: troppo costoso e con prestazioni inadeguate (giudizio che estende a tutte le macchine “Amiga” PowerPC dell’era post-Commodore), nato “morto” a causa della CPU la cui produzione è stata interrotta (senza che la nuova macchina sia ancora arrivata), e col chip XMOS che non considera interessante.

Tornando all’argomento di partenza, Natami è, per lui, (l’unico) simbolo della “via dell’Amiga”, per diversi motivi:

  • implementa il vecchio chipset AGA e lo estende con diverse nuove, e uniche, funzionalità, in linea con la filosofia che aveva caratterizzato queste macchine (vi ricordo il Copper, il Blitter, gli sprite in primis: tutti presenti e potenziati)
  • gira sulla stessa CPU, che deriva dai 68000 (migliorandoli nettamente, specialmente in termini prestazionali)
  • fa girare l’AmigaOS originale, come pure AROS
  • permette di smanettare
  • ha elevati margini di sviluppo grazie al continuo abbattimento dei prezzi degli FPGA, all’integrazione di sempre più logica (a disposizione per aggiungere nuove funzionalità), frequenze più elevate, e consumi ridotti (a seconda degli obiettivi che ci si pone)

Mi soffermo un attimo su quest’ultimo aspetto, che secondo me coglie alla perfezione l’animo di Dave e, in generale, di chi ha lavorato con quelle splendide macchine. Natami, come macchina prettamente hobbystica, si pone esattamente in questi termini. Nasce dal lavoro di gente appassionata, che ha passato il tempo a “sporcarsi le mani” con l’hardware, e che vuole riportare a galla questo sogno.

Non è un caso che conti già parecchi fan, che ne seguono l’evoluzione, e si sono anche proposti di supportarla con nuovo software, anche appositamente ottimizzato e scritto in assembly (perfino facendo uso di codice automodificante!).

Il tutto, ribadisco, nella piena consapevolezza che si tratta di un hobby. Dave ne è convinto, e mi permetto di dire che non è il solo. E, come lui, l’auspicio è che, in quanto hobby, non arrivi a costare troppo, in modo che sia abbordabile per gente che ancora oggi ha voglia di smanettare, appunto.

E’ anche questo il motivo per cui Dave critica gli Amiga PowerPC: sono troppo costosi per essere un hobby, e non offrono prestazioni adeguate per essere utilizzati come “personal computer”. Se c’è una cosa che molti ricordano quando sentono parlare di Amiga è sicuramente l’economicità: anche chi aveva pochi soldi poteva permettersi una macchina entry level, come un Amiga 500 o un 1200. Lo stesso non si può dire della più economica delle macchine PowerPC…

Un’ultima riflessione la merita il sistema operativo. AmigaOS è, infatti, stato sempre a cuore a Dave, e lo dimostra il fatto che nei progetti successivi sono stati realizzati dei s.o. “Amiga-like”, sia per macchine PowerPC che 68000-like (i Coldfire), dai team con cui ha lavorato.

Al contrario dell’hardware, AmigaOS ha, insomma, continuato ad avere un suo valore. Semplicità, leggerezza, reattività, e strumenti in dotazione rimangono i punti cardine della sua architettura (pur con tutte le limitazioni del caso, ovviamente).

L’Amiga ha rappresentato sicuramente un periodo d’oro per le notevoli possibilità di “smanettamento”, sia con l’hardware che col software. Da “metal basher” ne conservo ancora un caro ricordo. Ma bisogna anche essere realisti: legarsi all’hardware col notevole progresso della tecnologia non sarebbe stato sostenibile a lungo, e avrebbe compromesso la crescita della piattaforma.

Il futuro sarebbe stato, ahimè, rappresentato dal solo software. Con buona pace di chi ancora oggi, purtroppo, rimane col cordone ombelicale attaccato morbosamente ai PowerPC, e non vuol capire che il destino era già segnato parecchi anni fa. E’ uso comune, infatti, salire sul carro dei vincitori: non in quello dei perdenti…

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